Il senso del pontificato

Papa Francesco
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.03.2024 – Andrea Gagliarducci] – C’è molta acqua per il mulino negli estratti dell’autobiografia di Papa Francesco [*], pubblicata la settimana scorsa sul Corriere della Sera [QUI]. Una cosa, tuttavia, è particolarmente sorprendente: Papa Francesco si sente ferito dall’affermazione secondo cui «Francesco sta distruggendo il papato». La risposta del Papa è stata questa: «La mia vocazione è quella sacerdotale: prima di tutto sono un prete, sono un pastore, e i pastori devono stare in mezzo alle persone… È vero che quella del Vaticano è l’ultima monarchia assoluta d’Europa, e che spesso qui dentro si fanno ragionamenti e manovre di corte, ma questi schemi vanno definitivamente abbandonati».

Perché queste affermazioni colpiscono? Parlano del modo in cui Papa Francesco vede il Vaticano e di come cerca di porvi rimedio. Nelle parole del Papa, ci sono molti pregiudizi generali su cosa sia il mondo vaticano: un mondo aulico fatto di pettegolezzi che richiede una rottura con il passato. Certo, non ci voleva un esperto per capire il pensiero del Papa. Papa Francesco si è più volte lamentato del «terrorismo delle chiacchiere», ha puntato il dito contro «le malattie della Curia» e «ha chiesto una Chiesa in uscita contrapposta alla Chiesa dei chierici di Stato».

Nel libro Francesco spiega che nel Conclave del 2013 «c’era una gran voglia di cambiare le cose, di abbandonare certi atteggiamenti che purtroppo ancora oggi fanno fatica a sparire. C’è sempre chi cerca di frenare la riforma, chi vorrebbe rimanere fermo ai tempi del Papa-re». È davvero così? Le cose stanno davvero così? Soprattutto, è davvero cambiato qualcosa sotto Francesco? In generale, di Roma si è sempre detto che fosse un ambiente di corte. Le cronache dimostrano che i Papi hanno avuto varie forme di coinvolgimento nelle decisioni per la vita della Chiesa.

Nessuno si è comportato davvero come un Papa-re. Il compito, infatti, era quello di demundanizzare, aprire a nuove forme di governo e ridefinire alcune eredità del passato. Giovanni XXIII abbandonò presto gli schemi curiali per incoraggiare un dibattito più eccellente nel Concilio Vaticano II. Paolo VI riformò le strutture della stessa Casa Pontificia per adattarle ai tempi. Giovanni Paolo II definì anche un governo collegiale per lo Stato della Città del Vaticano. Ogni Papa ha fatto grande uso di consultazioni e concistori privati o pubblici per discutere argomenti generali con i suoi colleghi cardinali. L’ambiente vaticano è stato definito una Corte, semplicemente perché era strutturato in un certo modo, che è come la Santa Sede si presenta al mondo. È un mondo di simboli, in cui ognuno ha il suo posto e racconta qualcosa dell’istituzione che vuole rappresentare.

Possono esserci crepe in quel mondo, una cattiva gestione e persino chiusure verso e dal mondo esterno. Il punto è che nulla è lasciato al caso. Niente di tutto ciò supporta la conclusione che la struttura debba essere considerata antiquata e ancor meno irrazionale. Anzi, forse proprio l’incapacità dei responsabili di comprendere la simbologia stessa della propria organizzazione ha contribuito a creare questo problema.

Parlando della Corte, poi, Papa Francesco mortifica il linguaggio della Santa Sede, lo riduce ad un’eredità del passato, che non è in linea con il passato e, di fatto, crea una rottura. Ma allo stesso tempo, usa gli stessi strumenti per riformare, creando una propria Corte – una Corte diversa – forse più informale, ma pur sempre una Corte. Il cosiddetto Consiglio C9 dei cardinali consiglieri è qualcosa a metà tra un “kitchen cabinet” [stretti collaboratori di un Primo Ministro] e un privy council [un gruppo di consiglieri del Re, il principale organo di governo durante il regno dei Tudor e degli Stuart in Inghilterra], e in ogni caso è solo un gruppo di persone riuniti attorno al Papa.

