Non si deve parlare con Aliyev. Si deve parlare di lui. Sa cosa ha fatto e sta facendo

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.10.2023 – Vik van Brantegem] – Non è giornalismo quando Paul Adams offre la sua piattaforma di BBC News a Hikmet Hajiyev – il famigerato armenofobo Goebbels azero dell’Adolf Hitler del XXI secolo, Ilham Aliyev – e si limita ad annuire, quando dopo 10 mesi di blocco genocida ed aver completato la pulizia etnica dell’Artsakh, l’Assistente per gli Affari Esteri del Presidente dell’Azerbajgian dice: «È stata una loro scelta, rispettiamo la loro libertà di movimento. Se ne sono andati perché ci odiano».

Hikmet Hajiyev intervistato da Paul Adams per BBC News, offrendo una piattaforma per la propaganda del regime genocida di Ilham Aliyev.

Non è giornalismo quando Richard Quest offre il suo programma Quest Means Business (Quest significa affari) – il programma aziendale internazionale di punta di CNN, trasmesso in diretta da New York la sera nei giorni feriali prima della campana di chiusura del NYSE – come piattaforma di pubblicità per un regime autocratico terrorista, ospitando il rappresentante del turismo dello Stato terrorista dell’Azerbajgian.

BBC World continua ad amplificare la propaganda menzognera del regime genocida di Ilham Aliyev senza un adeguato fact checking e contradditorio. L’intervista con l’Ambasciatore dell’Azerbajgian nel Regno Unito condotta dal presentatore Matthew Amroliwala è zeppo pieno di menzogne disgustose. Innanzitutto, le città/villaggi dove è stata effettuato la pulizia etnica degli Armeni autoctoni non sono mai stati popolati da Azeri. Quindi, gli Azeri non torneranno alle loro case, ma ruberanno semplicemente le proprietà della popolazione autoctona armena che viveva lì da secoli, molto prima dell’esistenza dell’Azerbajgian e della Coca Cola, che è pure più vecchia.

Il presentatore non ha menzionato il blocco genocida durato 10 mesi e la fame degli Armeni intrappolati sotto assedio; bombardamenti della popolazione civile; uccisione di bambini.

Il presentatore ha lasciato l’ambasciatore azerbajgiano disgustosamente mentire, affermando che non c’è stato alcun sfollamento forzato.

Il motivo per cui l’Azerbajgian non lascia entrare i media internazionali è perché non vuole che vengono visiti i loro crimini di guerra, le uccisioni nei villaggi, i bombardamenti indiscriminati, i villaggi e le città che nel giro di due giorni si sono trasformati in villaggi e città fantasma. La motivazione delle mine è una totale bugia: una settimana fa ci viveva una popolazione.

La BBC deve smettere di invitare i propagandisti del regime autocratico azero. Invita i rappresentanti del regime di Putin a lasciare che giustifichino le loro azioni in Ucraina? Questa è complicità con la pulizia etnica.

I deputati dei cristiano-democratici di Svezia hanno invitato una delegazione dell’Azerbajgian al Parlamento svedese. Era stato concepito come un incontro con la Parola di Vita (crea esperienze che definiscono la fede che danno agli studenti e alle famiglie l’opportunità di incontrare Dio e crescere nei loro cammini spirituali), però, la riunione è stata utilizzata dall’Azerbajgian per scopi di propaganda. Presentare l’incontro come qualcos’altro nei propri canali non è insolito per l’Azerbajgian, e questo avviene per motivi di propaganda, sia per il pubblico nazionale che per quello internazionale. L’Ambasciatore azerbajgiano in Svezia, Zaur Ahmadov, scrive in un post su Twitter accompagnato da una foto dalla sala delle riunioni della commissione di difesa del Riksdag che la delegazione ha presentato il suo punto di vista sul Nagorno-Karabakh: «Abbiamo avuto il piacere di visitare il Riksdag e di rispondere alle domande dei membri del parlamento sulla situazione nella regione di Garabag in Azerbajgian e di informarli delle misure coerenti dell’Azerbajgian per una reintegrazione basata sulla fiducia della sua popolazione armena, in una tavola rotonda con il Parlamento della delegazione del Comitato Statale per le Comunità Religiose della Repubblica dell’Azerbajgian». Nella retorica statale azera, il lavoro per la tolleranza delle religioni viene spesso sottolineato come il nucleo del falso multiculturalismo dell’Azerbajgian.

