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Otello Cenci: anche gli spettacoli al Meeting cercano l’essenziale

“In un mondo dinamico e tecnologicamente avanzato come il nostro, in cui le distrazioni pervadono le nostre vite, sentiamo forte l’urgenza di scoprire ciò che conta veramente nella vita. I conflitti e le guerre che seminano violenza e morte ci pongono in modo inequivocabile di fronte a domande che la cultura contemporanea tende a rimuovere, le domande sul nostro destino e sul senso del dolore. La ricerca di una felicità vera e duratura non può accontentarsi di illusioni ed utopie: le costruzioni artificiose di apparenze inconsistenti, infatti, non reggono alla radicalità di questa ricerca e di tali domande”.

E’ la proposta di fondo che guida il tema del Meeting dell’Amicizia fra i Popoli, giunto alla 45^ edizione, che si svolge alla Fiera di Rimini dal 20 al 25 agosto con il titolo ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’, caratterizzata da tavole rotonde, mostre, spettacoli, iniziative culturali, sportive e per ragazzi e trasmessa in diretta su più canali digitali e in più lingue e si apre con lo spettacolo ‘Chi sei tu? La sfida di Gerusalemme”, tratto dal libro ‘La sfida di Gerusalemme. Un viaggio in Terra Santa’ del drammaturgo Eric-Emmanuel Schmitt, che ha accettato la proposta di fare un viaggio di un mese in Terra Santa per raccontare la sua esperienza in un diario.

L’idea di portare in scena il testo nasce da Lorenzo Fazzini, direttore editoriale di Libreria Editrice Vaticana, adattato per la scena da Emanuele Fant e Otello Cenci che ne cura la regia. A dare voce al viaggio di Schmitt è l’attore Ettore Bassi, con le musiche eseguite dal vivo da Mirna Kassis, Matteo Damele, Filippo Dionigi, Tomas Milner, con la partecipazione in video dello stesso Éric-Emmanuel Schmitt, presentato nello scorso luglio al ‘Teatro del Dramma Popolare’ di San Miniato in una cooperazione della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS, Fondazione Istituto Dramma Popolare San Miniato, Centro Teatrale Bresciano.

Partendo dal tema generale chiediamo al regista e direttore artistico degli spettacoli del Meeting per l’amicizia fra i popoli, Otello Cenci, di raccontarci per quale motivo il Meeting pone questa domanda: “In un momento storico segnato da guerre, crisi economiche e sociali, crollo dei valori esistenziali, politici e religiosi che hanno sorretto le generazioni precedenti, diffusa insicurezza, e grande timore verso il futuro, credo che porre a tema cosa sia essenziale all’uomo per vivere sia una scelta decisiva, radicale e coraggiosa. Il Meeting da sempre ha questo desiderio di mettersi in dialogo con il mondo intero ponendo a tema l’esistenza dell’uomo e il suo significato”.

Il Meeting dell’Amicizia fra i Popoli apre con lo spettacolo teatrale tratto dal libro di Schmitt con la sua regia: quale sfida ci attende?

“Lo spettacolo coinvolge il pubblico in un viaggio emozionante, fatto di parole, musica, proiezioni, balli e canti che ci permettono di condividere almeno in parte, l’esperienza vissuta dall’autore nel suo viaggio in Terra Santa. I preconcetti, la ritrosia e il distacco con cui l’autore si approccia alle persone che incontra e ai luoghi che visita, sono quelli propri di tante persone del nostro tempo. Risulta quindi facile immedesimarsi con il protagonista e condividere con lui, prima i dubbi, poi lo stupore per alcune scoperte e, infine, un cambiamento inaspettato.

La sfida per Eric Emmanuel Schmitt è stata prima, quella di accettare di compiere il viaggio, poi arrendersi a quello che gli stava accadendo e infine avere il coraggio di condividerlo con tutti noi: attraverso il libro e anche con lo spettacolo. La sfida per il pubblico è quella di abbandonarsi per sessanta minuti e farsi trasportare in quella terra da anni martoriata dalla guerra e accettare una nuova ipotesi con cui guardarla”.

Come è possibile trasformare un testo di ‘viaggio’ in drammaturgia?

“Per noi che abbiamo collaborato alla realizzazione dell’opera scenica, la sfida è stata quella di adattare il testo in modo da salvare le parti fondamentali del tragitto sia geografico che personale presenti nel testo, valorizzando quelle sfumature che rendono pienamente umana l’avventura. L’altro aspetto a cui abbiamo tenuto molto è stato quello di rendere emozionante la messa in scena per comunicare allo spettatore non solo gli eventi cronologici del racconto, ma gli stati d’animo che l’autore ha provato nel suo viaggio.

