Ascoltate le parole dei tiranni. Non dite che non lo avevamo detto, quando faranno quello che dicono

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 27.10.2023 – Vik van Brantegem] – Riportiamo di seguito un significativo approfondimento sull’Artsakh, dopo lo sfollamento forzato dell’intera popolazione, attraverso la conversazione telefonica con una persona che ha deciso di restare.

«Un mese dopo l’attacco e la pulizia etnica del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbajgian, Cory Popp e io abbiamo parlato con la figlia di una delle pochissime persone rimaste indietro. I media statali azeri si sono recentemente vantati del fatto che l’Azerbajgian abbia istituito servizi di telecomunicazioni locali, ma gli Armeni rimasti in Nagorno-Karabakh non hanno connessioni Internet o mobili e non possono parlare con i loro cari senza essere monitorati. E come parte della facciata di “reintegrazione” dell’Azerbajgian, le autorità dell’Azerbajgian hanno confiscato i passaporti armeni di coloro che sono rimasti, ma non hanno rilasciato loro passaporti azeri. Ciò significa che gli Armeni rimasti in Nagorno-Karabakh attualmente sono apolidi» (Lindsey Snell).

La trascrizione dell’intervista, nella nostra traduzione italiana dall’inglese: «Dall’inizio non voleva assolutamente andarsene. Ha detto: “Ho costruito una casa qui e non voglio andarmene”. Verso la fine di settembre, quando mia madre era già partita. Ha detto: “Ti raggiungerò”. “Voglio restare qui due o tre mesi, per vedere, testimoniare questa reintegrazione”. Queste furono le sue parole. Quindi sto praticamente aspettando. Stiamo aspettando che torni. Quando ho cercato di convincerlo a partire con mia madre, gli ho detto: “Capisci che se rimani, le autorità azere potrebbero non lasciarti andare, perché avranno bisogno, per così dire, di una “scimmia allo zoo” per mostrare al Comitato Internazionale della Croce Rossa. E ai giornalisti, alle Nazioni Unite e ad altri. Voglio dire, è lì come una vetrina, giusto? A partire dal 1° ottobre, Karabakh Telecom è stata completamente chiuso. Non c’era alcuna connessione. Forse sono passati 5 o 6 giorni prima della prima volta che ha chiamato. Naturalmente eravamo molto preoccupati. È andato all’ufficio del CICR, perché sono ancora lì. Avevano il wifi, si è connesso e mi ha chiamato tramite Messenger. Ci ha contattato, ha detto, che va tutto bene, va tutto bene. Il CICR gli fornisce cibo. Da allora, circa una volta alla settimana, chiama o me, oppure mia mamma. Le ultime due volte non mi ha chiamato dal suo telefono. Da allora ha chiamato da diversi numeri di telefono azeri. Non potevamo parlare a lungo, ogni conversazione durava dai 5 ai 10 minuti al massimo. Non ha detto molto, non può dire molto. “Va tutto bene”, non c’è molto altro che possa dire. Perché c’è sempre qualcun altro. Non poteva dire nulla sulla situazione. E questo perché anche quando ci parlava in videochiamata, c’erano persone intorno a lui. Non Armeni, non Europei, e non Russi. Cosa potrà dire, cosa dirà. Non lo so, “mi hanno picchiato”, o forse “hanno sparato a un cane per strada”, o qualcosa del genere. Non lo dirà, anche se è quello che stesse succedendo. Anche quando parliamo con lui senza video, e solo al telefono, ci sono altre voci in sottofondo. Quindi è chiaro che [l’Azerbaigian] sta controllando la situazione. Gli hanno preso il passaporto armeno, non è chiaro quando avrà quello azero. Inizialmente avevano detto che erano rimaste circa 100 persone. Ma è improbabile. A Stepanakert, per quanto ne so, ci sono circa 30-40 persone. Poi ci sono alcune persone nei villaggi rurali. Non sono rimaste più 100 persone nel Nagorno-Karabakh. [Stepanakert] è una città vuota. C’è la polizia azera che gira in città. Ai soldati, per quanto ne so, non è permesso entrare in città. Nessuno di noi vuole stare lontano da casa. Vogliamo tutti andare a casa. È semplicemente… rischioso. E dopo la guerra del 2020, ho capito che la cosa più preziosa, anche se non abbiamo case, non è la terra, ma la vita».