Riportiamo di seguito la storia I crimini di guerra invisibili del giornalista svedese Rasmus Canbäck, sulle nuove strategie dell’Azerbajgian per evitare la documentazione dei crimini di guerra, pubblicata da Blankspot. Si tratta della quinta parte di una serie di articoli sulla nuova realtà dell’Armenia, in cui viene fatta una lettura approfondita di come l’Azerbajgian nelle ultime settimane abbia deliberatamente soffocato la trasparenza nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, controllando i flussi di informazioni. Dopo l’attacco terroristico dell’Azerbajgian all’Artsakh/Nagorno-Karabakh il 19 e 20 settembre 2023, la regione è stata svuotata con la forza della sua popolazione autoctona armena. Ma sono poche le possibilità di scoprire cosa sia successo prima della fuga sotto la minaccia di morte.

Kristine Grigoryan, Difensore dei Diritti Umani della Repubblica di Armenia, ha presentato ieri ai diplomatici accreditati in Armenia e ai colleghi internazionali, i risultati delle attività conoscitive che ha condotto in Armenia con gli sfollati forzati dell’Artsakh in riferimento ai morti tra i civili, la mancanza di rispetto dei corpi, amputazioni e altri casi da parte delle forze armate dell’Azerbajgian durante l’attacco terroristico del 19 e 20 settembre.

Rasmus Canbäck ha svolto il suo lavoro di giornalista investigativo in Armenia, insieme a Nvard Melkonyan, che ha tradotto e organizzato i contatti sul posto. Senza di lei questa denuncia non sarebbe potuto avvenire.

I crimini di guerra invisibili
Rasmus Canbäck
Blankspot, 4 ottobre 2023

(Nostra traduzione italiana dallo svedese)

Si sente il bambino nella culla ansimare, poi tossire. Il suono è debole e frusciante. David, che ha solo due anni, si gira e afferra di nuovo il ciuccio. Per un breve istante ci guarda con gli occhi lucidi prima di ricadere in quel sonno febbrile.
– Tutta la famiglia si è ammalata a causa dello stress e dell’umidità quando ci siamo nascosti nel rifugio nel seminterrato di Stepanakert la settimana scorsa, dice la madre Anoush Alakhverdian mentre guarda suo figlio. David è stato il più malato di tutti noi. Quando stavamo per partire…

I suoi occhi lacrimano e distoglie lo sguardo per un momento prima di continuare.
– Quando stavamo lasciando Artsakh (Nagorno-Karabakh in armeno)… non ci posso credere… ma sì, quando stavamo uscendo di casa, eravamo tutti malati. Il nostro bambino, David, aveva la febbre a quaranta e non sapevamo se sarebbe riuscito a superare il viaggio. Ma che scelta avevamo?
Le immagini dei convogli automobilistici riversatisi dal Nagorno-Karabakh dopo l’offensiva dell’Azerbajgian del 19-20 settembre testimoniano un lungo viaggio. Dieci mesi prima, il viaggio dalla capitale del Nagorno-Karabakh, Stepanakert, a Goris durava solo due ore. Nell’ultima settimana ce ne sono voluti trenta. Forse anche più lungo.

All’ospedale di Goris si sono riuniti stanchi, denutriti e malati per riprendersi dalla fuga. In realtà non si stanno riprendendo solo dalla fuga, ma anche dal fatto che sono sopravvissuti a un blocco del corridoio umanitario nel Nagorno-Karabakh durato quasi dieci mesi e a una guerra.
– La parte peggiore non è stata sopravvivere fisicamente, dice Anoush. È stato per stare insieme e mostrarsi forti davanti ai bambini. Pensavamo tutti che la guerra del 2020 sarebbe stata la peggiore di sempre, ma gli ultimi tre anni sono stati un inferno… e… Artsakh è finita, ma la guerra non è finita. Te lo assicuro. Tornerà.

Anoush Alakhverdian guarda preoccupata a suo figlio (Foto di Rasmus Canbäck).