A questo scopo sono stati essenziali il lungo lavoro svolto sul testo con Emmanuele Fant e, successivamente quello sulla musica, sulle proiezioni e sulla scenografia. Il coinvolgimento di Mirna Kassis, cantante siriana con cui collaboro da anni e di professionisti giovani appassionati e di talento è stato essenziale, così come la presenza di Ettore Bassi che credo che in questo spettacolo abbia dato veramente il meglio di sé”.

Oltre a questo spettacolo inaugurale quali sono gli altri appuntamenti da non perdere in questa settimana?

“La settimana è veramente ricca di tante proposte diverse e interessanti. Oltre allo spettacolo inaugurale, presenteremo al Teatro Galli due spettacoli teatrali: ‘Acqua’ che affronta il tema della verità contrapposta agli interessi personali e ‘Fra’, San Francesco, la superstar del Medioevo’ di e con Giovanni Scifoni. Il noto pianista iraniano Ramin Bahrami presenterà brani di Johann Sebastian Bach, in una serata che vede la sinergia con la Sagra Musicale Malatestiana.

Oltre agli spettacoli al Teatro Galli, insieme alla Cineteca di Rimini, ci sarà l’occasione di assistere alla proiezioni di alcuni film presso la Corte degli Agostiniani; i tre film in visione sono ‘Tatami’, ‘The Old Oak’ e ‘I bambini di Gaza’, opere che vogliono stigmatizzare l’ideologia politica e culturale attraverso storie di amicizia, ribellione e nuovi orizzonti.

 L’avventura continua con alcuni appuntamenti imperdibili ad ingresso libero che avranno luogo presso la Fiera di Rimini; tra i più significativi sottolineo lo spettacolo di poesia e musica a cura dell’Associazione Amici di Nicco Palco ‘Voglio la pace che nessun uomo può dare’ e la finale della quarta edizione del ‘Meeting Music Contest’ che presenterà alla giuria, presieduta da Filippo Graziani, i cinque giovani artisti selezionati tra gli oltre 200 iscritti”.

Eppoi i 40 anni del teatro ‘Gli Incamminati’: perché il Meeting sentì l’esigenza di dare spazio al teatro?

“L’arte scenica è fin dall’origine nel DNA del Meeting di Rimini. I primi anni si sono realizzati degli eventi itineranti lungo i luoghi più significativi della città, coinvolgendo migliaia di persone che rimanevano esterrefatte dall’imponenza delle installazioni e dalle centinaia di figuranti che partecipavano a questa sorta di sacra rappresentazione popolare. Il teatro serve per riflettere nel vero senso del termine, ossia guardarsi allo specchio e osservandosi dall’esterno fare i conti con le proprie paure, i propri vizi e le proprie virtù. Il teatro, insomma, ma direi l’arte in generale, serve per scoprire sé stessi ed esorcizzare paure e malesseri.

Desideriamo tutti sapere chi siamo veramente, come siamo fatti e confrontarci con il pensiero e le esperienze di altri, che vivono lontano nel tempo e nello spazio, ma anche con quelli vicino a noi, quelli che condividono il numero di posto subito dopo il nostro. E’ evidente allora, come sia importante per il Meeting per l’amicizia fra i popoli, offrire occasioni di confronto con testi significativi, con autori classici e contemporanei, con interpreti di grande talento e giovanissimi.

E’ un’occasione unica poi fare questo tipo di proposte così ambiziose, a Rimini, capitale del turismo spensierato. Una provocazione solare come la stagione estiva in cui si colloca. il cartellone sembra dire: ‘venite a vedere questi spettacoli e commentiamoli insieme davanti ad un caffè od uno spaghetto…’. L’invito è aperto a tutti!”

(Tratto da Aci Stampa)

Da Trieste i cattolici rendono viva la democrazia

“Il tema della settimana è ‘Al cuore della democrazia’ e la riflessione che mi è stata affidata ha per titolo ‘Amare la democrazia nelle sfide del presente’. Un po’ come dire: ‘se vogliamo andare al cuore della democrazia, dobbiamo avere la democrazia nel cuore’. Se siamo qui, la abbiamo”: con queste parole, dopo la giornata inaugurale, il prof. Michele Nicoletti, docente di filosofia della politica all’Università di Trento, ha introdotto i partecipanti al tema della Settimana sociale, in svolgimento a Trieste.