I Primi Ministri dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e dell’Azerbajgian, Ali Asadov, hanno tenuto un incontro confidenziale in Georgia, con il Primo Ministro georgiano, Irakli Garibashvili, in qualità di mediatore. Secondo il canale televisivo Imedi, l’incontro è durato diverse ore, ma i dettagli della discussione non sono stati resi noti. PS. Il motivo che riportiamo questa notizia è che oggi abbiamo appreso che l’Azerbajgian ha un Primo Ministro.

La Francia aiuterà a preservare il patrimonio culturale del Nagorno-Karabakh, ha dichiarato il Ministro della Cultura francese, Rima Malak, nella sua visita in Armenia. La Francia ha acquisito un database satellitare del patrimonio nel Nagorno-Karabakh e ha presentato una richiesta di visita all’UNESCO.

I media statali azeri hanno diffuso un video in cui si afferma che dopo l’aggressione contro l’Armenia nel settembre 2022, ora sono solo a un passo dalla città di Kapan, a Syunik. Questo è un altro segno della presa di mira dell’Armenia, in particolare dei suoi insediamenti pacifici e dell’aeroporto civile di Kapan.

La TV statale azera Xazar riferisce di una classe di armeno presso l’università di lingue dell’Azerbajgian, l’Azərbaycan Dillər Universiteti. “Questa è la mia specializzazione e volevo servire il mio paese e il mio popolo applicando il mio odio per il nemico all’apprendimento di questa lingua”, dice la insegnante. “Ho scelto questa lingua per odio, non per amore”, dice uno studente. Questo è l’Azerbajgian pacifico. L’impostazione della insegnante non è molto diplomatica, ma la verità è che ritiene che tutti devono conoscere la lingua dei loro “nemici”. Sembra abbastanza ragionevole.

Nota a margine: la insegnante sta insegnando agli studenti Azeri “Qarabağ Azərbaycandır” (Karabakh è Azerbajgian) in armeno con errori grammaticali e di punteggiatura (poi “Qarabağ Azərbaycandır” è l’unica frase in azero che ogni Armeno sulla terra conosce, quindi la sua utilità è discutibile).

La maggior parte delle persone impara altre lingue per amore e interesse per la cultura, gli Azeri lo fanno per odio. Una cosa disgustosamente contorta, a meno che non imparino l’armeno per amore segreto.
Come far crescere una nazione zombie. Quando l’unica cosa che mantiene coeso quell’artificio a Baku è un’estesa armenofobia patologicamente psicotica, questo è il risultato tipico. E Ilham Alliev, il capo ereditario di questo Stato xenofobo, invita gli Armeni dell’Artsakh a tornare alle loro case nella loro terra che le sue forze armate hanno occupata.

L’armenofobia in Azerbajgian è onnipresente, è radicata nella cultura azera e non è iniziata con Aliyev, ma risale a molto tempo prima. Segue un estratto dal libro I miei giorni nel Caucaso di Umm-El-Banine Assadoulaeff (Baku, 18 dicembre 1905 – Parigi, 23 ottobre 1992), scrittrice francese di origine azera divenuta celebre con il nome d’arte Banine, in cui descrive la sua crescita a Baku all’inizio del XX secolo: «Nei giorni festivi giocavamo a massacrare gli Armeni, un gioco che amavamo più di ogni altro. (…) Per prima cosa avremmo lanciato accuse arbitrarie contro [Tamara, un’amica turco-armena] di aver ucciso dei musulmani e le avremmo sparato sul posto. (…) Poi, quando fossimo ubriachi alla vista del suo sangue, l’avremmo rianimata per il bene della causa prima di massacrarla ancora una volta, questa volta secondo le modalità prescritte. La legavamo e la gettavamo a terra; poi le tagliavamo la lingua e le tagliavamo gli arti e la testa; le avremmo strappato il cuore e le viscere e le avremmo gettate ai cani per mostrare il nostro disprezzo per la carne armena».

