Processo ingiusto contro il Cardinal Becciu al Tribunale speciale vaticano che ha perso ogni credibilità
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 31.10.2023 – Ivo Pincara] – Il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 845 del 30 ottobre 2024 ha pubblicato il seguente Comunicato della Sala Stampa della Santa Sede: «In data 29 ottobre sono state depositate presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano le motivazioni della sentenza relativa al procedimento 45/19, per le condotte illecite relative al cosiddetto “palazzo di Londra” e per numerosi altri reati». Gli Avvocati Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, il collegio difensivo del Cardinale Giovanni Angelo Becciu hanno dichiarato: «Leggeremo con attenzione la sentenza che rispettiamo così come rispettiamo tutte le sentenze. La motivazione che attendevamo da tempo è piuttosto lunga e sarà oggetto di studio e di approfondimento. Certamente, per le conclusioni a cui approda, contrasta con quanto emerso nel corso del processo che ha dimostrato l’assoluta innocenza del Cardinale Becciu».
«Come abbiamo spiegato più volte, questo processo non si sarebbe dovuto svolgere neppure ma il Papa ha scelto di derogare la legge procedural penale e modificarla in corso d’opera. Si tratta di un’azione che se fosse stata messa in atto da un qualunque altro Stato avrebbe fatto scoppiare lo scandalo mediatico. Qui in Vaticano, invece, tutto è possibile perché il Papa ha convinto i suoi amici giornalisti che questo è il giusto modo per scovare i delinquenti. Purtroppo, però, qui i delinquenti c’erano ma erano i laici che hanno mangiato, come fanno sempre e in qualunque realtà nella quale li ospitiamo. Non solo, quindi, il Papa ha modificato la normativa in merito ad alcuni reati ma anche quella afferente al giudizio dei porporati. Infatti, era impossibile che il Tribunale vaticano, composto da laici, giudicasse un Principe della Chiesa. Si tratta di clericalismo? Non proprio. Nella Repubblica italiana, infatti, i ministri non sono giudicati dal tribunale ordinario. Nessuno, però, mi pare abbia mai gridato allo scandalo. Si tratta di garanzie, non privilegi» (Silere non possum, 31 ottobre 2024 [QUI).
Ricordiamo che l’iter giudiziario dal Tribunale speciale vaticano compiuto nel processo 60SA, altro non ha fatto che seguire un percorso tracciato ad hoc dal Sovrano regnante. Un processo nel quale si registrano rescritti del Sovrano regnante paralleli alla legge e la percezione della verità ė stata condizionata al volere del Sovrano regnante. Il Sovrano regnante ha promosso e sostenuto questo processo penale davanti ad un Tribunale speciale vaticano, reso speciale dal Sovrano regnante stesso.
Ricordiamo che il Presidente del Tribunale speciale vaticano è indagato in Italia per presunte collusioni e favoreggiamenti nei confronti di coloro che hanno preso parte alla strage di via D’Amelio, che non erano soltanto appartenenti a Cosa Nostra, ma anche ad apparati deviati dello Stato italiano e di Stati esteri.
Ricordiamo che il tutto è stato compiuto nei confronti di un cardinale, che doveva essere escluso dal prossimo Conclave, per volontà di alcune menti raffinatissime all’interno stesso dello Stato della Città del Vaticano.
Ricordiamo che la definizione “Tribunale speciale” ė stata richiamata nelle introduzioni alle eccezioni presentate dall’Avv. Luigi Panella [QUI]. A conferma di quanto ha affermato, ci sono i quattro rescritti di Papa Francesco, che cambiano la legge, per processare il Cardinal Becciu, al fine di condannarlo senza passare per un giusto processo.
Per dovere di cronaca affronteremo le 819 pagine delle motivazioni, che sposano in toto le tesi del Promotore di (in)Giustizia del Tribunale speciale vaticano, Prof. Avv. Alessandro Diddi, il quale il 17 settembre scorso è stato obbligato ad interrompere le sue attività, poiché è dovuto andare a spiegare al Dott. Raffaele Cantone presso la procura di Perugia i motivi che hanno portato il Tenente della Guardia di Finanza della Repubblica italiana, Pasquale Striano, ad essere comandato di servizio in Vaticano presso la Casina del Giardiniere nei Giardini Vaticani, dunque in territorio di uno Stato estero, al di fuori di un accordo ufficiale tra lo Stato italiano e lo Stato vaticano, ma soprattutto al di fuori di ogni concetto di trasparenza, sicurezza e legalità.
Leggeremo queste 819 pagine anche se riteniamo questa una sentenza in un processo già deciso prima di essere iniziato, ai danni del Cardinal Becciu, del quale continueremo a difenderne l’operato.
- Il documento integrale con le motivazioni della sentenza 4519 RGP del 16 dicembre 2023 relativa al procedimento 45/19 RGP del Tribunale speciale vaticano (Processo 60SA), depositato il 29 ottobre 2024 [QUI]
- Sulla disastrata giustizia vaticana, la Rassegna stampa sul “caso Becciu” a cura di Andrea Paganini [QUI]
- Indice – Caso 60SA: con la copertura sul Blog dell’Editore/Korazym.org [QUI]
Il Cardinal Becciu stesso è tornato a proclamare la propria innocenza, come non ha mai smesso di fare – oltretutto risultato evidente dalla fase dibattimentale del processo – il 30 ottobre al TG1 in risposta al vaticanista Ignazio Ingrao, che ha commentato le motivazioni della sentenza numero 819 del Tribunale speciale vaticano: «Io non ho rubato mai, niente! Qui c’è la lettera del Cardinal Bertone in cui autorizzava a investire quei 200 milioni!», ha risposto il Cardinal Becciu. Quanto alle accuse relative ai rapporti con la manager Cecilia Marogna, a cui la Segreteria di Stato bonificò 600mila euro per la liberazione di una suora rapita, che lei avrebbe spesi invece in beni di lusso (ma resta da dimostrare che non abbia comunque pagato poi il riscatto per la suora), Becciu ha ripetuto al TG1 di non aver compiuto alcun illecito, né di averne tollerati per quanto era a sua conoscenza: “A parte che non è vero. Ma se anche fosse vero dov’è il reato? Se ho avvicinata la signora era dopo che aveva fatto 20 giorni di galera, ingiustamente!”, ha spiegato il Cardinal Becciu a Ingrao, che ha raccolto anche la dichiarazione del suo collegio difensivo: «L’innocenza del cardinale è stata completamente dimostrata nel corso del dibattimento. È una sentenza che a nostro giudizio non fotografa la realtà del dibattimento».