Nella riflessione il relatore ha richiamato ‘le principali sfide che il tempo presente lancia alla democrazia’: “Dallo stato di salute delle democrazie nel mondo emergono elementi di preoccupazione. Se dobbiamo paragonare il momento presente a quello della fine del secolo e del millennio scorso, è facile notare la differenza, soprattutto in termini di ‘aspettative’ nei confronti della democrazia.

Dopo la caduta del muro di Berlino, il successo della democrazia come forma di governo pareva affermarsi in ogni continente… Oggi, il numero delle democrazie nel mondo tende a decrescere e anche là dove i regimi rimangono formalmente democratici la loro sostanza e la loro qualità democratica pare indebolirsi. E soprattutto diminuisce il favore di cui la democrazia sembrava godere. Insomma la democrazia pare in affanno, sfidata da più parti”.

Quindi ha spiegato il motivo per cui è necessario ‘amare’ la democrazia: “Se la democrazia fosse solo una forma di governo tra le altre, una procedura o una tecnica, sarebbe difficile dire che la dobbiamo amare. Se usiamo questa parola impegnativa è perché essa porta con sé l’idea di una forma di vita. E’ l’idea dell’autogoverno. L’idea della libertà intesa come il non essere schiavi. Il non essere cose di proprietà di altri. Ma persone aventi una dignità. E questa dignità è data dal fatto che in ciascuna persona non vi è solo una realtà di cui avere cura, perché unica e insostituibile, ma vi è una soggettività, cioè una capacità di essere soggetto, di guidare la propria vita, di affermare non solo se stesso, ma tutto l’essere”.

Quindi la democrazia non risponde solo all’efficienza della produzione: “Per questo la democrazia non si misura in primo luogo sull’efficienza. Ci sono altri regimi che possono essere, in determinate situazioni più produttivi dal punto di vista economico e magari anche più capaci di fornire servizi e assistenza. Ma la democrazia è quella forma del vivere assieme di persone che si vogliono libere e che vogliono essere protagoniste nel determinare le scelte fondamentali della loro esistenza e il destino delle loro comunità”.

La democrazia è nata dalla filosofia greca, ma anche dalla libertà insita nel cristianesimo: “Quanto c’è qui dell’orgoglio greco della libertà? Ma quanto c’è qui della libertà cristiana! Di quella consapevolezza che le scelte fondamentali della nostra esistenza possono essere prese solo nella libertà. Dio stesso, creatore della libertà umana, ne ha un sacro rispetto. Decide di far passare la salvezza dell’umanità dal ‘sì’ libero di Maria. Pensate politicamente alla potenza di questa scena: il Signore degli eserciti che si premura di raccogliere il sì di una donna per fare il bene dell’umanità. E ogni società umana che viene istituita (a partire dalla famiglia fondata sul matrimonio) richiede il rispetto della libertà”.

Perciò occorre amare la democrazia in quanto riconosce la libertà a tutti: “Ma c’è una seconda ragione per cui amare la democrazia. Perché essa ambisce a riconoscere questa libertà a ogni essere umano e non solo ad alcuni e produce così non solo degli esseri che vogliono vivere da soggetti liberi e sovrani ma anche delle relazioni umane e sociali tra esseri che sono liberi ed uguali. Ci fa sperimentare non solo il gusto della mia libertà, ma il gusto della libertà dell’altro. E questa è la cosa più dura. Guai a non capire questa difficoltà e la necessità di una pratica educativa al rispetto della libertà dell’altro, a una vera e propria ascesi”.

La democrazia è ‘frutto’ di una lotta durata secoli, sovvertendo le abitudini sociali: “Per secoli era considerato naturale che ci fossero schiavi. Era considerato naturale che le donne fossero in posizioni subordinate. Che i poveri avessero meno diritti. E così via. Non è un processo spontaneo il far sì che in una comunità dove ci sono patrimoni diversi, lavori diversi, intelligenze diverse, ognuno abbia un uguale potere di determinare con il proprio voto la vita della comunità. E’ il frutto di una scelta e di una scelta complessa e impegnativa. E’ il frutto di innumerevoli lotte e sacrifici. Va rifatta.

Dobbiamo rispiegare a noi stessi e a chi ci sta intorno l’uguale dignità di ciascuno. Il suo essere soggetto e non solo oggetto. La necessità di rispettare la libertà dell’altro. E di sperimentare, e qui sta l’elemento nuovo, che dentro questo amore per la libertà dell’altro, dentro questo desiderio di costruire una convivenza tra pari si apre una forma di vita più ricca della vita della dominazione in cui uso l’altro come un oggetto per il soddisfacimento dei miei bisogni o piaceri. E’ di nuovo l’amore a indicarci la strada”.

