Papa Francesco e il caso della giustizia vaticana

Udienza
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.03.2024 – Andrea Gagliarducci] – Che il processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato avrebbe comportato conseguenze e difficoltà per la Santa Sede era comprensibile fin dal momento in cui il Tribunale vaticano ha emesso la sentenza. La Corte stessa ha presentato scelte incoerenti e una linea di giudizio che sembrava variare a seconda delle situazioni. Solo la pubblicazione del testo della sentenza, entro quest’anno, potrà spiegare le ragioni di alcune decisioni.

È indicativo che, al termine di quel processo, tutti abbiano già dichiarato di voler ricorrere in appello, anche il Promotore di Giustizia vaticano, che si è anche detto soddisfatto di aver visto accettata, almeno in parte, la sua accusa. Allo stesso tempo, la Segreteria di Stato non farà appello, essendosi costituita parte civile, anche se non ha visto riconosciute tutte le sue richieste di risarcimento.

La questione però va oltre la sentenza e riguarda come si è svolto il processo tra le mura vaticane. Quattro rescritti di Papa Francesco, indagini e perquisizioni di cui è stata messa in discussione la correttezza procedurale, e interrogatori dai toni duri talvolta definiti manipolativi, hanno caratterizzato il processo, fin dalla fase embrionale che ha portato al processo. Tutte queste denunce, gli avvocati hanno sollevato più volte tutte queste denunce, chiedendo più volte l’annullamento del processo, perché il procedimento lo aveva reso invalido.

La scorsa settimana, un parere del canonista Paolo Cavana pubblicato sulla rivista telematica Stato, Chiese e pluralismo confessionale [QUI] ha ribadito molte delle criticità. Allo stesso tempo, la notizia di un’inchiesta in Italia sulle intercettazioni illegali ha influenzato anche il processo vaticano, perché tra le persone intercettate illegalmente figuravano anche alcuni imputati del cosiddetto “processo del secolo”.

Papa Francesco ha incontrato i magistrati del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario [QUI]. Ha chiesto loro di andare avanti “con coraggio” e di restare un po’ sordi alle critiche. In quella stessa udienza, il 2 marzo, Alessandro Diddi, Promotore della Giustizia vaticana, ha sottolineato che il sistema vaticano è in linea con quello europeo, anche se non ne fa parte: parole che sanno di una sorta di excusatio non petita.

Senza entrare troppo nei dettagli tecnici, è chiaro che questo processo, proposto da Papa Francesco, ha creato un cortocircuito nel mondo vaticano, le cui conseguenze si vedranno negli anni a venire. Dalla gestione delle indagini è emerso che i cittadini Italiani erano abbandonati a se stessi in un Paese (il Vaticano) considerato extracomunitario e senza garanzie. Questa situazione è stata paradossalmente alimentata da avvocati Italiani, che hanno sostenuto e utilizzato un sistema “giustizialista” sotto le spoglie di magistrati vaticani. Al contrario, nella loro veste di avvocati in Italia, difendevano i diritti garantiti dalla Costituzione.

Ci vuole poco per capire che ciò ha delle conseguenze anche sugli impegni internazionali della Santa Sede. Come è noto, la Santa Sede non è parte della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e la questione è sempre stata sollevata nel corso del processo, ogni volta che è stato evidenziato che il trattamento degli indagati non era stato in linea con le richieste della Convenzione.

Ma allora bisogna chiedersi se la Santa Sede possa utilizzare un argomento positivistico (la mancata firma della Convenzione CEDU) come difesa in caso di violazione dei diritti umani, in particolare nel caso di un giusto processo dei cittadini Europei. E poi la Santa Sede (anche in nome e per conto del Vaticano) ha firmato l’Accordo monetario del 2009 per l’utilizzo dell’euro. Si tratta di una forma di partecipazione al sistema monetario e di adesione ai valori alla base dell’Unione europea, compreso il rispetto della dignità e dei diritti umani. Tra questi valori figurano il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, la presunzione di innocenza, il rispetto dei diritti della difesa e la proporzionalità delle eventuali sanzioni.