Anoush condivide l’opinione che il conflitto non sia affatto finito con la maggior parte delle persone che incontriamo a Goris. La città è diventata il primo luogo di rifugio per molti degli oltre centomila Armeni costretti a lasciare il Nagorno-Karabakh.

Qui il conflitto sul Nagorno-Karabakh è probabilmente giunto ad una fine amara. Una fine che testimonia l’incapacità delle istituzioni internazionali di agire quando il disastro era alle porte. Sebbene all’inizio degli anni ’90 l’ONU abbia incaricato Armenia e Azerbajgian di trovare una soluzione pacifica basata sui principi di integrità territoriale e sul diritto dei popoli all’autodeterminazione sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, ciò non è avvenuto. L’assenza di ritorsioni da parte della comunità internazionale, piuttosto che di condanne evasive, dimostra che la strategia dell’Azerbajgian per risolvere militarmente il conflitto ha funzionato al massimo grado.

La proposta di pace presentata nel 2009, i Principi di Madrid, significherebbe, dopo una complicata attuazione, molto probabilmente a lungo termine, che il Nagorno-Karabakh non solo sarebbe diventato de facto autonomo, ma anche che la popolazione, secondo il regime di garanzie internazionale, avrebbe potuto contare sulla propria autodeterminazione.

Si trattava di una soluzione nella quale l’Azerbajgian, che dagli anni ’90 ha costruito un esercito sempre più forte con l’aiuto delle esportazioni di petrolio e gas verso l’Europa, non ha mai veramente creduto. Il Paese, che l’organizzazione statunitense per i diritti umani Freedom House considera più autoritario dei Paesi vicini, Iran e Russia, è stato anche accusato da numerosi studiosi di genocidio, da organizzazioni per i diritti umani e persino dal Parlamento Europeo di diffondere “un odio razziale sistematico” contro gli Armeni”.

Il politologo azerbajgiano Bahruz Samadov ha sottolineato in diversi articoli che il Presidente del Paese, Ilham Aliyev, ha utilizzato gli Armeni del Nagorno-Karabakh come nemico esterno per rafforzare il proprio potere. Dopo la guerra del 2020, in cui l’Azerbajgian ha di fatto abbandonato i colloqui di pace sostenuti dalle Nazioni Unite, la situazione si è ulteriormente intensificata.

L’offensiva finale dell’Azerbajgian nel settembre 2023 è stata preceduta da un blocco di quasi dieci mesi del corridoio umanitario che corre tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh. Formalmente, le truppe di mantenimento della pace russe, in servizio dalla guerra del 2020, avrebbero dovuto garantire il passaggio agli Armeni, ma hanno fatto poco poiché l’Azerbajgian ha gradualmente intensificato il blocco.

Ciò è avvenuto nonostante il fatto che la Corte Internazionale di Giustizia di Den Haag abbia ordinato per due volte all’Azerbajgian di garantire la libera circolazione tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh. Invece di allentare il blocco, esso è stato rafforzato al punto che la Federazione Internazionale della Croce Rossa ha annunciato in luglio che non le sarebbe stato permesso di entrare né di uscire dal Nagorno-Karabakh.

Tenendo presente quanto sopra, quindi, pochi Armeni si fidano delle autorità azere quando la leadership del Paese ritiene che in Azerbaigian siano garantiti “garanzie di sicurezza” e “diritti”.

Adesso l’Armenia si sta adoperando perché i profughi siano registrati come tali anche legalmente, cosa alla quale l’Azerbajgian fa di tutto per opporsi. Già pochi giorni dopo l’inizio della pulizia etnica del Nagorno-Karabakh, l’Azerbajgian è stato accusato dagli Armeni di aver diffuso filmati falsi di Armeni nella regione che si registravano come cittadini Azeri. Gli Armeni del Nagorno-Karabakh affermano di non riconoscere le persone nei video e riferiscono alla pronuncia dei luoghi da cui affermano che provengano.

Il blocco ha messo a dura prova l’ospedale di Goris. Sono molte le storie di coloro che sono costretti a letto e aspettano di guarire abbastanza per essere registrati come nuovi arrivati in Armenia.

