A Stepanakert etnicamente pulita, l’Azerbajgian ha eretto un monumento “Pugno di Ferro” prima di una programmata parata militare con Aliyev

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 31.10.2023 – Vik van Brantegem] – Dopo l’occupazione militare e l’erezione di una statua del “Pugno di Ferro” a Berdzor (Lachin) e a Hadrut, Il governo Azerbajgiano ha eretto anche a Stepanakert, la capitale della Repubblica di Artsakh svuotata dai suoi abitanti Armeni, prima di una programmata parata militare. Una parata militare dell’Azerbajgian in una città fantasma che ha etnicamente pulita. «I nostri vicini non possono nascondere le loro intenzioni “pacifiche”» (Tatevik Hayrapetyan). Corre voce che il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha intenzione di ritornare a Stepanakert intorno al 9 novembre per celebrare l’accordo trilaterale di cessate il fuoco del 2020 e la successiva occupazione con la forza militare del territorio storicamente armeno.

La statua del “Pugno di Ferro” dell’Azerbajgian a Stepanakert, appena un mese dopo la completa pulizia etnica dell’Artsakh, è una meschina dimostrazione di potere e dominio che invalida tutte le dichiarazioni sulla “coesistenza” e sulla “reintegrazione”. E questo è semplicemente inquietante.

«Il monumento “Pugno di Ferro”, che simboleggia la vittoria dell’Azerbajgian, si trova a Khankendi».

Ezra Ackner, il 29 settembre 2023 aveva scritto in un post su Twitter: «Da molto tempo gli Armeni lo considerano [il monumento “Noi siamo le nostre montagne” a Stepanakert] un simbolo di “indipendenza” dall’Azerbajgian. L’Azerbajgian dovrebbe erigere un monumento del “Pugno di Ferro” molto più grande proprio accanto ad esso. Dato che è stato costruito in epoca sovietica, quando Armenia e Azerbajgian vivevano fianco a fianco, è improbabile che venga rimosso. Accanto ad esso deve essere costruito un monumento più grande che simboleggia la presenza storica, culturale e politica di Azerbajgian per dimostrare che è più grande dell’ideologia delirante armena».
Proprio accanto ad esso, non al suo posto. Infatti, questo sarebbe un contrasto perfetto tra i valori dei due popoli. Uno costruisce un monumento in onore delle generazioni più anziane e dei profondi legami con la terra, l’altro un pugno volgare che glorifica la conquista e la sottomissione.

Periodo di decenza secondo il governo italiano? Meno di 30 giorni. Una delegazione del Ministero della Difesa italiano visita Baku a meno di un mese dalla pulizia etnica dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh per vendere – spudoratamente – armi all’autocrazia di Baku.
L’account ufficiale di Twitter dell’Ambasciata italiana a Baku comunica, pubblicando le foto sopra: che il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Amm. Cavo Dragone, è in visita in Azerbajgian, con deposizione di una corona di fiori alla Galleria dei Martiri e colloqui con l’omologo Gen. Valiyev, il Vice Ministro della Difesa Gurbanov e l’Assistente del Presidente Ahadov. Comunica inoltre, che è stato inaugurato il nuovo Ufficio dell’Addetto militare dell’Ambasciata italiana a Baku.
L’irresistibile attrazione del governo italiano per l’autocrazia azera evidenzia la debolezza della sua politica estera incapace di discutere di business ed etica. Che vergogna.

«L’Azerbajgian garantisce la vita pacifica dei suoi cittadini di origine armena che vivono in Karabakh – Il Capo del Ministero degli affari interni e delle comunicazioni – Baku. Turkic World: Il governo dell’Azerbajgian fornisce garanzie globali per la vita pacifica dei cittadini di origine armena che vivono nel territorio del Garabagh in Azerbajgian. Turkic World riferisce che lo ha detto il Capo del Servizio di Sicurezza dello Stato, il Colonnello Generale Ali Nagiyev, durante il suo incontro con il Segretario Generale del Consiglio Europeo, Maria Pejcinovich Buric».

Quindi, l’Azerbajgian fornirebbe “garanzie” agli Armeni dell’Artsakh dopo il blocco di 10 mesi e il genocidio compiuto. «Il governo dell’Azerbajgian fornisce garanzie globali per la vita pacifica dei cittadini di origine armena nel territorio di Garabagh in Azerbajgian», ha affermato secondo Turkic World il Capo del Servizio di Sicurezza dello Stato dell’Azerbajgian, il Colonnello Generale Ali Nagiyev, durante un incontro con Marija Pejcinovic Buric, Segretario Generale del Consiglio Europeo, informa News.am, citando l’agenzia di stampa statale dell’Azerbajgian APA.