Dopo la riabilitazione in Vaticano della pierre Francesca Immacolata Chaouqui; la promozione di Mons. Alberto Perlasca, passato da principale indagato ad accusatore chiave del Cardinal Becciu, dopo le manipolazioni della stessa Chaouqui [QUI] e infine premiato con un posto nella più alta magistratura vaticana; il Presidente del Tribunale speciale vaticano, Giuseppe Pignatone, indagato per favoreggiamento alla mafia in Italia, che in Vaticano emette sentenze in nome del Papa; abbiamo ascoltato le dissertazioni di Marco Damilano [QUI], complice della creazione del caso 60SA che ha origine da Papa Francesco a Domus Sanctae Marthae il 24 settembre 2020, che mentre teneva nelle sue mani una copia inedita de L’Espresso (Gruppo GEDI), sommariamente condanna il Cardinal Becciu, privandolo dei privilegi connessi al cardinalato, escludendolo de facto dal prossimo Conclave. E tutto questo solo sulla base di quanto scriveva nero su bianco L’Espresso. Il Direttore de L’Espresso in quel momento è Marco Damilano, che presenterà le dimissioni il 4 marzo 2022 “dopo quattro anni e mezzo”, con l’editoriale di saluto nel quale afferma “abbiamo anticipato il processo in Vaticano nei confronti di un cardinale costretto a dimettersi” [QUI].
Proprio da queste “anticipazioni” de L’Espresso, confermate dai codici sorgente rivelati da Vittorio Feltri su Libero viene svelato il complotto premeditato e attuato per mettere fuori gioco e fuori dal prossimo Conclave il Cardinal Becciu. Damilano non è l’ideatore e nemmeno il mandante del complotto, ma è complice della creazione della narrativa che modifica e condiziona la percezione della verità di chi legge. Una narrativa che ci fa ridere.
Damilano a conferma di aver svolto bene il compito a lui affidatogli, viene premiato e nominato Relatore generale all’Assemblea diocesano di Roma alla presenza del Papa, come introduzione per altri incarichi che avrà nella comunicazione della Santa Sede in un prossimo futuro.
Al peggio non c’è mai fine in questo pontificato, nel quale un complotto di inedite proporzioni viene pianificato a tavolino da menti raffinatissime per mettere fuori gioco e fuori dal prossimo Conclave il Cardinal Becciu. L’esistenza del complotto trova una doppia conferma anche per ciò che accade un anno prima nel medesimo pontificato. Chi nel settembre 2020 ha voluto mettere fuori gioco e fuori dal prossimo Conclave il Cardinal Becciu, nell’ottobre 2019 ha pianificato e messo fuori gioco e fuori dal Vaticano il Comandante del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, Dott. Domenico Giani. Il tutto fu compiuto nella medesima modalità, con lo stesso modus operandi da nero su bianco su L’Espresso, per l’opportuna creazione della narrativa che modifica e condiziona la percezione della verità di chi legge, in questo caso a firma di Emiliano Fittipaldi che, anch’egli, lascerà L’Espresso, il 30 giugno 2020, “dove ho vissuto tredici anni entusiasmanti” [QUI].
Fittipaldi è stato convocato e udito presso Palazzo San Macuto in Commissione bicamerale antimafia sul dossieraggio di politici e del mondo economico a margine del caso SOS [Segnalazione Operazioni Sospette]-Striano/Vaticano [QUI], poiché Striano appartenente alla Guardia di Finanza della Repubblica italiana è stato comandato in missione estera in Vaticano. Come dice Fittipaldi nella sua audizione al minuto 1.54.00 “mi ha colpito che la magistratura non ha escluso che queste SOS, questa grande documentazione possa essere finita all’estero, che possa essere stato un obiettivo dei servizi segreti di Stati esteri, però poi ho anche visto che quando avete domandato se c’erano rapporti tra Striano e servizi segreti italiani o esteri la risposta è stata negativa. Questo mi ha colpito, perché è un HIP [Human Information Processing] molto importante; è stata una cosa molto importante perché è stata l’apertura dei giornali per tre giorni. Però nemmeno io posso escludere nulla. Anche se io in un articolo giornalistico non scriverò mai che i possibili mandanti sono i servizi cinesi o russi perché non potendo escludere nulla potrei anche dire che il mandante di Striano è Papa Francesco, perché non potendo escludere nulla, potrei scrivere qualsiasi cosa” [QUI].
Con l’intruglio delle motivazioni – inconsistenti ed assurde – della sconcertante sentenza numero 819 del Tribunale speciale dello Stato Città del Vaticano presieduta da Giuseppe Pignatone, «una sentenza strampalata» come ben evidenzia il vaticanista di lungo corso, Don Filippo Di Giacomo [QUI], il documento di 819 pagine depositato dopo la lunghissima attesa di quasi un anno, dimostra con quale cattiveria persecutoria è stata ordita per anni una strategia di accanimento contro il Cardinal Becciu.