Quando tutta l’identità nazionale è radicata nell’odio del “nemico” e nient’altro, è proprio triste.

«La Russia ha cambiato il suo orientamento in politica estera nel Caucaso meridionale, sostituendo il suo alleato formale, l’Armenia, con l’Azerbajgian e la Turchia. Non sono d’accordo con la valutazione secondo cui è l’Armenia che sta cambiando il suo orientamento politico estero. Negli ultimi 15 anni, l’Azerbajgian e la Turchia sono diventati roccaforti nella guerra di Putin per diminuire l’influenza occidentale. Dal 2007, Russia e Azerbajgian hanno firmato documenti sulla cooperazione strategica.
La Russia ha venduto armi per miliardi di dollari all’Azerbajgian, alterando l’equilibrio militare a scapito dell’Armenia. Riuscite ad immaginare una situazione in cui gli USA vendono armi all’avversario militare del loro alleato in quantità tali da spostare l’equilibrio militare a sfavore del suo alleato? La Russia lo ha fatto armando l’Azerbajgian contro l’Armenia. Non è presente solo l’aspetto militare, ma un’altra indicazione dell’alleanza Russia-Azerbajgian è la vendita di gas russo attraverso i gasdotti dell’Azerbajgian all’Europa [che l’Europa compra ad un prezzo più alto di quello che applicava la Russia].
La cooperazione tra Turchia e Russia ha prodotto molti risultati. La creazione di un hub del gas in Turchia darà alla Russia l’opportunità di attrarre nuovi mercati e indirizzare le entrate verso la produzione di armi e per sostenere la guerra.
Politicamente, Erdoğan e Putin sono uniti nella lotta contro la diffusione dell’influenza degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. La piattaforma regionale 3+2 è la formula di questa lotta, che coinvolge anche l’Iran. L’accordo sulle relazioni di alleanza firmato da Putin e Aliyev il 22 febbraio 2022 [due giorni prima dell’inizio della guerra in Ucraina] eleva l’alleanza russo-azerbajgiana a un livello superiore.
L’Azerbaigian e la Russia attuano congiuntamente il progetto di trasporto Nord-Sud con l’Iran, consentendo alla Russia di aggirare le sanzioni occidentali attraverso i territori dell’Iran e dell’Azerbajgian. L’Armenia non permette al Servizio di Sicurezza Federale della Russia di controllare la strada che collega l’Azerbajgian a Nakhichevan e alla Turchia.
Se l’Armenia non controllasse le comunicazioni che passerebbero attraverso il suo territorio ma i Russi lo facessero, ciò darebbe alla Russia la possibilità di aggirare le sanzioni occidentali attraverso l’Azerbajgian e la Turchia, importando merci proibite attraverso di loro.
L’Armenia ha sventato questo piano, provocando una pressione senza precedenti da parte di Mosca. L’Armenia si trova in una situazione in cui la Russia ha cambiato il suo orientamento di politica estera nel Caucaso meridionale, trasformandosi in uno Stato che conduce una guerra ibrida contro l’Armenia. In questa situazione, l’Armenia sta semplicemente impiegando la strategia dell’“arte della sopravvivenza”. La stretta cooperazione con Stati Uniti, Francia e Unione Europea offre la possibilità di accumulare riserve di resistenza, di non perdere risorse per la resistenza. La Russia ha cambiato il suo orientamento in politica estera, ma si aspetta che l’Armenia rimanga nella sua sfera di influenza, con lo status di satellite. La Russia non considera nemmeno l’Armenia un alleato formale.
La politica estera dell’Armenia si trova ad affrontare nuove sfide. È una situazione estremamente pericolosa, carica del rischio di un nuovo attacco militare da parte dell’Azerbajgian e della Russia. Ma è anche un’ottima occasione per stringere nuove alleanze. La Russia si rifiuta di adempiere ai propri obblighi di sicurezza e di vendere armi. Di conseguenza, l’Armenia acquista armi dall’India, dalla Francia, ecc.
L’Armenia dovrebbe cercare soluzioni alternative in tutti i settori che coinvolgono la partecipazione e il capitale russo. Se l’Occidente vuole sostenere concretamente l’indipendenza dell’Armenia, dovrebbe fare investimenti sostanziali nella sicurezza, nell’economia, nell’energia, nelle infrastrutture e in altri campi.
Modificando il proprio orientamento di politica estera nel Caucaso meridionale, la Russia ha commesso un errore. Non solo perde l’Armenia, ma a lungo termine perderà anche l’Azerbajgian. L’Armenia non ha alcuna colpa per questo. L’Armenia non ha via d’uscita» (Robert Ananyan – Nostra traduzione italiana dall’inglese).