Però oggi il compito è quello di dare nuova linfa alla democrazia: “Se l’esperienza dell’oggi è quella di un diffuso senso di insicurezza, legata a un sentimento di spossessamento di sé, di essere nelle mani di altri, di un essere espropriati delle proprie radici, del proprio futuro, della propria identità, è facile la tentazione di voler offrire protezione a basso prezzo. La gente si sente insicura, dunque il nostro compito è proteggerla.

Nessuno nega la necessità di proteggere i più deboli dal prevalere della violenza e dello sfruttamento, ma la ricostruzione del soggetto democratico si basa su un movimento opposto, ossia il rafforzamento del proprio potere di governo di sé, la capacità di pensare con la propria testa, il senso di indipendenza e la forza del carattere… Qui, inutile dirlo, c’è un immenso lavoro educativo da svolgere”.

E la democrazia si difende non prevaricando i diritti delle persone, secondo il pensiero rosminiano: “Dentro questa gelosa custodia della dimensione di mistero di ogni persona, si colloca una più vigorosa difesa dei diritti delle persone. Questo rapporto tra diritto e persona è stato espresso da Rosmini in modo lapidario. La persona non ha diritti ma è il diritto umano sussistente. La nostra passione per i diritti non è una passione per i principi astratti ma per le persone in carne ed ossa. Per questo i diritti fondamentali sono unici e indivisibili. I diritti civili e i diritti sociali sono parte di un’unica realtà”.

Quindi occorre non soffocare le comunità locali: “La tradizione dei cattolici italiani è stata una grandissima tradizione di attenzione e impegno nelle comunità locali. Non sempre gli interventi recenti del legislatore hanno saputo valorizzare la ricchezza di questa dimensione, ma rimangono ancora straordinari spazi di partecipazione e impegno”.

E’ necessario, in fin dei conti, la struttura della democrazia: “Bisogna ridare vita alla dimensione deliberativa della democrazia. La democrazia non è solo elezione di capi. E’ anzitutto discussione e formazione discorsiva della volontà collettiva. La democrazia come spazio di discussione reale e di decisione si sta atrofizzando schiacciata da un lato dal prevalere della tecnocrazia dall’altro dall’invadenza della vuota chiacchiera. Servirebbero in ogni realtà locale dei centri studi politici che potessero mettere a disposizione della discussione pubblica le competenze di esperti”.

La democrazia deve poi accogliere la sfida di una democrazia “riparativa” che “proviene dal mondo ambientalista. Si tratta di dare voce a chi non ha nessuno che si faccia interprete delle sue istanze: di persone invisibili o sommerse o anche di realtà naturali che hanno bisogno del nostro ascolto e della nostra cura per poter sopravvivere. Non c’è politica ambientalista che si possa attuare senza partecipazione”.

Ed ha rilanciato la proposta del card. Zuppi a dare ‘vita’ ad una ‘Camaldoli’ europea: “Dobbiamo chiederci quanto spazio diamo nella nostra formazione sociale e politica alla comprensione dei fenomeni internazionali, delle dinamiche economiche, militari, politiche che governano la pace e la guerra tra gli Stati e che sono così influenti sulla nostra vita personale e collettiva. Le Chiese non possono sottrarsi a questa responsabilità. Sono tra le poche organizzazioni che hanno una storia secolare di lavoro internazionale. L’appello del card. Zuppi a una Camaldoli europea deve essere immediatamente raccolto. C’è bisogno di nuove generazioni di credenti europei innamorati della democrazia che imparino a lavorare assieme fin da giovani studenti”.

Insomma è necessario un ethos democratico: “Le nostre energie devono essere indirizzate alla ricostruzione di un ethos democratico. Dobbiamo ricostruire pratiche politiche fondate sul rispetto del senso delle parole, sulla ricerca razionale delle soluzioni più adeguate ai bisogni di tutti, su uno stile di radicale nonviolenza, sulla consapevolezza dei limiti strutturali della politica, sulla coscienza della parzialità delle proprie proposte, sullo sforzo di comprensione delle ragioni altrui, su uno studio approfondito dei problemi a partire dalla incidenza dei fattori economici e dei rapporti di forza nella vita collettiva. E questo ethos della democrazia deve nutrirsi di determinazione non solo nella difesa delle proprie idee e dei propri valori, ma anche nella difesa appassionata della possibilità per tutti di battersi pacificamente per le proprie idee. Il bene comune è anche questa cornice di principi e di ordinamenti che consentono la libertà di tutti”.