Il 13 dicembre 2023 – «c’è voluto quasi un anno, alla faccia del processo equo», osserva Felice Manti su Il Giornale – il Tribunale speciale vaticano ha in parte condannato e in parte assolto gli imputati per alcuni reati ipotizzati relativamente alla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, in particolare per quanto riguarda il palazzo al numero 60 di Sloane Avenue di Londra [QUI]: il Cardinal Becciu («sul quale la stampa, ma soprattutto il Promotore di Giustizia, hanno concentrato il proprio livore e la propria attenzione», sottolinea il sito Silere non possum) e il finanziere Raffaele Mincione sono stati dichiarati colpevoli di peculato; Enrico Crasso di autoriciclaggio; il finanziere Gianluigi Torzi e l’avvocato Nicola Squillace di truffa aggravata; Torzi in concorso con l’ex funzionario dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi di estorsione; Tirabassi di autoriciclaggio; il Cardinal Becciu e Cecilia Marogna di truffa aggravata.
È palese che, nonostante le prove oggettive e che nel dibattimento sono stati smontati tutti i teoremi calunniosi del Promotore di (in)Giustizia vaticano, che non si vuole riconoscere la totale innocenza del Cardinal Becciu. Le motivazioni della sentenza di condanna in primo grado – tra altro inficiate dalle molteplici incongruenze di base e scritte da un Presidente del Tribunale speciale vaticano, che accusato del gravissimo reato di “favoreggiamento alla mafia”, si è avvalso della “facoltà di non rispondere” – dimostrano indiscutibilmente, che si tratta di una sentenza studiata ad arte, nell’ambito di un complotto per tenere fuori dal prossimo Conclave il Cardinal Becciu, distruggendo con il mascariamento questo uomo onesto, che ha sempre servito la Chiesa con amore, onestà e dignità, onorando con la vita la sua vocazione sacerdotale. La (in)giustizia vaticano ne ha fatto un martire della Chiesa Cattolica, per chi conosce il Cardinal Becciu e i suoi giustizieri, Promotori di (in)Giustizia. Solo un arcano rimarrà irrisolto e dovrà trovare la sua risposta: chi ha montato il complotto e crocifisso per mezzo stampa il Cardinal Becciu? La risposta a questa domanda è cruciale, perché – come ha osservato il 15 dicembre 2023 in un corsivo l’aggregatore para-vaticano Il Sismografo – «la sentenza è anche un verdetto the coinvolge Papa Francesco».
In riferimento alle responsabilità oggettive, nel motivare la condanna del Cardinal Becciu, viene negata l’evidenza: prima della autorizzazione per l’investimento al 45% nel fondo che deteneva la proprietà del palazzo di Londra, concessa dal Segretario di Stato Cardinale Tarcisio Bertone al Sostituto Becciu; e poi della successiva autorizzazione per l’acquisto del palazzo di Londra (al 100% delle quote, ad eccezione di 1000 azioni, le uniche con diritto di voto in mano a Torzi), concessa dal Segretario di Stato Cardinale Pietro Parolin al Sostituto Peña Para.
Perché non sono stati condannati (peraltro nemmeno imputati) tutti i componenti la linea gerarchica, che hanno preso parte attiva alla decisione dell’investimento prima e poi dell’acquisto del palazzo di Londra. quando il Cardinal Becciu già non era più Sostituto della Segretaria di Stato. Ecco il quartetto delle meraviglie, il P4. Si inizia con Mons. Alberto Perlasca, allora Capo dell’Ufficio amministrativo della Segretaria di Stato; poi, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, il successore del Cardinal Becciu a Sostituto della Segreteria di Stato; i Cardinali Tarcisio Bertone e Pietro Parolin, Segretari di Stato; e infine lo stesso Papa Francesco, che diede il benestare e l’autorizzazione.
La Segreteria di Stato con il Sostituto Becciu aveva investito tra il 2013 e 2014 per la sottoscrizione del 45% quote nel fondo Athena Capital Commodities, riferibile a Raffaele Mincione, per l’acquisto della società proprietaria del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra e per numerosi investimenti mobiliari. Poi la Segreteria di Stato aveva decisa di effettuare l’acquisto del palazzo di Londra al 100% con il Sostituto Peña Parra, col risultato di essere venuto in possesso di una scatola vuota, visto che il finanziere Torzi in possesso delle 1.000 azioni con diritto di voto, ne deteneva il controllo assoluto. Questa situazione veniva poi “sanata” con un ulteriore esborso di 15 milioni di euro a Torzi, previo l’intervento conciliatore di Papa Francesco, che ricevette Torzi pur in Udienza (e ripetiamo: quando il Cardinal Becciu non era più Sostituto della Segreteria di Stato).
Se era penalmente rilevante l’acquisto del 45% delle quote del fondo che deteneva la proprietà del palazzo di Londra, come mai nulla è stato rilevato penalmente per l’acquisto al 100% dello stesso palazzo, peraltro – ripetiamo – venendo in possesso di una scatola vuota col controllo assoluto di Torzi. Con l’aggiunta dell’asseverazione autorizzativa del Segretario di Stato (il Cardinal Parolin, essendo Sostituto Peña Parra), proprio quella – asserita nelle motivazioni – mancante nell’investimento dell’originale acquisto delle quote nel fondo al 45% (essendo il Cardinale Tarcisio Bertone Segretario di Stato e Becciu Sostituto)?
Il Cardinale Bertone formalizzò la richiesta del Sostituto Becciu di investire 200milioni e 500mila dollari. Il Sostituto Becciu, come da prassi, incaricò l’Ufficio amministrativo a ciò preposto, guidato da Mons. Perlasca, che scelse di investire l’ammontare nel fondo di Mincione, che conteneva la proprietà del palazzo di Londra. Se è ritenuto l’allora Sostituto Becciu colpevole, come mai non è stata imputata e condannata tutta la catena di comando? Come mai solo Becciu? Come mai non il vero artefice di tutto, Perlasca? Hanno portato delle motivazioni psicologiche per condannare l’uno e assolvere l’altro. Come mai?
È stata resa nota urbi et orbi l’esistenza del nuovo reato di “peculato senza fini di lucro”. Ecco, perciò Vatican News scrive un Editoriale per rendere noto che “il Vaticano rispetta il giusto processo”. Il “fumo negli occhi” per non vedere cosa hanno fatto il quartetto delle meraviglie, il P4.