Il conflitto diplomatico armeno-russo ha ripreso slancio dopo che il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha parlato con il Wall Street Journal [QUI]. Pashinyan critica aspramente le forze di mantenimento della pace russe e afferma che l’Armenia non vede alcun vantaggio dalle basi militare russe in Armenia (oggi, la Russia ha basi militari in Armenia, Siria, Bielorussia, Kazakhstan, Tagikistan e Kirghizistan, nonché una presenza militare in Nagorno-Karabakh, nelle regioni annesse dell’Ucraina, Ossezia del Sud, Abkhazia e Transnistria). Pashinyan espresso i suoi dubbi sull’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). Ha detto che l’Armenia sta cercando nuovi partner perché Mosca non ha adempiuto ai suoi obblighi di alleanza, soprattutto quando l’Azerbajgian ha occupato il Nagorno-Karabakh il mese scorso. Il Cremlino ha annunciato di aspettarsi chiarimenti da Yerevan riguardo l’ultima intervista di Pashinyan.

Tre giorni fa, l’Ambasciatore russo in Armenia, Sergej Kopirkin. è stato convocato dal Ministero degli Esteri armeno per la consegna di una nota di protesta in riferimento alla propaganda contro il Primo Ministro armeno e l’Armenia sul Primo Canale russo [QUI]. Due giorni fa, il Ministro degli Esteri russo ha convocato l’Incaricato d’Affari dell’Armenia «in occasione delle odiose pubblicazioni dei media armeni contro la Russia».

Maria Zakharova, Portavoce del Ministero degli Esteri russo ha accusato i media occidentali di «essere seduti all’orecchio dei rappresentanti ufficiali di Yerevan, estorcendo loro risposte a domande provocatorie». Ha detto che la Russia preferisce «risolvere i problemi esistenti nelle nostre relazioni con l’Armenia attraverso contatti bilaterali». Ha sottolineato che la Russia è il principale investitore nell’economia armena e che in Armenia operano circa 4.500 aziende russe, che sono i maggiori contribuenti. Ha anche detto che le guardie di frontiera russe sono richieste in Armenia perché Yerevan non ha regolamentato le relazioni con i suoi vicini: «Le nostre guardie di frontiera impediscono l’attraversamento non autorizzato del confine armeno-turco e il trasporto di merci di contrabbando attraverso il confine armeno-iraniano», ha detto. Con queste affermazioni la Russia cerca di sottolineare la sua importanza in Armenia e minaccia implicitamente che se il fattore russo non esiste, la parte armena avrà problemi con i vicini con rapporti instabili e nella sfera economica. Zakharova rivela anche che l’unica garanzia per la permanenza della Russia in Armenia è l’esistenza dei conflitti armeno-turco e armeno-azerbajgiano. Questo è un altro fattore che dovrebbe spingere Yerevan a regolamentare i rapporti con gli Stati confinanti. La liberazione dall’influenza russa è possibile insieme alla risoluzione dei conflitti.

Per quanto riguarda le critiche di Pashinyan alle forze di mantenimento della pace russe, alla cui presenza l’Artsakh si è completamente spopolato con la forza in pochi giorni, Zakharova ha affermato che se non ci fossero stati, sarebbe stato peggio: «Per quanto riguarda le nostre forze di mantenimento della pace, se non fossero state lì, gli sviluppi sarebbero stati più drammatici per Yerevan a partire dall’autunno del 2020, soprattutto dopo che il governo armeno ha riconosciuto pubblicamente il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian».

Tuttavia, anche se non ha specificato cosa sarebbe successo se i Russi non fossero stati presenti, peggio dello completo sfollamento forzato, dalla dichiarazione di Zakharova si può capire che l’Azerbajgian intendeva organizzare un massacro di Armeni, che è stato impedito dalle forze di mantenimento della pace russe.