Una persona racconta che la moglie ha dato alla luce il figlio lungo la via di fuga. Non hanno avuto il tempo di aspettare la nascita prima che le truppe azere catturassero Stepanakert. Quando sono arrivati all’ospedale di Goris, il bambino era sottopeso di 600 grammi, il che si spiegava con il fatto che non aveva ricevuto le cure di cui ha bisogno un neonato.

Uno dei medici dice anche che sono stati segnalati diversi decessi e che l’ospedale ha dovuto accogliere i corpi. Non è ancora confermato quanti siano morti nel duro viaggio in cui la mancanza di cibo e acqua si è aggiunta alla malnutrizione già acuta causata dal blocco. La vittima più giovane registrata è un 16enne, ma la maggior parte era più anziana. Anche una donna che era in gravidanza avanzata, a poche settimane dal parto, ha subito un aborto spontaneo.

Una donna con cui abbiamo parlato racconta che suo marito, che giace nel letto accanto a lei, ha avuto tre ictus consecutivi. Inoltre, presumibilmente ha avuto anche un infarto, ma in qualche modo è miracolosamente sopravvissuto.

Tuttavia, la sofferenza che i media di tutto il mondo documentano oggi alla frontiera, dovrebbe essere considerata la punta dell’iceberg. Un paio di giorni prima, proprio mentre cominciavano ad arrivare i flussi di rifugiati, un deposito di carburante è esploso nel Nagorno-Karabakh. Centinaia di uomini erano sul posto per fare rifornimento di carburante alle loro auto per poter scappare.

L’esplosione ha provocato la morte di un centinaio di persone, diverse centinaia sono rimaste ferite e molte risultano ancora disperse. Non c’è quasi nessuna speranza di indagare sulle cause del disastro, che viene descritto dai nostri interlocutori come “un inferno peggiore di ogni altra cosa”. Si dice che le persone siano state scagliate in aria per decine di metri dalla forza dell’esplosione e che le ustioni descritte dai sopravvissuti secondo i medici fossero impossibili da curare durante gli ultimi giorni critici nel Nagorno-Karabakh.

La mancanza di trasparenza nel Nagorno-Karabakh significa non solo che i parenti non scoprono cosa sta succedendo, ma anche che l’Azerbajgian può assumere il controllo dei flussi di informazioni.

Quando l’Azerbajgian ha invaso l’Armenia nel settembre 2022, sono stati commessi diversi presunti crimini di guerra. Un video mostrava le truppe azere che massacravano prigionieri di guerra Armeni, e un altro mostrava una donna morta. La si vede nuda e mutilata nel video. Sul corpo, i soldati azeri avevano scritto un testo ingiurioso e le avevano messo in bocca il dito mozzato.

Dalla guerra del 2020 circolavano già grandi quantità di video di decapitazioni, umiliazioni e torture prima che i soldati davanti alla telecamera venissero brutalmente uccisi. La stragrande maggioranza di essi proveniva dai canali dei social media azeri, come ha scritto, tra gli altri, il sito di recensioni Bellingcat.

Organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch erano sul campo durante la guerra del 2020 per documentare alcuni degli abusi.

Quando ero lì, probabilmente come ultimo giornalista straniero ad entrare nel Nagorno-Karabakh nel marzo 2021, si è subito stabilito che le storie di presunti crimini di guerra superavano di gran lunga quelle documentate da organizzazioni indipendenti. Da allora, Reporter senza Frontiere afferma che la Russia ha bloccato il passaggio.

Questa volta non c’è alcuna trasparenza e sui social media azeri sono trapelati solo pochi video.

L’Azerbajgian non ha consentito agli investigatori sostenuti dalle Nazioni Unite di entrare nel Nagorno-Karabakh dagli anni ’90 – fino ad ora. Il 30 settembre l’ONU ha annunciato di aver inviato nel Nagorno-Karabakh una missione di dieci persone, con l’obiettivo di indagare sulle possibilità di garantire agli Armeni una presenza sicura nella regione. È entrata il 1° ottobre e a quel punto quasi tutti gli Armeni se ne erano già andati, e ciò accade 12 giorni dopo che l’Azerbajgian ha preso il controllo delle aree in cui si erano già verificate voci di presunti crimini di guerra contro i civili.