Si legge nelle motivazioni della sentenza, che anche senza lucro, senza aver intascato un soldo per sé, il Cardinal Becciu è colpevole ed era da condannare per l’investimento “illecito” nel palazzo di Londra, attraverso un fondo speculativo.
Su ANSA si legge [QUI]: «L’uso illecito di fondi della Santa Sede da parte del Cardinale Angelo Becciu c’è stato anche se non c’era “finalità di lucro”. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza depositate dal Tribunale vaticano. “La responsabilità di quest’ultimo non può essere messa in discussione neppure in ragione di un ulteriore argomento che egli ha invece inteso valorizzare in più circostanze: la rivendicata assenza di utilità in capo a Becciu. L’argomento può forse avere una sua rilevanza in una dimensione metaprocessuale (tanto da aver trovato risalto anche sul piano mediatico), ma sotto il profilo squisitamente giuridico (che è l’unico scrutinabile in questa sede) perde del tutto significato” perché “la finalità di lucro è del tutto estranea alla fattispecie di peculato prevista dall’ordinamento vaticano”».
Rita Salerno nel servizio per TG2000 rileva [QUI]: «Processo palazzo Londra, motivazioni sentenza: da Becciu uso illecito anche senza lucro».
Francesco Peloso scrive su Domani [QUI]: «Sentenza Becciu, le motivazioni: “Fatti gravissimi. Non ha lucrato, ma fu peculato”. L’assenza di utilità “»sotto il profilo giuridico perde del tutto significato in questa sede”. Poi, aggiunge che il Tribunale vaticano «segnala come il cardinale non si sia mai allontanato da Marogna».
Iacopo Scaramuzzi scrive su la Repubblica [QUI]: «Vaticano, il tribunale: l’investimento a Londra fu un azzardo, Becciu non ha mai preso le distanze da Marogna. La spiegazione del “peculato”, reato che si configura anche senza lucro, il teste Perlasca ritenuto “inaffidabile” e Peña Parra “aggirato”».
In pratica, qui si dice che Gesù di Nazareth era colpevole perché non ha mai preso le distanze dai due ladroni. Ecco, il frutto di 2024 anni di Cristianesimo. Una macchia gigantesca sulla storia della Chiesa Cattolica.
Poi, Peña Parra sarebbe “aggirato”, ma questo non viene fatto valere per Becciu.
Felice Manti scrive su Il Giornale [QUI]: «La difesa guidata da Fabio Viglione non avrà gioco facile in appello a ribaltare la sentenza. E però si continua a ritenere Becciu responsabile penalmente di un investimento sbagliato, il Tribunale se la prende persino con i giornali “innocentisti” che riportano la sua difesa, che si basa sostanzialmente sul fatto di non aver preso una lira. “A nulla rileva che egli non abbia inteso agire con finalità di lucro, né che non abbia conseguito alcun vantaggio”. Dunque si punisce il peculato senza la pecunia. Che non abbia avuto un centesimo è insignificante. Non importa che non abbia avuto vantaggi … o che non si comprende perché avrebbe dovuto avvantaggiare persone sconosciute. Gli si attribuisce una sorta di responsabilità di posizione. Quando a Perlasca, che da colui che ha imbeccato a Becciu i dossier con gli investimenti sbagliati dicendogli di firmare affari decisi da altri e vidimati dal Papa, è diventato teste chiave dell’accusa, la sentenza dice che nel suo caso “manca l’elemento psicologico del reato”. Esattamente quello che però i giudici attribuiscono a Becciu, che però non ha intascato nulla.
Su Nuove Cronache si legge [QUI]: «Caso Becciu: Una Decisione Controversa del Tribunale Vaticano. In una più ampia riflessione, questo processo solleva anche questioni sul ruolo dei media nella creazione di narrativa intorno ai casi giudiziari, specie quando si tratta di figure pubbliche di spicco. La copertura mediatica può, talvolta, influenzare la percezione pubblica e sviare l’attenzione dalle questioni legali sostanziali a favore di dibattiti più sensazionalistici sulla morale individuale.
Il caso Becciu non è solo un punto di inflessione per la giurisprudenza vaticana ma rappresenta anche un momento di introspezione per tutte le istituzioni che, trovandosi a governare non solo sui terreni materiali ma anche su quelli spirituali, si vedono confrontate con i paradossi di giustizia umana in contrapposizione a quella divina.
Quindi, mentre la Santa Sede continua a navigare attraverso queste acque turbolente, il mondo osserva attentamente, riflettendo sul complicato incrocio tra legge, etica e religione. La sentenza su Becciu non chiude un capitolo, ma apre nuovi interrogativi sulla natura della giustizia e sulla moralità all’interno delle istituzioni venerande come la Chiesa».
Rimaniamo esterrefatti per la portata della motivazione afferente al merito dei finanziamenti erogati dalla Segreteria di Stato alla Caritas della Diocesi di Ozieri. È palese l’assurdità dell’affermazione che i finanziamenti elargiti dalla Segreteria di Stato alla Cooperativa della Caritas diocesana di Ozieri, presieduta pro tempore del fratello del Cardinal Becciu, Antonino, rappresenterebbe peculato non perché i soldi siano stati impiegati per fini diversi da quelli caritativi o siano stati indebitamente intascati da qualcuno, ma per il fatto che sia l’Articolo 176 del Codice penale vaticano, sia il Canone 1298 del Codice di Diritto Canonico stabiliscono che «salvo non si tratti di un affare di infima importanza, i beni ecclesiastici non devono essere venduti o locati ai propri amministratori o ai loro parenti fino al quarto grado di consanguineità o di affinità senza una speciale licenza data per iscritto dall’autorità competente».
Invece, Papa Francesco aveva condannato il Cardinal Becciu preventivamente, perché, a suo dire, aveva arricchito il fratello con l’Obolo di San Pietro. Quindi qualcuno ha barato ed ha convinto il Santo Padre di una falsità a danno del suo più stretto collaboratore.