«Durante l’incontro con il Segretario Generale del Consiglio Europeo, il Colonnello Generale Ali Nagiyev ha fornito uno spaccato dell’attuale situazione di sicurezza nella regione e ha sottolineato che l’Azerbajgian è sempre stato interessato all’instaurazione di una pace duratura nella regione. Ha parlato in dettaglio del lavoro svolto dal governo, della garanzia globale del governo azerbajgiano per la vita pacifica dei cittadini di origine armena che vivono nella zona di Garabagh in Azerbajgian, degli sforzi dell’Azerbajgian per garantire il benessere, la stabilità fondamentale e affidabile in regione, l’importanza di normalizzare le relazioni con l’Armenia e di firmare presto un trattato di pace», ha aggiunto l’APA.

Ricordiamo che per quasi 10 mesi l’Azerbajgian ha tenuto sotto assedio la stessa popolazione Armena dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, alla quale ora “garantisce” il benessere, mentre la affamava, non permetteva la consegna di medicinali, terrorizzava i suoi residenti e, come di conseguenza, ha completato le sue operazioni genocide con l’aggressione terroristica su larga scala del 19 e 20 settembre di quest’anno, per cui praticamente l’intera popolazione armena della regione ha lasciato le proprie case e le terre ancestrali. Sono rimaste solo qualche dozzina di Armeni nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, persone anziane e malate che semplicemente non sarebbero sopravvissuti allo sfollamento verso l’Armenia. Probabilmente Nagiyev ha promesso loro un “futuro luminoso” se, ovviamente, non diamo per scontato che il generale azerbajgiano ha una cattiva opinione della capacita intellettuale di Segretario Generale del Consiglio Europeo.

Il Segretario Generale del Consiglio Europeo ha visto i video dei soldati Azeri che distruggono le case armene, rubano proprietà armene e rimuovono le croci e la lingua armena dall’Artsakh/Nagorno-Karabakh? In caso contrario, ne pubblicheranno di nuovi ogni giorno.

Durante lo sfollamento forzato dall’Artsakh all’Armenia, sono morte 64 persone, ha detto Rafael Vardanyan, Capo del Dipartimento investigativo su casi particolarmente importanti del Dipartimento investigativo militare del Comitato investigativo della Repubblica di Armenia. A seguito dell’aggressione all’Artsakh del 19-20 settembre 2023 «abbiamo più di 200 morti tra militari e civili. La sorte di circa 12 civili e di circa 30 militari è ancora sconosciuta», ha detto Rafael Vardanyan. Ha inoltre riferito che sono stati registrati 14 casi di tortura, 12 contro militari e 2 contro civili. Sono stati uccisi 9 civili nelle operazioni militari, mentre 3 dei quali bambini. 231 militari e 80 civili hanno riportato ferite fisiche di varia entità.