Mentre la docente di filosofia teoretica all’università di Bari, prof.ssa Annalisa Caputo, ha evidenziato ciò che nel 2010 affermava il card. Bergoglio: “Non possono esistere invisibili in un tessuto democratico. Se ciò che desideriamo nelle istituzioni è la giustizia e se ciò che desideriamo nella democrazia è l’universalizzazione di questa giustizia, non possiamo non desiderare la partecipazione di tutti. Si tratta di quella che Bergoglio già nel 2010 chiamava una ‘democrazia ad alta intensità’. Ogni filo che manca è un buco nel tessuto ecclesiale e sociale”.

Ed ecco il motivo dell’importanza dell’enciclica ‘Fratelli tutti’: “Non saremo mai ‘Fratelli tutti’ fino a quando ogni Stato e ogni popolo che è abituato a riconoscersi in una sola storia non farà posto a più storie. Lo vediamo per Palestina e Israele che non riescono ad ascoltare vicendevolmente i propri racconti storici, ma vale anche per la nostra storia’… L’Italia è anche il racconto che gli altri fanno di noi, dai grandi del G7 ai ‘poveracci’ che vorrebbero venire sul nostro territorio o abitarlo umanamente”.

Quindi la democrazia deve ‘ripartire’ proprio dall’ascolto degli ‘ultimi’: “Ogni autentica giustizia, ogni autentico impegno non può non ripartire proprio da chi non ha voce, da chi reclama la sua parte che non significa solo la sua parte di beni, ma l’effettiva possibilità di prendere parte alla costruzione della casa comune”.

Mentre nella riflessione biblica iniziale fratel Sabino Chialà, priore della Comunità di Bose, ha evidenziato che la democrazia ha il bisogno di un buon uso della parola: “Il primo scivolamento verso un’autorità abusante è il cattivo uso della parola. La vera autorità è terapeutica, opera per il bene dell’altro, aiuta l’altro a stare al mondo. Il primo fallimento dell’autorità è quello di chi si serve degli altri anziché servire, di chi opera per la morte invece che per la vita…

Un’autorità autentica ha bisogno della libertà da se stessi: solo gli uomini liberi da sé stessi e dal proprio narcisismo potranno essere davvero autorevoli. L’autentica autorità è oblativa: ogni abuso di autorità implica sempre la non libertà da se stessi”.

(Foto: Settimana Sociale)

La vista ad Limina della Chiesa nelle Marche, come far tornare i giovani alla fede?

‘Parole sincere, schiette, dirette, da uomo vicino alle problematiche concrete della nostra vita’: così a conclusione della visita ad limina dei vescovi marchigiani mons. Nazzareno Marconi, presidente della Conferenza Episcopale marchigiana, ha definito l’incontro dei vescovi marchigiani con papa Francesco, che aveva espresso solidarietà ‘per la situazione che le nostre diocesi vivono per il terremoto, l’alluvione… Situazioni acuite durante il tempo del Covid’, riferendo che il dialogo si era concentrato sulle ‘sfide pastorali di questo tempo di grandi cambiamenti’, in modo particolare la vicinanza alle famiglie e ai giovani e la difficoltà di trasmettere la fede tra le generazioni.  

Parole ribadite anche nel comunicato dalla Conferenza Episcopale delle Marche: “Papa Francesco ha risposto alle domande, incoraggiando il cammino comune delle Chiese marchigiane, solidarizzando con i nostri problemi, in particolare la complessa ricostruzione materiale e soprattutto sociale dopo terremoto, pandemia ed alluvione. Il papa ha confermato i vescovi nella coscienza del compito complesso di traghettare la Chiesa marchigiana, da un passato di tradizione e fede vissuto soprattutto nelle piccole parrocchie, ad un futuro molto diverso”.

Inoltre mons. Nazzareno Marconi, vescovo della diocesi di Macerata, ha definito ‘arricchente’ l’incontro con il papa: “E’ stato indubbiamente positivo ed arricchente che in una settimana tutti i vescovi delle Marche abbiano guardato insieme al presente e al futuro delle nostre Chiese, sotto molteplici punti di vista. Ciò che la Chiesa insegna; ciò che celebra; ciò che dona al mondo: dall’azione in favore dei poveri a quella di accoglienza ed accompagnamento all’incontro con Dio e con l’umanità di bambini, ragazzi, giovani, famiglie, lavoratori ed anziani. Ogni età della vita è preziosa per la Chiesa e mai, neppure da vecchi o da malati, le persone sono per noi meno importanti, o peggio, da scartare”.