Poi, i giudici vaticani affermano, che il versamento effettuato dalla Segreteria di Stato destinato alla cooperativa amministrata dal fratello del Cardinal Becciu per la Caritas della Diocesi di Ozieri era avvenuto «senza alcuna autorizzazione scritta» del Segretario di Stato, essendo però evidente che non ce ne fosse bisogno essendo Antonino Becciu sostanzialmente un operatore tenuto a rendicontare il suo operato alla cooperativa, alla Caritas e al vescovo diocesano, e non certo il titolare dell’iniziativa benefica.
Inoltre, va ricordato che nella fase dibattimentale è emerso che alla Caritas della Diocesi di Como, dove nella Cooperativa Simpatia lavora e/o come volontario il padre di Mons. Perlasca, sono arrivati decine di migliaia di euro dalla Segreteria di Stato. Come mai l’Articolo 176 del Codice penale vaticano e il Canone 1298 del Codice di Diritto Canonico viene applicato al Cardinal Becciu, mentre Mons. Perlasca non viene imputato, anzi, da Papa Francesco confermato Promotore di Giustizia al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica?
Il processo iniziato il 27 luglio 2021 e concluso il 16 dicembre 2023, dopo la celebrazione di 83 udienze, «è stato reso possibile grazie ad alcuni interventi contra legem che il Papa ha fatto modificando, in corso di causa, la normativa procedural penale», osserva il sito Silere non possum [QUI], e prosegue: «Silere non possum ha messo in risalto la gravità e la pericolosità di questo sistema aldilà della penale responsabilità dei singoli imputati. Nonostante il sito del partito, Vatican News, abbia pubblicato ben due articoli nei quali difende l’operato del Tribunale e del Promotore di Giustizia, è chiaro che si tratta di pura propaganda. Andrea Tornielli, infatti, non avendo alcun titolo in diritto canonico o vaticano, non è capace di fare una lettura della sentenza che valuti tutti gli elementi. Abbiamo già spiegato più volte come questo personaggio è completamente incapace di svolgere qualunque attività giornalistica, tantomeno di commentare una sentenza. Basterebbe osservare, infatti, già la parte iniziale della decisione per comprendere come questa sia viziata ancor prima delle motivazioni stesse. Si evidenzia che il giudizio a carico di S.Em.R. il Signor Cardinale Giovanni Angelo Becciu è reso possibile grazie ad un intervento del Santo Padre Francesco che ha modificato la procedura penale. Questa, seppur il maghetto di Chioggia non riesce a capirlo, è una gravissima violazione dei diritti umani fondamentali che prevedono che il cittadino debba essere giudicato per leggi che sono entrate in vigore prima del presunto reato. Questi principi, però, sembrano non essere chiari neppure ad Alessandro Diddi, il quale non ha mai aperto un codice di diritto canonico o vaticano e neppure al Presidente del Tribunale Vaticano che ha il coraggio di firmare una sentenza di questa portata nonostante nelle scorse settimane sono cadute sulla sua persona gravissime accuse di “coinvolgimenti con la mafia”. Che dire, questa sentenza parla da sé ancor prima di esser motivata».
«Oggi Papa Francesco ha incontrato il Dicastero per la Comunicazione [QUI]. Ecco cosa avrebbe potuto dire ai suoi membri: “Come mai gli organi di stampa vaticani non hanno informato sul fatto che il Presidente del Tribunale vaticano Giuseppe Pignatone è indagato per favoreggiamento alla mafia? Becciu è stato cacciato per molto meno, e prima di un avviso di garanzia! E come mai vi affrettate ad affermare acriticamente e servilmente che il processo montato contro di lui à stato “giusto” senza offrire un contraddittorio all’altra parte, per favorire un dialogo e un’autentica pluralità sinodale. La verità non può essere calata dall’alto! Non confondiamo l’unità con l’uniformità! La verità bisogna anche riconoscerla, umilmente, con onestà, coraggio e parresia”. Ma questo è solo ciò che il Papa… avrebbe potuto dire» (Andrea Paganini).
Però, il Papa questo ha detto veramente: «Proprio in quanto comunicatori, infatti, siete chiamati a tessere la comunione ecclesiale con la verità attorno ai fianchi, la giustizia come corazza».
E poi, la doccia fredda: «E vorrei dirvi una cosa: dovremo fare ancora un po’ più di disciplina sui soldi. Voi dovete trovare il modo di risparmiare di più e cercare altri fondi, perché la Santa Sede non può continuare ad aiutarvi come adesso. So che è una brutta notizia, ma è anche una bella notizia perché muove la creatività di tutti voi».
«Al termine di due anni, il faraone sognò di trovarsi presso il Nilo. Ed ecco salirono dal Nilo sette vacche, belle di aspetto e grasse e si misero a pascolare tra i giunchi. Ed ecco, dopo quelle, sette altre vacche salirono dal Nilo, brutte di aspetto e magre, e si fermarono accanto alle prime vacche sulla riva del Nilo. Ma le vacche brutte di aspetto e magre divorarono le sette vacche belle di aspetto e grasse. E il faraone si svegliò» (Genesi 41,1-4).