«Ho sempre potuto trascorrere poco tempo con mio padre perché era sempre impegnato con il lavoro. Spero che me ne venga concesso ancora e di poterlo riabbracciare». David Vardanyan ha 28 anni. Il 22 settembre suo padre Ruben è stato arrestato mentre cercava di lasciare il Nagorno-Karabakh dopo l’attacco lanciato dalle autorità azere contro la regione a maggioranza armena. «Mio padre era tornato in Artsakh, ed era rimasto lì mentre era in corso il blocco. Noi in famiglia eravamo contrari, ma lui pur conoscendo i rischi ha deciso di andare lo stesso».
Dopo l’attacco, Ruben Vardanyan lascia la zona mentre è in corso un esodo di migliaia e migliaia di altri Armeni in fuga verso l’Armenia ma, arrivato al primo posto di blocco azero, viene arrestato. «Abbiamo saputo della notizia dai media», spiega al Corriere David maggiore dei 4 figli di Vardanyan. Ruben viene poi trasferito a Baku, capitale dell’Azerbajgian, e da lì portato in prigione. «Nessuno ha potuto vederlo da allora». La famiglia assume una legale locale in quanto non è possibile per gli avvocati armeni operare in Azerbajgian. «Abbiamo davvero poche notizie, non sappiamo effettivamente nemmeno come stia mio padre e non abbiamo mai potuto parlare con lui, se non brevemente. Ha 55 anni, siamo preoccupati per le sue condizioni di salute».
Vardanyan è accusato di «finanziamento del terrorismo», «creazione di gruppi o gruppi armati illegali» e «attraversamento illegale del confine» ma, a due mesi dall’arresto, non è ancora apparso di fronte al giudice. Rischia fino a 14 anni di carcere.
È stato Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh e nel 2022 ha rinunciato alla cittadinanza russa. Nonostante ciò è stato licenziato dalla carica nel febbraio 2023 perché considerato troppo vicino a Mosca e poco nelle grazie del Primo Ministro armeno.
Secondo le informazioni in possesso dei Vardanyan con Ruben sono in totale 7 i prigionieri politici nelle mani degli Azeri mentre sono 53 i prigionieri di guerra. «Sappiamo che la Croce Rossa Internazionale li sta visitando in carcere o li ha già visitati. Ma niente di più», continua David. Nessun contatto è invece arrivato alla famiglia per richieste economiche circa le condizioni di detenzione o il rilascio. «Mio padre è un uomo integro, un filantropo (è fondatore dell’Aurora Humanitarian Initiative). La sua missione è costruire ponti. È coraggioso e testardo», spiega David. Ed è proprio con le sue attività filantropiche che questo uomo si è guadagnato il supporto di attori come George Clooney, sportivi e premi Nobel. «Ci è arrivato il sostegno di molte personalità influenti. Tra loro, il calciatore dell’Inter Henrikh Mkhitaryan che ha fatto un tweet per chiedere la liberazione di mio padre. Speriamo che serva, noi chiediamo di tenere alta l’attenzione e di poter riabbracciare nostro padre» (Fonte: Marta Serafini – Corriere della Sera, 31 ottobre 2023).

Il Canada e i suoi alleati hanno discusso dell’imposizione di sanzioni all’Azerbajgian per l’invasione militare dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh il mese scorso, che ha provocato lo sfollamento forzata di massa di oltre 100.000 cittadini di etnia armena verso l’Armenia. Lo ha affermato ieri un alto diplomatico canadese durante una sessione della Commissione per gli affari esteri e lo sviluppo internazionale della Camera dei Comuni del Canada.
«Ci sono state discussioni, dibattiti in corso su quando sarebbe più appropriato utilizzare questo strumento», ha affermato Andrew Turner, il nuovo Ambasciatore del Canada in Armenia, in risposta alle domande di Heather McPherson.