Tutti questi aspetti sono stati rispettati? Non secondo Cavana, in quella che sembra essere la prima di una serie di pareri e studi che scandiranno il dibattito sul processo vaticano fino al momento della pubblicazione della sentenza. Già solo questa circostanza metterebbe in crisi il sistema giudiziario vaticano. Ma ha un effetto ancora più decisivo la questione delle intercettazioni illegali in Italia, che hanno coinvolto alcuni degli imputati del processo. Basti pensare che nel corso del processo si è parlato più volte, anche ai limiti della legalità, dell’attività di raccolta dati, ma la questione non è mai stata veramente approfondita.

Il fatto che queste intercettazioni esistano e che esistevano già dai tempi dei rescritti del Papa, che ampliarono il potere investigativo dei giudici vaticani, lascia ancora il sospetto che si tratti di un dossier prefabbricato, nato in una zona grigia in cui avvocati italiani e magistrati vaticani si incontrano e si incrociano, in una collaborazione strana perché nata dalla peculiarità di un doppio ruolo. I Promotori di Giustizia vaticani e i giudici della corte svolgono incarichi di avvocati anche in Italia, ed è come se un avvocato degli Stati Uniti potesse fare il pubblico ministero in Canada.

Ma se così fosse, l’intero processo vaticano perderebbe la sua validità. Sarebbe un processo nato con uno scopo preciso e portato avanti a tutti i costi per allinearsi allo scopo originario. A quel punto, anche il Cardinale Angelo Becciu sarebbe finito nel mirino del Papa, non per l’appropriazione indebita di cui è stato riconosciuto colpevole in primo grado (tra l’altro senza prove evidenti), ma a causa di un dossier, che faceva parte una “guerra” tra servizi italiani – e Becciu aveva incontrato, attraverso Cecilia Marogna, la fazione che aveva perso nella battaglia per il comando dei servizi [QUI].

Inoltre, il processo è diventato l’occasione perfetta per stabilire il nuovo corso vaticano, per mettere in crisi la Segreteria di Stato e la sua gestione (e infatti l’indipendenza della Segreteria di Stato è la più danneggiata dalla vicenda), ed eliminare coloro che negli anni avevano lavorato affinché il sistema della Santa Sede si distaccasse dall’ingombrante vicino italiano e diventasse sempre più internazionale (ricordate la legge antiriciclaggio e l’apprezzato lavoro dell’ex Autorità di Informazione Finanziaria vaticana, alti funzionari?).

Siamo ancora nelle ipotesi, ma se le indagini in Italia confermassero questo quadro generale, ci troveremmo in una situazione disastrosa. E così, il processo del secolo, che mirava a riaffermare la trasparenza della giustizia vaticana, potrebbe essere il processo che ha minato la credibilità del Vaticano.

E per quanto riguarda il Papa? In questo processo Papa Francesco ha giocato la sua reputazione. Egli è intervenuto personalmente, sia nei fatti contestati nel processo (l’investimento della Segreteria di Stato nelle azioni di un immobile di lusso a Londra e la successiva decisione di assumere il controllo dell’immobile per evitare ingenti perdite) sia nell’andamento delle indagini, cambiando le regole strada facendo.

Ne emergerebbe il quadro di un pontificato fortemente influenzato, incapace di difendere l’indipendenza della Santa Sede e che gestisce le situazioni di crisi agendo come un monarca assoluto, senza una struttura di governo che lo aiuti a comprendere le possibili manipolazioni o conseguenze delle sue scelte.

Fin qui, ovviamente, siamo nel campo delle speculazioni, e ogni dubbio va dimostrato per diventare un fatto concreto. Tuttavia, vale la pena sollevare dubbi e considerare le possibili conseguenze di alcune decisioni. Alla fine, a rimetterci è la Santa Sede. Ma se soffre la Santa Sede, soffre la Chiesa.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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