L’abisso dell’assurdo
in un articolo e un editoriale
su Vatican News e L’Osservatore Romano
Il giornalismo diventato servile e bugiardo
Processo per il palazzo di Londra, ecco le motivazioni della sentenza
Depositato il documento di oltre 700 pagine con il quale il Tribunale dà ragione della decisione del dicembre 2023: per gli imputati giusto processo con tutte le garanzie. L’enorme investimento del 2014 nel fondo ad alto rischio di Mincione fu azzardo contrario alla prudenza richiesta dalle norme; da Torzi truffa aggravata ed estorsione alla Segreteria di Stato. Grave l’affidamento di 600mila euro a Marogna da parte di Becciu che non ha mai preso le distanze. Perlasca dichiarato poco attendibile
Vatican News, 30 ottobre 2024
L’Osservatore Romano, 30 ottobre 2024
Un’inchiesta complessa che ha visto l’intrecciarsi di più filoni d’indagine e un processo complesso che si è tutto giocato nel dibattimento (86 udienze) non potevano che concludersi con una sentenza altrettanto complessa – depositata ieri, martedì 29 ottobre – con la quale viene data ragione delle decisioni del Tribunale presieduto da Giuseppe Pignatone che nel dicembre 2023 ha condannato quasi tutti gli imputati per alcuni reati assolvendoli per altri: il cardinale Giovanni Angelo Becciu e Raffaele Mincione erano stati riconosciuti colpevoli di peculato; Enrico Crasso per il reato di autoriciclaggio; Gianluigi Torzi e Nicola Squillace per truffa aggravata e Torzi anche per estorsione in concorso con Fabrizio Tirabassi, lo stesso Tirabassi per autoriciclaggio. Becciu e Cecilia Marogna erano stati ritenuti colpevoli di truffa aggravata.
Garanzie per gli imputati
Nella sentenza sono innanzitutto evidenziate le tante novità legislative introdotte nella legislazione vaticana dal 2010 ad oggi per adeguarsi «ai modelli internazionali e alle best practices», finalizzati a una maggiore trasparenza interna, per scongiurare che «i delitti siano impunemente commessi» da chi opera nello Stato e nella Santa Sede. Il Tribunale risponde poi punto per punto alle accuse di violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo spiegando che «l’ordinamento vaticano riconosce il principio del giusto processo, quello della presunzione di innocenza e il diritto di difesa, che sono anzi espressamente previsti dalle norme vigenti». Il Tribunale, si legge nella sentenza, «nella convinzione che il contraddittorio tra le parti è il metodo migliore per raggiungere la verità processuale ed anche, per quanto possibile, per cercare di avvicinarsi alla verità senza aggettivi, ha sempre cercato, sfruttando al massimo gli spazi lasciati all’interprete dal quadro normativo vigente, di adottare interpretazioni e prassi operative che garantissero l’effettività del contraddittorio, assicurando il più ampio spazio alle parti, e in specie alle Difese». Viene inoltre dimostrata la legittimità della decisione del Promotore di Giustizia di non depositare tutti i messaggi whatsapp a sua disposizione in quanto connessi ad altre ipotesi di reato e ad altri filoni di indagine.
Chiarimento sul peculato e ruolo di Perlasca
Un altro passaggio significativo è quello che chiarisce la natura del reato di peculato, che sussiste anche nel caso l’imputato non si sia messo in tasca dei soldi: la stessa Corte di Cassazione italiana lo individua nel caso in cui il pubblico amministratore «invece di investire per le finalità cui erano destinate le risorse finanziarie di cui ha la disponibilità, le impiega per acquistare, in violazione di norme di legge e di statuto, quote di fondi speculativi». Dunque il fatto che non vi sia stato un interesse personale e diretto da parte di chi ha autorizzato l’azzardo di investire una somma enorme in un fondo altamente speculativo, il reato permane. Il Tribunale inoltre ritiene di fatto poco attendibile monsignor Alberto Perlasca, definendo le sue dichiarazioni «prive di autonoma rilevanza probatoria ai fini del presente giudizio», e ha fondato la propria decisione «solo ed esclusivamente su quei fatti che hanno raggiunto dignità di prova».
L’investimento di 200 milioni con Mincione
Una parte consistente della sentenza ricostruisce minuziosamente la sottoscrizione dell’operazione Falcon Oil e la sottoscrizione da parte della Segreteria di Stato di quote dei fondi Athena Capital Commodities Fund e Global Opportunities Fund (GOF) riferibili a Raffaele Mincione con il versamento di 200 milioni di dollari (pari a circa un terzo dei fondi a disposizione della Segreteria di Stato), per cui sono stati condannati per peculato lo stesso Mincione, il cardinale Becciu, Crasso e Tirabassi. Il reato è stato confermato in quanto è emersa «la volontà di usare i beni in contrasto con gli interessi» della Santa Sede. «Non può certo negarsi – si legge nelle motivazioni della sentenza – che l’uso in modo illecito dei beni della Chiesa si sia risolto in un tanto evidente quanto significativo vantaggio per Mincione ed i suoi sodali quale diretta conseguenza della condotta illecita posta in essere» dal cardinale Becciu, «sicché a nulla rileva che egli non abbia inteso agire con finalità di lucro, né che non abbia conseguito alcun vantaggio». Le normative vigenti richiedono infatti una amministrazione «prudente, volta innanzitutto alla conservazione del patrimonio, anche quando cerca di accrescerlo, valutando le occasioni di guadagno pur se parametrate ad una eventuale e comunque contenuta possibilità di perdita». Bisognava dunque tener conto del quoziente di rischio, dell’entità del patrimonio investito e della possibilità di mantenere in qualche misura un controllo della gestione oltre che dei costi dell’operazione. «Alla stregua di questi parametri», l’investimento nel fondo gestito da Raffaele Mincione «costituisce certamente un “uso illecito” di quei beni pubblici ecclesiastici di cui l’allora Sostituto Becciu aveva la disponibilità in ragione del suo ufficio e dei quali ben conosceva la natura e, conseguentemente, i correlati limiti legali di impiego».