Per i vescovi marchigiani il papa è stato attento al racconto dei vescovi marchigiani: “Il papa si è mostrato attento e interessato su tutto, davvero partecipe della fatica di trasmettere la fede alle nuove generazioni che, come vescovi, è la nostra prima e più grande preoccupazione. Perché siamo certi che il mondo e quello giovanile in particolare, ha un gran bisogno della ‘gioia del Vangelo’ dell’esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’, per vivere nel bene e per operare bene. Tanta insoddisfazione, tristezza, costante lamentela, ha la sua radice più profonda in vite che si sono allontanate da Dio e dalla vita buona del Vangelo, e non riescono a ritrovare la strada di casa”.

Nell’udienza papa Francesco ha esortato i vescovi marchigiani a ‘traghettare’ la Chiesa marchigiana verso un futuro diverso: mons. Nazzareno Marconi, qual è questo futuro di fede?

“In occasione della Visita ad Limina il papa, e anche i suoi più stretti collaboratori, hanno incontrato tutti i Vescovi Ordinari della Regione Ecclesiastica Marchigiana. In quell’occasione tutti abbiamo avuto un forte incoraggiamento a vedere la nostra Chiesa con uno sguardo verso il futuro. Ciò che abbiamo potuto constatare in quei giorni è che la Chiesa non può chiudersi in sé stessa ma ha una vocazione universale soprattutto con i più lontani.

In un tempo in cui tutti erano cresciuti in una cultura cristiana si poteva stare in chiesa ad aspettare perché si sapeva che qualcuno sarebbe arrivato, in una cultura secolarizzata come la nostra bisogna adoperarsi e rimparare ad evangelizzare in modo nuovo. La Pasqua appena trascorsa insegna che la Risurrezione cambia il futuro, ma anche il presente. Tutti siamo chiamati a vivere il presente in modo nuovo. Invece di immaginare di andare verso la morte e farci trascinare verso la disperazione possiamo camminare con fede ogni giorno. Piccoli passi possibili”.

Come è la fede dei marchigiani?

“La fede delle nostre zone è simile a tante altre parti d’Italia. Tante persone sono smarrite a causa degli eventi negativi che vive il nostro tempo. In questo disorientamento le persone cercano di aggrapparsi a delle certezze a volte, purtroppo, estremizzando la propria posizione, questo accade anche nella relazione con Dio. Già il Concilio Vaticano II aveva esortato a un impegno di tutti i cristiani verso l’evangelizzazione con la propria testimonianza. L’uomo ha bisogno di scoprire la relazione d’amore che Dio a nei suoi confronti attraverso un accompagnamento personale, possiamo scordarci le grandi massa di persone”.

A quali sfide pastorali è chiamata la Chiesa marchigiana?

“La Visita ad Limina Apostolorum, da poco conclusa, si è svolta dopo circa 10 anni dall’ultimo incontro. In questi anni la Chiesa marchigiana ha dovuto affrontare numerose sfide che hanno colpito tutto il territorio regionale in particolare: il terremoto e le alluvioni, sfide acuite durante il tempo del Covid. Papa Francesco, come un padre amorevole, ha intercettato queste nostre preoccupazioni esprimendo solidarietà e vicinanza. Anche con il papa il dialogo si è concentrato sulle sfide pastorali di questo tempo di grandi cambiamenti, in modo particolare la vicinanza alle famiglie e ai giovani e la difficoltà di trasmettere la fede tra le generazioni”.

Perché la messa non è più un fenomeno di massa?

“Nel mondo globalizzato in cui viviamo la cultura non è più cristiana. L’uomo di oggi pretende di avere sempre, tutto e subito, sono cambiati i tempi e i modi di relazionarci con l’altro e di conseguenza è cambiata anche la relazione con l’Altro. In questo contesto la Chiesa è chiamata ad essere lievito che, seppur piccolo, insignificante addirittura invisibile fa fermentare la massa”.

Quale formazione offre la Chiesa marchigiana alla luce dell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’?

“Nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ papa Francesco pone di nuovo al centro la persona di Gesù Cristo, il primo evangelizzatore, che oggi chiama ognuno di noi a partecipare con lui all’opera della salvezza. In quel documento papa Francesco si rivolge alle Chiese particolari perché conoscono il contesto, le sfide e le opportunità ma chiede anche a tutta la Chiesa un cammino partecipato e condiviso secondo una metodologia comune.

La nostra regione ecclesiastica sta cercando di camminare verso queste due direzioni: lasciando ad ogni Diocesi la libertà di proporre un cammino diversificato in relazione al proprio contesto ma allo stesso tempo insieme stiamo cercando di condividere un cammino formativo comune. Nell’ultimo anno pastorale evidenzio solamente un frutto di questo cammino: l’unificazione dell’insegnamento teologico in Ancona in cui laici e seminaristi provenienti da più centri di formazione, secolare e religiosa, stanno condividendo un percorso comune. Questo processo sta portando ottimi frutti di conoscenza, collaborazione e aiuto reciproco”.