Raramente sentiamo confessioni oneste dalla Russia in riferimento ai propri errori. Ma a volte succede. Secondo Konstantin Zatulin, Deputato della Duma di Stato russa, è anche colpa della Russia se oggi si pone la questione della base militare russa in Armenia, ammettendo l’inerzia e il fallimento dei Russi: «La Russia ha portato forze di mantenimento della pace ma non le ha utilizzate quando l’Azerbajgian ha commesso violazioni e bloccato il Corridoio di Lachin. Ora l’Azerbajgian e l’Armenia stanno spingendo la Russia fuori dalla regione». Questo significa che qualcuno nell’élite russa ha almeno capito che abbandonare i compiti di sicurezza nei confronti dell’Artsakh e dell’Armenia, e formare un’alleanza con l’Azerbajgian non aiuterà la Russia a rimanere nel Caucaso meridionale.

Dopo aver concordato con l’Azerbajgian l’attacco militare contro l’Artsakh, sottoponendolo a pulizia etnica, Putin non poteva immaginare che tutto ciò potesse concludersi con lo sfollamento forzato di tutti gli Armeni dall’Artsakh. Ora Mosca corre il rischio reale di dover lasciare il Nagorno-Karabakh, che è una sconfitta davvero grave per la Russia, danneggiando la sua posizione nel Caucaso meridionale.

Ieri, Maria Zakharova ha rimarcato che Yerevan rifiuta di condurre negoziati con l’Azerbajgian secondo il formato russo. Il Cremlino ha perso sia la fiducia dell’Armenia, sia l’opportunità di essere al tavolo delle trattative con l’Armenia. Su questa piattaforma ci sono interessi russi e azeri che devono essere soddisfatti a scapito degli interessi armeni. Non è un caso che a Teheran il Ministro degli Esteri dell’Armenia, Ararat Mirzoyan, ha avuto colloqui bilaterali con i Ministri degli Esteri di Iran, Turchia e Azerbajgian, ma non Sergey Lavrov.