Il ruolo di Becciu Sostituto
Nella sentenza si sottolinea come il “General Partner” Mincione non abbia assunto «alcun impegno e non dava alcuna garanzia né in ordine ai rendimenti dell’investimento né in ordine al rischio di perdita dell’intero capitale investito» e «l’investitore Segreteria di Stato non aveva alcun potere di controllo». Inoltre il Tribunale sostiene che non sia affatto vero che quest’uso sconsiderato del denaro della Santa Sede sia stato avvallato dai due cardinali Segretari di Stato che si sono succeduti (Tarcisio Bertone e Pietro Parolin). Il cardinale Becciu, si legge nella sentenza, ha riconosciuto «di essere stato lui a proporre all’Ufficio l’Operazione Angola in base alla sua pregressa conoscenza ed amicizia con l’imprenditore Mosquito», l’operazione che poi si è trasformata nell’investimento sul fondo di Mincione. Becciu risultava molto interessato all’operazione e personalmente coinvolto, tanto da prendere contatto direttamente con Crasso, cosa mai avvenuta in precedenza. Lo stesso cardinale ha riconosciuto che «non c’era mai stato prima l’affidamento di una somma così ingente ad un solo soggetto». Nella sentenza si osserva anche che non «poteva certo sfuggire ad una persona dall’esperienza e delle capacità riconosciute all’allora Sostituto Becciu» chi fosse Mincione, sia per informazioni di stampa, sia per le notizie raccolte dalla Gendarmeria vaticana che aveva sconsigliato di mettersi in affari con lui. «Resta poi inspiegabile il fatto che nessuno dei pubblici ufficiali coinvolti in questa grave vicenda abbia almeno tentato, una volta chiusa definitivamente l’operazione Falcon Oil, di chiudere il rapporto con Mincione ‘uscendo’ dal Fondo GOF».
La posizione di Mincione
«Raffaele Mincione – afferma il Tribunale – ha contribuito in modo decisivo, con le sue condotte, alla consumazione del reato di peculato in esame, del quale è stato, peraltro, il maggiore beneficiario». Il finanziere sapeva che gli era stato affidato denaro della Santa Sede e ha sempre interloquito direttamente con la Segreteria di Stato e dunque doveva sapere benissimo che avrebbe dovuto risponderne «secondo le norme del diritto vaticano». E del resto, «non si capisce perché Raffaele Mincione, che – da imprenditore prudente – si è fatto assistere da team di professionisti di primario livello in tutti i settori interessati dall’operazione Falcon Oil – GOF, ed in particolare da studi legali particolarmente esperti in diritto inglese, in diritto lussemburghese e in diritto dell’Unione Europea, non abbia ritenuto di dover fare altrettanto per l’ordinamento vaticano che, come egli ben sapeva, disciplina l’attività dell’Ente (Segreteria di Stato) che gli versava somme così ingenti». L’asserita ignoranza delle normative vigenti Oltretevere non è dunque una scusante.
Torzi e l’acquisto del palazzo di Londra
L’altro grande nodo affrontato dalla sentenza è la seconda fase dell’operazione londinese conclusa novembre 2018 che prevedeva la cessione da parte di Torzi alla Segreteria di Stato di 30 mila azioni (su 31 mila) della GUTT, cioè della società che aveva acquisito il controllo e, indirettamente, la proprietà del Palazzo di 60 Sloane Avenue. Le 1.000 azioni rimaste a Torzi erano però le sole con diritto di voto e pertanto, la Segreteria di Stato, nonostante la cessione delle quote di GOF e l’esborso di 40 milioni di sterline, non aveva acquisito affatto il controllo dell’immobile che sostanzialmente passava da Raffaele Mincione a Gianluigi Torzi. La sentenza del Tribunale, al termine di una minuziosa ricostruzione degli avvenimenti e del ruolo svolto in concreto da ciascuno degli imputati, ha ritenuto colpevoli del reato di truffa aggravata Gianluigi Torzi e Nicola Squillace. Viene dimostrato come il nuovo Sostituto Edgar Peña Parra, che aveva subito espresso dubbi sull’operazione, sia stato raggirato e la sua ratifica agli accordi presi da Perlasca e Tirabassi sia avvenuta perché ingannato dalle rassicurazioni ricevute dell’avvocato Squillace. Quest’ultimo peraltro «agiva anche come legale della stessa Segreteria di Stato» convincendo «i vertici del Dicastero che con gli accordi di Londra erano stati raggiunti gli obiettivi che si erano prefissi e cioè che la Segreteria di Stato fosse l’unica beneficiaria economica della GUTT e che, tramite la GUTT, avesse il sostanziale controllo dell’immobile». Cosa per niente vera. A questa truffa aggravata si collega anche il reato di estorsione, che il Tribunale conferma citando «una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione italiana elaborata con riferimento al concetto noto, nel gergo giuridico, come “cavallo di ritorno”, che ricorre quando, sottratto un bene al legittimo titolare, questi riceve una richiesta di denaro finalizzata alla restituzione del bene stesso». È stata questa situazione «in partenza illecita che ha costretto la Segreteria di Stato» a pagare a Torzi «un corrispettivo non dovuto che costituisce un profitto ingiusto». Il Tribunale ha condannato per il reato di estorsione anche Fabrizio Tirabassi, ritenendo che abbia dato un contributo decisivo perché Torzi raggiungesse il suo obiettivo.