(Tratto da Aci Stampa)

I vescovi europei: l’Unione europea è fondamentale per la democrazia

Parole come Natale, Maria o Giovanni fuori dall'Unione europea

Nel mese di giugno i cittadini europei sono chiamati a scegliere i nuovi rappresentanti e le Chiese invitano i cittadini ad esprimere il proprio voto, in quanto quello attuale è un tempo di grandi sfide, come aveva detto mons. Mariano Crociata, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali europee, nel suo discorso di apertura all’assemblea autunnale dei vescovi delegati: “Sentiamo che questo è un tempo in cui le grandi sfide che si profilano possono diventare occasione perché l’Unione Europea emerga con una unità più forte ed efficace in rapporto alle attese di oggi. Ma purtroppo i segnali non sembrano andare in tale direzione”.

Ed aveva aggiunto: “Avremo modo di vagliare modalità e contenuti di una dichiarazione comune, che dica anche la nostra attenzione e l’attesa di tutti i cittadini europei che il nuovo Parlamento sia rinnovato e rigenerato anche dal punto di vista etico, dopo le vicende che ne hanno offuscato l’immagine. Avvertiamo la responsabilità di far sentire quanto sia importante partecipare e di farlo sentire ai nostri confratelli vescovi e ai nostri fedeli. Al di là dei contenuti, che sono sicuramente importanti, credo che pochi come noi (intendo vescovi e Chiese) hanno la possibilità di promuovere l’interesse generale per una Europa che sia unita non per il vantaggio di qualcuno o di una parte, ma per il bene comune di tutti i nostri popoli e Paesi”.

Ora, a distanza di qualche mese, i vescovi europei ribadiscono la necessità di un ‘progetto’ europeo: “Il progetto europeo di un’Europa unita nella diversità, forte, democratica, libera, pacifica, prospera e giusta è un progetto che condividiamo e di cui ci sentiamo responsabili. Siamo tutti chiamati a portarlo avanti anche esprimendo il nostro voto e scegliendo responsabilmente i deputati che rappresenteranno i nostri valori e lavoreranno per il bene comune nel prossimo Parlamento Europeo”.

L’Unione Europea era sorta per garantire pace e democrazia al termine della Seconda Guerra Mondiale: “Il progetto di integrazione europea nasce dalle ceneri delle terribili guerre che hanno devastato il nostro continente nel secolo scorso provocando immenso dolore, morte e distruzione. E’ stato concepito con l’intento di garantire pace, libertà e prosperità. E’ sorto grazie al coraggio e alla lungimiranza di persone che hanno saputo superare le inimicizie storiche e creare una realtà nuova che rendesse praticamente impossibile in futuro la guerra nel nostro continente.

Inizialmente questo progetto era un progetto economico, ma comportava comunque una dimensione sociale e politica e dei valori condivisi. Molti dei padri fondatori dell’Unione Europea erano cattolici praticanti che credevano fortemente nella dignità di ogni essere umano e nell’importanza della comunità. Crediamo che per noi europei questo progetto iniziato più di 70 anni fa debba essere sostenuto e portato avanti”.

L’analisi dei vescovi europei mette in luce le sfide a cui l’Europa è chiamata ad affrontare: “Oggi l’Europa e l’Unione Europea stanno attraversando tempi difficili e incerti, con una serie di crisi negli ultimi anni e vere e proprie sfide da affrontare nel prossimo futuro, come le guerre in Europa e nei paesi vicini, le migrazioni e l’asilo, il cambiamento climatico, la crescente digitalizzazione e l’uso dell’intelligenza artificiale, il nuovo ruolo dell’Europa nel mondo, l’allargamento dell’Unione Europea e la modifica dei trattati, ecc.

gPer affrontare queste sfide cruciali alla luce dei valori fondanti dell’Unione Europea e costruire per noi e per le prossime generazioni un futuro migliore, non solo in Europa ma anche nel mondo intero, abbiamo bisogno di politici coraggiosi, competenti e motivati da valori e che perseguano veramente il bene comune. E’ nostra responsabilità fare la scelta migliore possibile nelle prossime elezioni”.

E’ una chiamata per i cristiani al discernimento: “Come cristiani dobbiamo cercare di discernere bene per chi e per quale partito votare in un momento così importante per il futuro dell’Unione Europea. Per fare questo dobbiamo prendere in considerazione vari fattori che possono anche differire da un Paese all’altro, per esempio, la possibilità di scegliere candidati o unicamente partiti, i programmi elettorali dei diversi partiti, i candidati stessi che si presentano”.