«“Oggi gli Armeni devono capire chiaramente una cosa: sono alla fine della strada e ad ogni passo hanno portato sangue nella regione. Devono tornare indietro da dove sono venuti o saltare nell’abisso di fronte a loro. La scelta è loro” (Aziz Alakbarli, Direttore della Comunità dell’Azerbajgian occidentale, 4 agosto 2023).
Prima del 2020, Aziz Alakbarli viveva una vita che sembrava destinata all’emarginazione. Accademico eccentrico, radicalmente nazionalista e divulgatore di teorie storiche che sono barocche nella loro logica interna e stravaganti nelle loro affermazioni, Alakbarli ha trascorso oltre due decenni all’estrema avanguardia della pseudo-erudizione nazionalista azera. Oggi, tuttavia, Aziz Alakbarli è il Presidente della Comunità dell’Azerbajgian occidentale e un Deputato del partito al potere Nuovo Azerbajgian, e le sue teorie, insieme a quelle dei suoi colleghi pseudostudiosi, sono quasi onnipresenti sui social media azeri. Le teorie nella pseudoscienza armenofobica sono varie, spesso si intersecano e contraddicono sia se stesse che le relative cospirazioni. (…)
Antisemita ed ebreo di Jean-Paul Sartre fu scritto durante l’occupazione nazista della Francia, ed è chiaro che il filosofo aveva riflettuto seriamente sull’argomento e aveva incontrato molte forme di antisemitismo nella sua vita. Per Sartre, gli antisemiti hanno abbandonato la sincerità per perseguire una vita di passione, vale a dire, di odio appassionato. Il dottorando azero presso la Charles University Bahruz Samadov ha legato questo al concetto lacaniano di godimento in cui il godimento deriva dalla trasgressione. In questo caso, il godimento è “il desiderio di distruzione completa che emerge durante eventi come la guerra del 2020 o qualsiasi interazione sui social media. Durante tali interazioni, i soggetti traggono piacere attraverso il desiderio accelerato di distruzione del nemico.” Si potrebbe facilmente aggiungere qui la produzione, la diffusione e l’argomentazione a favore della pseudostoria cospiratoria. L’elevata armenofobia, come le forme più radicali di antisemitismo, rende tutte le epistemologie soggette alle esigenze dell’odio: tutte le organizzazioni possono essere screditate se un Armeno fosse coinvolto a qualsiasi livello, tutta l’etica è secondaria all’animosità verso il mənfur düşmən, o “nemico odioso”.
Mentre molti osservatori speravano che l’Azerbajgian continuasse ad esistere come una “normale” autocrazia post-sovietica, o forse addirittura si liberalizzasse, il regime di Aliyev iniziò a consacrare il risentimento razziale e storico e l’irredentismo come ideologia di stato. Quando Ramil Safarov, un militare azerbajgiano che ha quasi decapitato un soldato armeno addormentato con un’ascia (in qualche modo il secondo assassino con l’ascia di questo articolo) è tornato a Baku accolto da eroe, la scritta era ormai sul muro. Le ONG sono state prese di mira, i dissidenti rapiti per le strade di Tbilisi. Tuttavia, in questo periodo cominciò ad accadere una cosa curiosa, poiché i social media erano ampiamente adottati nello spazio culturale azerbajgiano; pseudostorie e cospirazioni iniziarono ad essere inventate. (…)
Prima della guerra del 2020, gran parte degli studi sul Paese si concentravano sul regime come uno stato autoritario neo-patrimoniale post-sovietico, fondamentalmente simile al Kazakhstan di Nazarbayev. Tra il ritorno di Ramil Safarov e il secondo conflitto del Nagorno-Karabakh, tuttavia, il discorso cominciò a cambiare. Per citare l’analista Laurence Broers: “In Azerbajgian, le élite in passato facevano molto affidamento sulla cooptazione, data la disponibilità di rendite dalle risorse. A lungo termine, tuttavia, questa non sarebbe una formula stabile poiché limitata. Un modo per leggere la Seconda Guerra del Karabakh in termini di importanza interna è come un tentativo di legittimità, sull’unica questione che unisce gli Azeri. Ciò significa la trasformazione della leadership da un paternalismo depoliticizzante a un’immagine di uomo forte più politicizzante. Il nazionalismo è la nuova valuta, e in particolare il suo orientamento turcofilo, che è stato in modi significativi temperato nell’azerbajgianismo”.
Broers caratterizza il momento attuale come un momento di “ibridazione performativa” in cui le autorità dell’Azerbajgian sono in grado di utilizzare simultaneamente discorsi diversi e contraddittori. (…)
Sono già stati scritti diversi articoli sulla Comunità dell’Azerbajgian occidentale, ma la maggior parte sembra fraintendere fondamentalmente i suoi mezzi, se non il suo scopo. È relativamente chiaro che la comunità dell’Azerbajgian occidentale è un tentativo di consacrare il risentimento di Yeraz allo stesso livello del risentimento dell’Azerbajgian nel Karabakh, al fine di perpetuare il conflitto etnico che mantiene gli Aliyev al potere, ma i “mezzi” qui sono ciò che Broers chiama “caratteristici ibridità”, poiché l’organizzazione rilascia una dichiarazione in inglese e un tipo di dichiarazione molto diversa in russo o azerbajgiano. In inglese, il portavoce ufficiale della Comunità dell’Azerbajgian occidentale, Ulviyya Zulfikar, fa dichiarazioni come le seguenti: “Noi (la Comunità dell’Azerbajgian occidentale) non stiamo avanzando rivendicazioni territoriali. Non abbiamo un esercito, non chiamiamo “repubblica” un’area speciale di un Paese sovrano. Vogliamo solo ritornare nelle nostre case che siamo stati costretti a lasciare in Armenia nel 1987-91, in modo pacifico (sic), sicuro e dignitoso e reintegrarci nella loro società”.
Per tornare al linguaggio del filosofo Harry Frankfurt, questa è una stronzata. La comunità dell’Azerbajgian occidentale utilizza contemporaneamente il linguaggio dell’UNHCR e contemporaneamente agglomera a sé le precedenti organizzazioni irredentiste come la Repubblica Goycha-Zangezur, accusa l’Armenia di turcofobia, azerbajgianofobia e islamofobia e allo stesso tempo assegna il posto d’onore agli pseudostudiosi razzisti. Tutte le contraddizioni interne e le discrepanze fattuali fanno parte dell’appello; il punto è l’indignazione che suscitano. (…)
La triste verità della situazione è che l’intero Caucaso meridionale è ora destinato a essere rimodellato da un’ideologia che pochi hanno nemmeno tentato di comprendere. La continua insistenza sul fatto che il governo azerbajgiano sia troppo razionale, troppo cinico per credere a cospirazioni stravaganti dovrebbe essere presa sul serio quanto le affermazioni del 23 febbraio 2022 secondo cui Putin era troppo intelligente per credere alla pseudo-erudizione russa sull’Ucraina. Persone come Alakbarli o credono sinceramente in ciò che dicono, oppure sono così distorte dall’odio da non preoccuparsi della realtà delle loro teorie del complotto; possibilmente entrambi. Il cinismo e la teoria del complotto non sono antitetici; quest’ultimo richiede il primo, il primo il secondo, quindi la relazione è quasi sillogistica e si rinforza a vicenda.
Il disinteresse collettivo e l’ignoranza hanno fatto da ostetriche all’emergere di questa nuova e violenta Weltanschauung, questa alta armenofobia. La regione ha già vissuto mezzo decennio di cataclismi a causa di questa ideologia, e ora attende con ansia future catastrofi» (Alexander Thatcher – EVN Report, 23 ottobre 2023).

