223° giorno del #ArtsakhBlockade – Continuazione. Bisogna salvare gli Armeni. Oggi come ieri… Vox clamantis in deserto

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 22.07.2023 – Vik van Brantegem] – Nel 1897 Jean Jaurès condannò energicamente i massacri dell’Armenia e l’indifferenza dell’Occidente. Oggi, la tragica situazione nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh ci richiama all’importanza di prendere posizione e spezzare il silenzio. E di agire… res, non verba!

Il primo giorno di quest’anno, nel ventunesimo giorno del #ArtsakhBlockade (allora, all’inizio, contavamo i giorni dell’assedio azero all’Artsakh ancora in lettere…) – vox clamantis in deserto – abbiamo riportato nella nostra traduzione italiana dal francese, l’articolo Per l’Armenia. Vittima all’ombra dell’Ucraina a firma di Jean Yves Camus, pubblicato il 28 dicembre 2022 da Charlie Hebdo: «Questo è un grido di allarme e un invito all’azione. Lettori che vi impegnate a sostegno dell’Ucraina attaccata dalla Russia, non lasciate che accada, all’ombra della guerra che colpisce Kiev, il crimine che potrebbe portare da un giorno all’altro alla scomparsa anche dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh, come quella del popolo armeno, già martirizzato nel 1915. (…) Dobbiamo riscoprire il vigore di Anatole France, Jean Jaurès e Georges Clemenceau, che suonarono la campana all’epoca dei primi massacri ottomani, poi del genocidio del 1915» [QUI].

Poi, esattamente 200 giorni dopo (c’è chi pensa ancora che i numeri sono “coincidenze”), nel 221° giorno del #ArtsakhBlockade (già da molto tempo contiamo i giorni dell’assedio azero all’Artsakh in numeri…), abbiamo riportato nella nostra traduzione italiana dal francese l’articolo “Islamismo, negazione del genocidio armeno… Non dimentichiamo il pesante record di Erdogan” a firma di Pierre Vermeren, pubblicato il 17 luglio 2023 da Le Figaro [QUI]. A proposito dei massacri degli Armeni, Jaurès aveva avvertito i Francesi: “Siamo giunti al tempo in cui l’umanità non può più convivere con, nella sua cantina, il cadavere di ‘una persona assassinato’”. In quale contesto è stata detta questa frase premonitrice? Il 3 novembre 1896, alla Camera dei Deputati, parlò un giovane deputato di 30 anni, Jean Jaurès. Per più di un’ora, descrive il modo in cui il cinico sultano ottomano Abdülhamid II conduce dal 1894 una “guerra di sterminio” (sic) nelle sei principali province (wilayet) dell’Asia Minore, la futura Turchia. Jaurès ha letto i rapporti e le analisi precise e allarmanti dell’Ambasciatore francese a Costantinopoli (Istanbul), Paul Cambon – amico intimo di Jules Ferry -, relative ai “grandi massacri” in atto nella regione. Il Presidente del Consiglio Gabriel, Hanotaux, ha letto il rapporto. Ma nella sua alleanza con l’Impero Ottomano, tace sul documentato massacro di 300.000 Armeni (1894-1897) da parte della soldatesca tribale al servizio della Porta (il governo ottomano). Indignato, Jaurès attacca il governo in nome dell’umanità.

Anche il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano ha letto i rapporti, questi sul dramma che si sta compiendo nel Caucaso meridionale, oggi, come un secolo fa nell’Asia minore. Lo so che li ha letto, perché me l’ha confermato una fonte di prima mano. E questa fonte mi avesse mentita (ma non lo credo), sarebbe doppiamente grave, che un Presidente del Consiglio dei Ministri che va a colloquio con autocrati sanguinari, non sa con chi ha che fare e lascia che i suoi Ministri siglano indisturbati accordi con l’autocrate di Baku.

Che nessuno – neanche Giorgia Meloni -, poi, quando sarà troppo tardi, venga dire a colui che grida nel deserto, “wir haben es nicht gewußt” (non l’abbiamo saputo), come quando la Shoah era ormai compiuta.
Proseguiamo, ancora con la voce di colui che grida nel deserto, come dal 27 settembre 2020 [QUI], il giorno dell’inizio della guerra dei 44 giorni scatenata dalle forze armate azere del Comandante in Capo, l’autocrate Ilham Aliyev, contro la democratica Repubblica di Artsakh, dando la notizia come primi in Italia.

Come abbiamo segnalato, l’Ambasciatore armena in Italia, Tsovinar Hambardzumyan, ha di nuovo sottolineato la tragica situazione nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh in una recente intervista, pubblicata il 19 luglio 2023 da IlSussidiario.net: «L’UE è schiava del gas e gli azeri restano impuniti: allo stremo 120mila persone. L’Azerbajgian blocca il passaggio di viveri, medicinali e persone verso l’Artsakh: è crisi umanitaria. Nessuno fa niente per bloccare Aliyev. Neanche la UE. Ecco perché» [QUI].

La regione – spiega Hambardzumyan – continua a vivere scontri sanguinosi, e nonostante gli appelli internazionali e le trattative per liberare il Corridoio di Berdzor (Lachin), gli Azeri persistono a bloccare completamente l’area, impedendo ogni rifornimento dall’Armenia al Nagorno-Karabakh (la regione armena, che in armeno si chiama Artsakh). Un vero e proprio assedio che rischia di passare inosservato.