Dopo la pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite il 2 ottobre, questo è stato ampiamente criticato sui social media perché in parte sembrava basarsi su prove presentate dallo Stato azerbajgiano e in parte per non aver preso in considerazione le ragioni della fuga [QUI].

L’analista e giornalista Tomas de Waal definisce lo svuotamento degli Armeni dal Nagorno-Karabakh una “pulizia etnica di fatto”. Si riferisce al fatto che l’Azerbajgian non costringe formalmente la popolazione civile a fuggire, ma che il Paese ha fatto tutto ciò che era in suo potere per impedire le condizioni di permanenza.

Nei prossimi tempi verrà avviato un procedimento legale per attribuire anche formalmente, de jure, lo status di rifugiato agli Armeni del Nagorno-Karabakh.

Oltre all’armenofobia mirata in cui l’Azerbajgian nega attivamente che sia avvenuto un genocidio armeno e diffonde teorie cospirative sull’esistenza di una “lobby armena”, negli ultimi mesi hanno avuto luogo arresti di massa di attivisti pacifisti Azeri. Molti di loro vengono giustiziati dai media del regime azerbajgiano con l’accusa di essere “Armeni” o “pagati dagli Armeni”.

Anoush Baghdassarian parla con un uomo di Goris. Vuole offrire un alloggio ai rifugiati (Foto di Rasmus Canbäck).

L’Avvocato armeno-americano Anoush Baghdassarian, ricercatrice sul campo in Armenia presso la Rete Universitaria per i Diritti Umani, è sul posto a Goris per documentare quanto sta accadendo. Ha documentato presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità dalla guerra del 2020.
Inizialmente, lei e i suoi colleghi parlano con quante più persone possibile per raccogliere testimonianze a cui poi potranno dare seguito per scrivere dei rapporti. Lei descrive che la maggior parte delle testimonianze che ascolta sono coerenti ed è stato possibile verificare fatti importanti, nonostante gli ostacoli che l’Azerbajgian ha creato dal 2020 per accedere alle informazioni sulla situazione nel Nagorno-Karabakh.
– Nelle nostre conversazioni della scorsa settimana, ho notato che la maggior parte delle persone ha storie simili. Ad esempio, molti parlano di molestie (da parte delle guardie di frontiera azerbajgiane) alla stazione di confine, e sostanzialmente tutti hanno detto che era impossibile per loro rimanere nel Nagorno-Karabakh dopo la presa del potere da parte dell’Azerbajgian, dice Anoush Baghdassarian.
– La vita durante i dieci mesi di blocco ha raggiunto un punto di rottura e la gente era terrorizzata dopo che il governo del Nagorno-Karabakh è stato costretto a capitolare il 20 settembre, quando la via di fuga attraverso il Corridoio di Lachin non era ancora stata aperta, continua Anoush Baghdassarian.

Spiega che prima del massiccio esodo dal Nagorno-Karabakh, era difficile verificare le informazioni sugli abusi in quel luogo.
– Naturalmente, è un problema che non ci fosse e non ci sia ancora una parte indipendente sul campo nel Nagorno-Karabakh per raccogliere informazioni. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che gli Armeni sono stati costretti a lasciare la regione, quindi non possiamo raccogliere dati forensi sul posto e altre prove non testimoniali, che è fondamentale raccogliere il più vicino possibile al crimine, afferma Anoush Baghdassarian.

Spiega che c’è una sfida da affrontare per raccogliere testimonianze e documentare gli abusi.
– Ora che quasi tutti sono fuggiti e le vittime e i testimoni degli abusi sono al sicuro in Armenia, c’è un compito enorme nel raccogliere le loro testimonianze e chiedere conto, non solo all’Azerbajgian, ma anche alla comunità internazionale, che ha permesso che ciò accadesse sotto il loro controllo, nonostante i tanti, tanti segnali d’allarme, argomenta Anoush Baghdassarian.