Quando Hitler parlò di sterminio degli Ebrei negli anni ’30 nessuno gli credette. Le parole di Aliyev dovrebbero essere prese molto sul serio dagli Armeni e dalla comunità internazionale, oggi, mentre c’è ancora tempo. Gli Armeni in Armenia e nella diaspora dovrebbero porsi una semplice domanda: gli Armeni vogliono continuare a vivere nelle loro terre ancestrali? Se la risposta è sì, allora ogni Armeno deve agire di conseguenza e assumersi la responsabilità per il destino degli Armeni. I leader Armeni in Armenia e nella diaspora devono mostrarsi all’altezza della sfida.

Il problema con queste personalità borderline come Ilham Aliyev è che credono alle proprie invenzioni e menzogne e in modo contagioso un’intera generazione di loro contemporanei crede in queste pseudo-teorie. Tanto per dare un esempio, il Nakhichevan era per oltre il 90% armeno all’inizio del secolo scorso e ha sempre fatto parte dell’Armenia storica da tempo immemorabile. Quindi il fatto che la mappa nel 1921 fu troncata non è a causa di Zangezur [Syunik] ma a causa del fatto che Nakhichevan fu arbitrariamente dato come repubblica autonoma alla cura della Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian e come segno per la neonata Repubblica turca che Stalin pensava sarebbe stata il primo Paese straniero bolscevico.

A partire dalle ore 00.05 del 13 settembre 2023, dopo giorni in cui avevano accusato le forze armene di aver sparato contro le posizioni azerbajgiane. Le forze armate azere hanno lanciato un’importante operazione militare, utilizzando principalmente artiglieria, mortai e droni d’attacco, lungo il confine tra Armenia e Azerbajgian. Mentre l’offensiva militare azere era inizialmente diretta in direzione di Goris, Sotk e Jermuk e dei villaggi circostanti, il campo d’azione del teatro delle operazioni si espanse successivamente nelle regioni di Gegharkunik e Syunik, territori sovrani della Repubblica di Armenia. Una tregua era stata raggiunta grazie agli sforzi della comunità internazionale la sera del 14 settembre. Il 16 settembre, il Capo di stato maggiore delle forze armate armene ha detto che l’esercito azerbaigiano era avanzato di 7,5 chilometri nel territorio dell’Armenia lungo una linea di 8,5 chilometri. A seguito dell’aggressione su larga scala dell’Azerbajgian, sono stati contati centinaia di morti da entrambe le parti. Città e villaggi della Repubblica di Armenia furono presi di mira e danneggiati. Ci sono state vittime anche tra la popolazione civile armena: un morto e sei feriti.