Intervenendo da Erevan alle udienze della Commissione, Turner ha osservato: «L’adozione di sanzioni in questo momento potrebbe minare gli sforzi di pace in corso. Anche se non abbiamo visto nessuno intraprendere la strada delle sanzioni. Abbiamo visto le dichiarazioni della Francia, ad esempio, sulla possibilità di un sostegno militare, e questo ha costretto l’Azerbajgian a ritirarsi dagli incontri e dalle discussioni internazionali programmate che potrebbero contribuire al processo di pace». Questa dichiarazione arriva pochi giorni dopo la visita del Ministro degli Esteri canadese, Mélanie Joly, in Armenia, che ha ufficialmente aperto l’Ambasciata del Canada a Yerevan. Durante la visita, alla domanda dei giornalisti sulla possibilità di sanzioni, Joly ha risposto che «è tutto sul tavolo», cosa che ha attirato le critiche del Ministero degli Esteri dell’Azerbajgian.
Turner ha anche osservato che Ottawa ha detto a Baku che il diritto al ritorno dei rifugiati dal Nagorno-Karabakh deve essere garantito. Il Canada è firmatario di numerose dichiarazioni di Paesi indirizzate al Consiglio per i diritti umani dell’ONU.
Mentre l’Azerbajgian ha ripetutamente affermato che i rifugiati possono ritornare, l’esperta Olesya Vardanyan, analista senior dell’International Crisis Group ha detto alla Commissione parlamentare che pochi rifugiati probabilmente accetteranno l’offerta: «Durante i miei incontri con gli sfollati sparsi in tutta l’Armenia, non ho visto una persona che stia pensando di tornare nel Nagorno-Karabakh nel prossimo futuro. Non hanno fiducia nel governo dell’Azerbajgian e hanno troppa paura di tornare». Ha osservato che l’Azerbajgian potrebbe creare un po’ di fiducia consentendo ai rifugiati sfollati di visitare almeno le loro case e le tombe dei familiari assassinati, magari con il sostegno di organizzazioni internazionali come il Comitato Internazionale della Croce Rossa.
Alcuni degli esperti partecipanti si sono detti non d’accordo con il timore dell’Ambasciatore che le azioni punitive possano spingere l’Azerbajgian fuori dai negoziati di pace: «Ora è il momento di applicare sanzioni mirate contro l’Azerbajgian. Sarebbero un avvertimento sul fatto che il Canada si aspetta che l’Azerbajgian protegga il patrimonio culturale, tuteli l’etnia armena, preservi il diritto al ritorno di coloro che se ne sono andati e garantisca un trattamento equo dei leader civili che sono stati arrestati», ha detto Christopher Waters, professore di diritto all’Università di Windsor. Ha anche osservato che l’Azerbajgian ha occupato alcune parti del territorio sovrano armeno e ha evidenziato la retorica del governo Azerbajgiano, che rivendica altre parti del territorio sovrano dell’Armenia.
Jean-François Ratel, esperto di politica statale caucasica presso l’Università di Ottawa, ha affermato che la Corte Penale Internazionale potrebbe essere un altro modo per ottenere giustizia. Egli ha osservato che il Canada dovrebbe sostenere la recente mossa dell’Armenia di ratificare l’adesione alla Corte, che potrebbe portare ad un’indagine sulla presunta pulizia etnica nella regione del Nagorno Karabakh. Ha menzionato il blocco economico che l’Azerbajgian ha attuato per quasi 10 mesi prima dell’invasione militare del Nagorno-Karabakh, che sostanzialmente ha bloccato il flusso di cibo e medicine alla popolazione locale, oltre a contribuire allo sfollamento stessa.
Il Deputato del Quebec, Stéphane Bergeron, membro della Commissione, ha suggerito che l’Azerbajgian potrebbe sentirsi incoraggiato ad attaccare a causa dei suoi recenti successi militari. «Voglio soprattutto evidenziare la Francia, che è stata l’unico alleato dell’Armenia negli ultimi mesi», ha detto il Deputato, sottolineando che Parigi ha sollevato la questione del conflitto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e ha venduto armi di difesa all’Armenia.