Il fatto che queste persone cambino continuamente non fa altro che andare contro la continuità e a favore di una centralizzazione delle prerogative del Papa. Nella storia moderna non c’è stato Papa più Papa-re di Francesco, che ha utilizzato tutte le prerogative pontificie, con legislazione emergenziale o personale (l’ormai famoso Motu proprio) e decisioni “sinodali”.

Il Papa si lamenta di essere accusato di distruggere il papato, ma in realtà non capisce la radice profonda della critica, che non riguarda lui, né il ruolo del Papa quanto il ruolo della Santa Sede e come viene percepito esternamente. È una sfumatura, una questione più sottile, che però il Papa riduce all’assurdo, come se fosse considerato il Papa che ha rovinato l’istituzione del pontefice. Questa non è mai stata la critica, e se c’è stata, senza dubbio non è stata adeguatamente sfumata.

C’è, tuttavia, una discontinuità percepibile accompagnata dal desiderio di Papa Francesco di imporre il proprio punto di vista. Poiché è il Papa a decidere, bisogna necessariamente essere d’accordo con il Papa, e non si nota come, ad esempio, alcune scelte creino ancora una rottura con il passato. Non ci sono mai state rotture nette nella storia della Chiesa; c’è sempre stata una continuità storica, che non è mai venuta meno nelle grandi stagioni delle riforme. Allo stesso tempo, c’è sempre stato un dibattito.

Parlare di resistenza alla riforma necessariamente divide in un “noi” e un “loro”. Crea non solo una Corte, ma una vera squadra in difesa di quella che deve essere la riforma. Il problema con il pontificato di Francesco, in altre parole, è che ha fatto molta strada verso la trasformazione del papato stesso – l’istituzione del Romano Pontefice – in un mero potere partigiano all’interno della Chiesa, che agisce politicamente, e lo fa in gran parte con lo scopo di demonizzare la pratica stessa della “politica” che avrebbe caratterizzato la vita istituzionale del papato.

Questa è forse una delle grandi contraddizioni del pontificato: vuole essere nuovo, mentre utilizza strumenti vecchi e rappresentare come nuove cose che fanno parte della tradizione della Chiesa. Non che non ci fossero problemi da affrontare e questioni da migliorare. Nel Conclave del 2013 questa ansia di rinnovamento si è fatta sentire, o almeno è stata percepita dai giornalisti. Ma è anche vero che il desiderio di rinnovamento era soprattutto funzionale; si trattava di un rinnovamento delle strutture, che non significava distruggere l’istituzione e ricostruirla dalle fondamenta. C’erano degli aggiustamenti funzionali da fare, accompagnati invece da un doveroso cambio di mentalità.

Papa Francesco invita ad un cambio di mentalità, ma i mezzi che usa sono invece quelli politici di un Papa che prende tutte le decisioni e si lamenta che coloro che lo criticano non l’hanno capito. Anzi, accusa ogni possibile critica come guardare indietro.

Il Papa, è vero, è chiamato ad essere prima di tutto sacerdote. È però anche vero che la sua prima funzione è quella di garantire l’unità della Chiesa. Del resto, chi saprà mai dov’è il centro se il centro va in periferia? E poi, esiste una periferia nella Chiesa? Perché dove c’è l’Eucaristia non c’è periferia: c’è sempre il centro della Chiesa.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

Copertina

[*] Complimenti al collega e amico Fabio Marchese Ragona, giornalista Mediaset, sempre sul pezzo, per Life. La mia storia nella Storia (Harper Collins Italia Editore,‎ 336 pagine [QUI]), l’autobiografia che ha scritto insieme a Papa Francesco, che oggi 19 marzo 2024 esce in 21 Paesi del mondo. Il libro è già al primo posto nella classifica Bestseller di Amazon: nella categoria Libri, in Biografie e autobiografie, in Chiesa Cattolica Romana e in Istituzioni e organizzazioni cristiane.

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