È importante capire come l’autocrate ereditario Ilham Aliyev abbia preparato ideologicamente la società azera alla guerra contro l’Armenia vera e propria. Riportiamo alcuni esempi da una vasta raccolta di discorsi e annunci di Aliyev contenenti rivendicazioni territoriali contro il territorio sovrano dell’Armenia dal 2013. Queste dichiarazioni illustrano che il cessate il fuoco è purtroppo temporaneo per l’Azerbajgian, mentre si sta preparando a impegnarsi in una guerra su larga scala contro la Repubblica di Armenia, su una base ideologica per questa aggressione, che è stata pianificata nel corso degli ultimi decenni. Quindi, non ci sono analisi, né commenti, solo parole di Aliyev, che dimostrano la politica di aggressione dell’Azerbajgian, che forse possono aiutare i partner internazionali a vedere chiaramente e prevenire l’imminente catastrofe.

  • “Nessuna chiamata, nessuna dichiarazione o iniziativa può fermarci” (21 settembre 2022).
  • “Se non ci verrà concesso questo accesso, allora sarà difficile parlare di pace” (16 giugno 2022).
  • “La nostra antica città di Iravan [Yerevan]” (27 maggio 2022).
  • “Yerevan faceva parte dell’Azerbajgian” (29 aprile 2022).
  • “Zangezur [Syunik] ci è stato portato via” (22 aprile 2022).
  • “Noi, i proprietari di queste terre, siamo tornati in queste terre” (a Shushi, 25 dicembre 2021).
  • “Dovrebbero darci un calendario di quando sgombereranno le nostre terre” (6 dicembre 2021).
  • “Stiamo ripristinando questa geografia adesso” (12 novembre 2021).
  • “Sia l’Azerbajgian che la Turchia stanno adottando misure per realizzare il Corridoio di Zangezur” (26 ottobre 2021).
  • “Abbiamo prerequisiti storici per rivendicazioni territoriali” (24 settembre 2021).
  • “Tutti gli altri antichi insediamenti azeri situati nel territorio dell’attuale Armenia dovrebbero essere chiamati con i loro veri nomi” (17 agosto 2021).
  • “Dobbiamo tornare lì, torneremo e stiamo già tornando” (14 luglio 2021).
  • “Il popolo azerbajgiano tornerà a Zangezur [Syunik]” (21 aprile 2021).
  • “Il mondo turco era diviso… Zangezur [Suynik], la terra dell’antico Azerbajgian” (1° aprile 2021).
  • “Il territorio dell’attuale Armenia è l’antica terra azera” (3 giugno 2020).
  • “Erivan [Yerevan] è la nostra terra storica e noi, azeri, dobbiamo tornare in queste terre storiche” (8 febbraio 2018).
  • “Le battaglie di aprile sono la nostra gloriosa vittoria militare” (31 marzo 2017).
  • “Il khanato di Erivan [Yerevan], Goycha [Sevan] e Zangezur [Syunik] sono le nostre terre storiche. In effetti, non solo il Nagorno-Karabakh, ma anche l’attuale Armenia è stata creata sulle storiche terre dell’Azerbajgian. Lo sappiamo tutti. Anche il mondo lo sa. Il khanato di Erivan [Yerevan], Goycha [Sevan] e Zangezur [Syunik] sono le nostre terre storiche, e noi, gli Azeri, dobbiamo tornare e torneremo in queste terre” (25 giugno 2015).
  • “Dopodiché torneremo nelle nostre antiche terre: a Erivan [Yerevan], Goycha [Sevan] e Zangezur [Syunik]” (19 marzo 2015).
  • “Torneremo nelle nostre antiche terre” (7 ottobre 2013).
La mappa ufficiale, diffusa dal Ministero degli Esteri della Repubblica Democratica di Azerbajgian (1918-22) alla Conferenza di pace di Parigi nel 1919. Una delle mappe sulla quale Aliyev basa le sue rivendicazioni di territori sovrani dell’Armenia.

Foto di copertina: l’alleanza dei tre tiranni, Aliyev di Baku, Erdoğan di Ankara e Putin di Mosca.

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