«Gli Ambasciatori occidentali in Armenia hanno trasmesso messaggi importanti. Nella regione meridionale dell’Armenia, la regione di Syunik, presa di mira da Azerbajgian e Russia, sono state lanciate pattuglie di polizia. Questa riforma è sostenuta dagli USA e dall’Unione Europea. Gli USA hanno stanziato 15 milioni di dollari e 1 milioni di dollari sarà stanziato per sostenere le riforme della polizia.
L’importante, però, non sono i soldi, ma il messaggio dell’Ambasciatore degli USA. Ha ricordato la lettera del Presidente Biden all’Armenia, in cui “è stato riaffermato il pieno sostegno degli Stati Uniti alla sovranità, all’indipendenza, all’integrità territoriale e alla democrazia dell’Armenia”.
L’Ambasciatore Christina Kvienn ha affermato che questo obbligo è applicabile principalmente alla stessa regione di Syunik, che “è stata particolarmente colpita dal conflitto regionale e dall’aggressione esterna, e recentemente Syunik ha accolto più di 100mila sfollati di etnia armena dal Nagorno-Karabakh. Tuttavia, nonostante queste difficoltà e problemi, l’impegno dell’Armenia e della regione di Syunik per rafforzare lo stato di diritto è rimasto incrollabile. Ed è grazie a questo impegno che l’Armenia rimane un faro della democrazia nel Caucaso meridionale”, ha affermato l’Ambasciatore statunitense, valutando positivamente il processo di riforma della polizia.
È importante che l’Ambasciatore statunitense, parlando dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Armenia, menzioni in particolare la regione di Syunik, che è stata ripetutamente attaccata dall’Azerbajgian dal 9 novembre 2020 fino a poco tempo fa. E anche oggi c’è il grande pericolo di un attacco militare da parte dell’Azerbajgian e della Russia contro Syunik. È naturale che l’Ambasciatore statunitense usi il termine “aggressione esterna” in questo contesto. Un discorso a parte merita la valutazione dell’Ambasciatore statunitense, secondo cui “l’Armenia resta un faro di democrazia nel Caucaso meridionale”. Ciò, in termini di sviluppo della democrazia, separa positivamente l’Armenia dai Paesi vicini. Purtroppo, la nostra vicina Georgia ha oggi seri problemi in termini di democrazia; non vale nemmeno la pena parlare di Azerbajgian, Russia, Iran e Turchia. Non sono solo dittature regressive, ma rappresentano anche una sfida alla sicurezza globale.
Abbiamo visto come gli Stati Uniti e l’Unione Europea sostengono l’integrità territoriale dell’Armenia e l’integrità dei suoi confini. Aliyev ha fermato l’attacco militare il 13 settembre 2022, dopo una chiamata del Segretario di Stato Blinken. La missione di osservazione dell’Unione Europea si trova in Armenia, il che sta frenando con forza la nuova aggressione dell’Azerbajgian e della Russia contro l’Armenia.
Il Dipartimento di Stato statunitense ha annunciato il 15 ottobre di sostenere fortemente la sovranità e l’integrità territoriale dell’Armenia: “Abbiamo sottolineato che qualsiasi violazione di tale sovranità e integrità territoriale porterà a gravi conseguenze”. Tuttavia, penso che i partner occidentali dell’Armenia dovrebbero smettere di porre segni di uguaglianza tra Azerbajgian e Armenia.
Naturalmente, le parole dell’Ambasciatore statunitense riguardano proprio il fatto che l’Armenia è il faro della democrazia nel Caucaso meridionale. Posso però dire che il popolo armeno deve essere convinto che la democrazia è anche sicurezza. Il costante impegno degli Armeni verso i valori democratici deve essere rafforzato migliorando il contesto di sicurezza.
Dal 9 novembre 2020, fino a poco tempo fa, l’Azerbajgian ha attaccato i confini dell’Armenia, per costringere l’Armenia a concedere il “Corridoio di Zangezur” e ad abbandonare la missione di salvaguardare i diritti e la sicurezza degli Armeni del Nagorno-Karabakh.
L’Azerbajgian continua a funzionare come uno strumento nelle mani della Russia, minacciando la democrazia e la sovranità dell’Armenia. Azerbajgian e Russia hanno allineato i loro interessi attraverso l’attacco all’Armenia. A sua volta, la Russia mirava a modificare il governo armeno e a punire gli Armeni per aver scelto la democrazia.
All’avvio del servizio di pattuglia della polizia in Syunik ha partecipato anche Vasilis Maragos, Capo della delegazione dell’Unione Europea in Armenia. L’Ambasciatore Maragos ha dichiarato: “Per tutti noi, Syunik è un simbolo della resistenza e della forza dell’Armenia. Vorrei anche citare le parole del capo della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nella dichiarazione rilasciata dopo l’incontro di Granada: ‘L’Unione Europea è al fianco dell’Armenia ed è pienamente impegnata a sostenere i negoziati’”.
L’Unione Europea sostiene l’aumento della resistenza nella regione di Syunik con un sostegno finanziario su larga scala. Il fatto che Syunik sia dichiarato dall’Ambasciatore dell’Unione Europea un simbolo della resistenza e della forza dell’Armenia sottolinea quindi anche l’impegno dell’Occidente a sostenere la sicurezza dell’Armenia. L’Armenia fa parte del mondo occidentale con il suo sistema di valori, ma è da anni sotto occupazione russa. La liberazione e l’indipendenza dell’Armenia non sono solo problemi suoi ma anche del mondo democratico occidentale.
Migliorare la difesa, la sicurezza, l’energia e le capacità economiche dell’Armenia faciliterà un percorso più diretto verso l’indipendenza. Dovrebbero essere calcolate le potenziali direzioni degli attacchi di Russia e Azerbajgian contro l’Armenia e si dovrebbe svolgere un lavoro approfondito in queste aree per aumentare la resistenza. È necessario aumentare le risorse che consentiranno di integrare l’Armenia nel mondo libero.
L’Azerbajgian è lo strumento dell’attacco militare russo contro l’Armenia. Elevando il livello di sicurezza e difesa dell’Armenia, lo strumento militare di pressione del Cremlino diventerà inefficace, garantendo maggiore libertà all’Armenia. L’indipendenza e la democrazia possono essere raggiunte solo attraverso uno sforzo concertato» (Robert Ananyan – Nostra traduzione italiana dall’inglese).

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