I soldi a Marogna
Un altro capitolo significativo riguarda i 600 mila euro elargiti a Cecilia Marogna per volere e su indicazione di Becciu. La finalità era quella di favorire il rilascio di una suora colombiana rapita in Mali, ma i soldi della Segreteria di Stato sono stati invece spesi da Marogna in alberghi, capi di vestiario e di arredamento, beni di lusso. La sentenza esamina la vicenda e la divide in due fasi ben distinte: nella prima, Becciu e Marogna si rivolsero ad una agenzia inglese, la Inkerman, specializzata nei casi di sequestri e rapimenti, «cui fu versata in due riprese, tra febbraio e aprile 2018, dalla Segreteria di Stato la somma complessiva di 575 mila euro. In una seconda fase, da dicembre 2018 ad aprile 2019, una somma di uguale importo fu versata invece, mediante nove bonifici bancari, ad una società slovena», la LOGSIC, «costituita ad hoc il giorno immediatamente precedente al primo versamento, facente capo e nella esclusiva disponibilità di Cecilia Marogna. Alla donna, peraltro, S.E. Becciu aveva consegnato, nel mese di settembre 2019 anche somme in contanti per importi minori (circa 14.000 euro)». Insomma, mentre i primi versamenti alla Inkerman «erano effettivamente destinati ad un soggetto deputato a svolgere attività di carattere umanitario», i circa 600.000 euro ulteriori versati alla Marogna «sono risultati privi di qualsivoglia riconducibilità ai suddetti fini», tanto che il cardinale Becciu non ha mai fatto il nome di Marogna con i suoi superiori. Nella sentenza viene ricostruito in dettaglio il tentativo del cardinale di ottenere dal Papa una lettera che lo scagionasse, e anche il clamoroso episodio della telefonata con il Papa appena uscito dall’ospedale dove aveva subito un intervento chirurgico che Becciu e Maria Luisa Zambrano hanno registrato, condividendo poi la registrazione con altre persone. Dai messaggi poi finiti in un’inchiesta della magistratura italiana emerge che il cardinale ha continuato «ad avere rapporti del tutto amichevoli, se non di vera e propria familiarità» e anche a incontrare Marogna, dopo che «aveva comunque maturato una piena e definitiva consapevolezza circa le modalità del tutto illegittime» con cui la donna aveva utilizzato le somme» versate dalla Segreteria di Stato alla Logsic (definita nella sentenza una «scatola vuota» che «non esiste»). Dai messaggi traspare che Marogna ha rapporti «più che cordiali anche con altri parenti dell’imputato». E viene fatto notare come Becciu non abbia presentato querela, denuncia o esposto nei confronti di Marogna, pur avendo saputo come aveva usato i soldi della Santa Sede.
La cooperativa del fratello
Infine, la sentenza prende in esame il capitolo dei finanziamenti elargiti dalla Segreteria di Stato alla cooperativa del fratello di Becciu, Antonino, confermando che si è trattato di peculato non perché i soldi siano stati impiegati per fini diversi da quelli caritativi o siano stati indebitamente intascati da qualcuno, ma per il solo fatto che sia l’articolo 176 del codice penale vaticano, sia il canone 1298 in ambito canonico stabiliscono che «salvo non si tratti di un affare di infima importanza, i beni ecclesiastici non devono essere venduti o locati ai propri amministratori o ai loro parenti fino al quarto grado di consanguineità o di affinità senza una speciale licenza data per iscritto dall’autorità competente». E il versamento effettuato dalla Segreteria di Stato con Becciu Sostituto alla cooperativa amministrata dai suoi familiari è avvenuto «senza alcuna autorizzazione scritta» dell’autorità competente.
Processo giusto e trasparenza
Uno sguardo complessivo alla sentenza del procedimento giudiziario sulla gestione dei fondi della Santa Sede
Editoriale di Andrea Tornielli
Vatican News, 30 ottobre 2024
L’Osservatore Romano, 30 ottobre 2024
Tra le tante considerazioni che possono essere fatte al termine della lettura delle lunghe e complesse motivazioni della sentenza sul processo riguardante principalmente la vicenda della compravendita del palazzo londinese di Sloane Avenue, ne proponiamo due. La prima riguarda la conduzione del processo che si è celebrato per 86 udienze nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani: nonostante le accuse e le dichiarazioni mediatiche relative ai diritti della difesa che non sarebbero stati garantiti, è evidente l’esatto contrario. La decisione del Tribunale guidato dal presidente Giuseppe Pignatone non ha ricalcato le richieste del Promotore di Giustizia, ha riqualificato i reati, ha assolto alcuni degli imputati per ipotesi di reato. Soprattutto, ha messo al centro il contraddittorio nel dibattimento, ha dato amplissima facoltà di intervento alle ben strutturate difese degli imputati, ha esaminato fatti e documenti senza tralasciare nulla.
Anche se il Vaticano – come la Francia e a differenza dell’Italia – mantiene un rito inquisitorio diverso da quello accusatorio e dunque nella fase istruttoria non prevede una “parità delle armi” tra accusa e difesa, ben diversa è la fase dibattimentale dove il principio è stato pienamente garantito ed è stato celebrato un giusto processo, con il diritto di difesa e la presunzione di innocenza. Principi peraltro ben definiti e previsti dalle norme vigenti. È interessante notare che, ripetutamente, le motivazioni fanno riferimento ad alcune sentenze che hanno fatto scuola nella giurisprudenza italiana.
La seconda considerazione riguarda l’uso dei soldi e la necessità di rendere conto. Nel documento finale approvato dal Sinodo sulla sinodalità conclusosi la scorsa settimana, ci sono paragrafi focalizzati sul tema della trasparenza, indicando come conseguenza del clericalismo l’assunto implicito «che coloro che hanno autorità nella Chiesa non debbano rendere conto delle loro azioni e delle loro decisioni». La triste storia dell’azzardato investimento nel fondo di Mincione di ben 200 milioni, cifra enorme per un’operazione che non aveva precedenti – a prescindere dalle responsabilità dei vari soggetti così come sono state accertate dal Tribunale – dice di una modalità di uso del denaro che non prevedeva di «rendere conto». E dice anche di quanto deleterio sia, per una realtà come la Chiesa, assumere categorie e comportamenti mutuandoli dalla finanza speculativa. Sono atteggiamenti che mettono tra parentesi la natura della Chiesa e la sua peculiarità. Atteggiamenti che mettono da parte, o fingono di non conoscere, quella saggezza del “buon padre di famiglia” esplicitamente citata dalle normative vigenti e tanto più necessaria quanto si amministrano i beni che servono alla missione del Successore di Pietro.
Diversificare gli investimenti, considerare il rischio, stare alla larga dai favoritismi e soprattutto evitare di trasformare i soldi che si maneggiano in uno strumento di potere personale sono insegnamenti da trarre dalla vicenda di Sloane Avenue.
È positivo che all’interno dello stesso sistema della Santa Sede si siano sviluppati gli “anticorpi” che hanno permesso di portare alla luce i fatti oggetto del processo, nella speranza che non si ripetano più.