Cosa rende difficile la raccolta di testimonianze verificate?
– L’esercito dell’Azerbajgian ha costretto il governo de facto del Nagorno-Karabakh alla resa in condizioni difficili. L’Azerbajgian ha di fatto costretto la popolazione del Nagorno-Karabakh a scegliere tra fuggire o restare per essere assassinata o costretta ad assimilarsi all’Azerbajgian, motivo per cui così tante persone stanno fuggendo. La fuga frettolosa ha fatto sì che non esistesse quasi alcuna documentazione di quanto accaduto il 19 e 20 settembre, afferma Anoush Baghdassarian.

Lei sostiene che, sebbene la comunità internazionale non sia riuscita a fermare la pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh, ci sono ancora cose che possono essere fatte.
– Prima di tutto, accademici e analisti devono smascherare e confutare rapidamente l’affermazione dell’Azerbajgian secondo cui la fuga era volontaria. Il mondo deve anche sottolineare che le azioni dell’Azerbajgian non sono legittime e non hanno alcun sostegno nei negoziati di pace, il che vale anche per la fine del governo de facto del Nagorno-Karabakh, dice Anoush Baghdassarian.

Cosa può fare la comunità internazionale?
– L’ONU può agire nominando una missione di mantenimento della pace, sostenuta dall’ONU, lungo il confine armeno-azerbajgiano. Inoltre, decine di Armeni sono tenuti ancora in ostaggio in Azerbajgian e un numero ancora maggiore è stato fatto sparire con la forza. Continuiamo a chiedere il loro rilascio immediato e incondizionato, afferma Anoush Baghdassarian.
Bellingcat ha tentato di raccogliere dati da canali aperti su quanto sta accadendo nel Nagorno-Karabakh. La maggior parte dei video proviene dai social media azeri. Mostrano le truppe azere che sparano contro case civili vuote, distruggono case abbandonate e catturano città nel Nagorno-Karabakh.

Altri video includono filmati di soldati Azeri che realizzano il simbolo etno-nazionalista turco dei Lupi Grigi con riferimenti derisori all’eredità o alle bandiere armene.

Quando l’Azerbajgian passò all’offensiva il 19-20 settembre, diversi villaggi e città furono circondati. Si sparse la voce che i civili fossero stati uccisi dalle truppe azere in condizioni orribili. Nei giorni successivi, l’accesso ai villaggi in cui si diceva si spostassero era escluso, come lo è anche adesso.
Una spiegazione è che nel Nagorno-Karabakh l’elettricità è stata interrotta, così come le comunicazioni con il mondo esterno. La mancanza di carburante nel Nagorno-Karabakh, a causa del blocco, significa che non pochi hanno avuto difficoltà a evacuare dalle aree con breve preavviso.

Le uniche aree praticamente in tutto il Nagorno-Karabakh in cui l’elettricità era disponibile durante questo periodo erano presso l’ufficio del Comitato Internazionale della Croce Rossa a Stepanakert e l’ospedale della città, entrambi dotati di generatori esterni.

Samvel Martisoryan, fondatore dell’Armenia Cyber Hub, che si occupa di sicurezza informatica e verifica delle riprese video, dice a Blankspot che la strategia dell’Azerbajgian sembra essere cambiata rispetto alle guerre del 2020 e del 2022.
– Sono sicuro che all’esercito azerbajgiano sia stato ordinato di non filmare e pubblicare i crimini di guerra commessi. Notiamo un cambiamento nella strategia rispetto agli anni precedenti, quando l’Azerbajgian pubblicava un gran numero di video. La pubblicazione di video del 2020 e del 2022 è stata certamente autorizzata dagli specialisti della guerra psicologica. È il modus operandi ereditato dall’esercito turco. Questi video di esecuzioni e mutilazioni così spesso diffusi vengono utilizzati dall’Azerbajgian come arma psicologica, spiega Samvel Martisoryan.

Continua a sostenere che questa volta l’Azerbajgian ha pianificato una guerra veloce, evitando di documentare i crimini di guerra commessi.
– Tutto è successo molto rapidamente. Questa volta l’Azerbajgian ha pianificato una guerra lampo, in parte per evitare crimini di guerra, dice Samvel Martisoryan.

Nelle guerre precedenti, l’esercito azerbajgiano non è stato altrettanto severo nel vietare le immagini dei movimenti delle proprie truppe (Foto di Rasmus Canbäck).