E le Chiesa possono offrire orientamenti: “A questo riguardo, anche le Conferenze Episcopali degli Stati membri possono offrire utili orientamenti. Inoltre, ciò che è importante è votare per persone e partiti che chiaramente sostengano il progetto europeo e che riteniamo ragionevolmente vorranno promuovere i nostri valori e la nostra idea di Europa, come il rispetto e la promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà, l’uguaglianza, la famiglia e la sacralità della vita, la democrazia, la libertà, la sussidiarietà, la salvaguardia della nostra ‘casa comune’. Sappiamo che l’Unione Europea non è perfetta e che molte delle sue proposte politiche e legislative non sono in linea con i valori cristiani e con le aspettative di molti dei suoi cittadini, ma crediamo di essere chiamati a contribuire ad essa e a migliorarla con gli strumenti che la democrazia offre”.

Infine con una citazione di Jacque Delors i vescovi europei si appellano ai giovani: “Molti giovani voteranno per la prima volta alle prossime elezioni, alcuni di loro a soli 16 anni. Incoraggiamo vivamente i giovani a esercitare il loro diritto di voto nelle prossime elezioni europee e a costruire così un’Europa che assicuri loro il futuro e risponda alle loro più genuine aspirazioni. Incoraggiamo anche i giovani cattolici europei che sentono la chiamata a impegnarsi in politica a seguire questa chiamata, preparandosi adeguatamente, sia intellettualmente che moralmente, a contribuire al bene comune in uno spirito di servizio alla comunità”.

E fu Natale

Natale: tempo che sa di intimità, di casa e del suo calore. Festa per noi dall’aspetto ovattato, magico. Si snoda in un clima di luci, di dolci e di poesia. Ma all’origine non era così. Anzi, il suo contrario. Aveva il sapore duro e amaro del rifiuto. E delle sue sfide. ‘Per loro non c’era posto’, annota chiaramente il Vangelo. 

Dall’Azione Cattolica Ragazzi un invito a compiere ‘passaggi’

Fine settimana dell’Immacolata di festa e di gioia al convegno nazionale degli educatori Acr ‘Passare per crescere’, con  centinaia di educatori, perché ‘educare non è questione di tecnica, ma capacità di essere appassionati, disponibili ad offrire ciò che siamo; a partire dai nostri talenti, che diventano luminosi nella misura in cui li offriamo agli altri’, come ha detto il presidente nazionale di Azione Cattolica, Giuseppe Notarstefano, che ha aperto i lavori.

L’Università Cattolica tra Gerusalemme, Atene e Roma

Gerusalemme, Atene e Roma sono i ‘crinali’ lungo i quali, mercoledì scorso, si è sviluppata l’inaugurazione del nuovo anno accademico dell’Università Cattolica a Milano, con il conferimento della laurea ‘honoris causa’ in ‘Scienze dell’antichità’ al card. Gianfranco Ravasi, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura.

Papa Francesco agli insegnanti cattolici: siate empatici nella testimonianza

All’Unione Mondiale degli Insegnanti Cattolici (UMEC) riunita a Roma papa Francesco ha ribadito l’importanza di educatori cristiani nella scuola, chiedendo attenzione alle colonizzazioni ideologiche e sottolineando come gli stessi educatori devono portare la testimonianza:

Apurimac, il Perù visto con gli occhi di Sant’Agostino

 “E’ il punto centrale, il cuore dell’insegnamento di Gesù ai discepoli in vista della loro missione nel mondo. Tutti i discepoli saranno testimoni di Gesù grazie allo Spirito Santo che riceveranno: saranno costituiti tali per grazia. Ovunque vadano, dovunque siano. Come Cristo è il primo inviato, cioè missionario del Padre e, in quanto tale, è il suo ‘testimone fedele’, così ogni cristiano è chiamato a essere missionario e testimone di Cristo. E la Chiesa, comunità dei discepoli di Cristo, non ha altra missione se non quella di evangelizzare il mondo, rendendo testimonianza a Cristo. L’identità della Chiesa è evangelizzare”.

P. Criveller racconta la fede a Taiwan

Un mese fa il segretario alla Difesa, Usa Lloyd Austin, aveva messo in guardia dalla crescente minaccia cinese nei confronti di Taiwan in un discorso allo Shangri-La Dialogue, per cui la Cina ha cambiato la sua politica nei confronti di Taipei, mentre gli Stati Uniti rimangono ancorati al Taiwan Relations Act, che li impegna a mantenere la capacità militare dell’isola con la fornitura di armi difensive.

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