La tesi di Samvel Martisoryan è sostenuta dal fatto che nelle settimane precedenti l’offensiva, l’esercito azerbajgiano ha vietato i video sull’escalation rafforzamento militare in corso nel Paese, cosa che non aveva mai fatto prima delle guerre precedenti.

Da un giorno all’altro, i canali Telegram azeri filo-regime hanno smesso di pubblicare immagini e video di movimenti di truppe all’interno del Paese. Molti dei canali Telegram, che pubblicavano con gioia centinaia di video di illeciti commessi in precedenza, sono rimasti quasi completamente silenziosi, così come le notizie sull’escalation militare.

Un esempio è il canale Telegram Chatjerubka (Il distruttore della croce), che è stato tra i primi a far trapelare i crimini di guerra commessi nel settembre 2022. Dopo che il canale aveva pubblicato il 5 settembre un’immagine secondo cui è vietato pubblicare video di movimenti di truppe, le sue pubblicazioni con contenuto mediatico sono diminuite notevolmente. Questo fino a quando non è iniziata l’offensiva e le immagini sono state nuovamente pubblicate. Questa volta con diverse richieste di divieto di filmare i propri soldati.

Non tutti i canali social hanno avuto la stessa disciplina. Il canale Facebook Cənnət Kəlbăcăr con 45.000 follower pubblica continuamente video sull’esercito azerbajgiano.

Che il controllo dei flussi di informazione possa avvenire in Azerbajgian non sorprende. Reporter senza Frontiere inserisce l’Azerbajgian nella lista nera del suo indice della libertà di stampa ed è ampiamente noto il controllo sulle pubblicazioni dei media statali.

La mancanza di indagini indipendenti nel Nagorno-Karabakh significa che la verità su ciò che è accaduto prima, durante e dopo la pulizia etnica probabilmente non verrà mai fuori.

Tuttavia, la mancanza di indagini indipendenti non è ciò che preoccupa Anoush Alakhverdian in questo momento. Per lei il futuro è incerto mentre pensa a cosa accadrà dopo.
– Adesso siamo in ospedale e non so dove dovremmo andare dopo. Dove vivremo? Il governo armeno organizzerà tutto questo per noi? Non lo so, dice Anoush.

Dice che la sua famiglia viveva nel Nagorno-Karabakh così indietro nel tempo che non sa quando siano arrivati lì.
– Ci sono tombe della mia famiglia di diverse generazioni fa. Siamo sempre stati lì e non so come immaginare di poter stare senza Artsakh, dice.

Il piccolo David si gira di nuovo nel letto. Tossisce un po’ e ringhia.
– Ma in questo momento la cosa più importante è che sia venuta tutta la famiglia. Siamo sopravvissuti.

[*] Rasmus Canbäck ha seguito per tre anni il conflitto nel Nagorno-Karabakh per Blankspot. È autore del libro Ogni giorno muoio lentamente: un libro di resoconti dall’interno del Nagorno-Karabakh (Silc Förlag 2023, 192 pagine).

Quando nel settembre 2020 scoppiò la guerra dell’Azerbajgian contro l’Artsakh/Nagorno-Karabakh, pochi pensavano che sarebbe durata più di un paio di giorni. Si trasformò invece in una guerra su vasta scala nella quale furono profondamente coinvolte le grandi potenze del Caucaso, Russia e Turchia. Dopo 44 giorni si è conclusa con un accordo di cessate il fuoco tra Armenia, Azerbajgian e Russia. Le mappe furono ridisegnate e la Russia schierò 2.000 soldati con l’impegno di proteggere la popolazione armena nel Nagorno-Karabakh. Rasmus Canbäck descrive nel suo reportage esclusivo come è riuscito a superare la presenza russa e ad entrare in una regione chiusa ai giornalisti stranieri. Ogni giorno muoio lentamente descrive cosa significa per le persone sul campo uno dei conflitti più complessi del nostro tempo.

Foto di copertina: l’esodo forzato del popolo autoctono armeno dall’Artsakh lungo il Corridoio di Berdzor (Lachin), da Stepanakert in Armenia, passando per il ponte Hakari.

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