Tra escalation e tentativi di pace, la guerra degli Azeri contro gli Armeni prosegue ormai da trent’anni, ma la situazione in Nagorno-Karabakh continua ad aggravarsi, tanto che ormai siamo in piena crisi umanitaria. «Quello che il 12 dicembre chiamavamo blocco ora per i 120mila abitanti della zona è diventato un assedio: si è fermato tutto», spiega Hambardzumyan. La vita di molte persone è a rischio perché mancano medicinali, forniture mediche, materiale per l’igiene, il cibo scarseggia e anche la fornitura dell’acqua potabile è a rischio. Ma nessuno interviene, in modo energico e risolutivo.

Le parole dell’Ambasciatore dell’Armenia, che mettono in luce il ruolo contraddittorio dell’Unione Europea, ricordano quelle, coraggiose, di Jean Jaurès, deputato socialista che nel 1897, di fronte agli imminenti orrori del genocidio armeno, condannò in modo radicale il silenzio dell’opinione pubblica occidentale, invitando l’Europa a prendere apertamente posizione in difesa degli Armeni perseguitati dagli Ottomani.

Il libro di Jean Jaurès, a cura di Paolo Fontana, Bisogna salvare gli armeni. Discorsi alla Camera dei deputati francese in difesa degli armeni (Guerrini e Associati 2015, 89 pagine [QUI]), è il secondo numero della prestigiosa collana Frammenti di un discorso mediorientale, diretta da Antonia Arslan.

«Davanti a tutto quel sangue versato, davanti a quegli orrori, davanti a quella ferocia, davanti a quella violazione della parola data da parte della Francia e dei diritti umani, neppure un grido è uscito dalle vostre bocche, neppure una parola è uscita dalle vostre coscienze, e voi avete assistito, muti e quindi complici, al completo sterminio»: con questo atto d’accusa il deputato socialista Jaurès si rivolge al parlamento francese nel 1897. È il suo terzo intervento in difesa degli armeni perseguitati dall’impero ottomano e abbandonati dalle grandi potenze. Egli, come sottolinea Fontana nella sua introduzione, «con la solennità del suo discorso e con la volontà di spezzare le complicità francesi, dimostra che la politica non ha frontiere e che la morale democratica impone la lotta contro la tirannide ovunque essa sia».

E si è solo ai prodromi del genocidio, il Metz Yeghérn deve ancora arrivare.

Jean Jaurès (Castres, 1859 – Parigi, 1914) era un deputato francese socialista, fondatore de l’Humanité e pacifista militante. Si attirò l’ostilità degli ambienti nazionalisti e venne assassinato un secolo fa, il 31 luglio 1914, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. I suoi resti furono traslati al Panthéon di Parigi dieci anni dopo.

Paolo Fontana (Padova, 1951) ha tradotto opere di Diderot, Voltaire, Nerval, Balzac, Hugo, Dreyfus, Zola. È Vicepresidente dell’Alliance Française di Padova e Responsabile del Gruppo Italia 186 di Amnesty International.

Il Metz Yeghérn (il “grande male, il genocidio armeno) e la Shoah hanno legami molto profondi. Purtroppo, però, queste connessioni sono spesso ignorate, trascurate o silenziate. La politica estera di Bismarck e Guglielmo II, volta ad assicurare la grandezza tedesca, scelse di stringere relazioni d’acciaio con l’Impero ottomano, ormai in declino. Gli armeni, alla ricerca dell’indipendenza dal dominio turco, divennero un problema anche per la Germania. Dal 1890 in poi, la Germania si abituò così a giustificare violenze efferate contro gli armeni, accettandole come una necessità politica. Dopo la Prima guerra mondiale, dopo lo sterminio degli armeni, nazionalisti tedeschi e nazisti prima negarono e poi «giustificarono» il Genocidio. Nessuna storia del Ventesimo secolo dovrebbe ignorare le connessioni profonde, dirette e inquietanti tra Shoah e Metz Yeghérn, con le loro ripercussioni tutt’altro che marginali sull’attualità, spesso insidiosa o tragica.

«Le somiglianze ideologiche tra la Germania alla fine degli anni Venti e la Turchia kemalista o l’Italia mussoliniana sono sorprendenti» (Raymond Kévorkian, Università di Parigi VIII).

Un importante contributo allo studio e alla comprensione di questi tragici eventi arriva, inoltre, dallo storico tedesco Stefan Ihrig, che in un’opera straordinaria e rivelatrice, a cura di Antonia Arslan, con la prefazione di Siobhan Nash-Marshall, Giustificare il Genocidio. La Germania, gli Armeni e gli Ebrei da Bismarck a Hitler (Guerrini e Associati 2023, 512 pagine), svela le connessioni profonde e inquietanti – spesso ignorate o taciute – tra il Genocidio degli Armeni e la Shoah. Un libro imprenscindibile per chiunque voglia capire le distruzioni e le follie delle ideologie e dei genocidi del XX secolo, e dei prodromi nel XIX. È in uscita il 28 luglio 2023 come il numero 13 della collana Frammenti di un discorso mediorientale.

La prestigiosa collana di Guerrini e Associati Frammenti di un discorso mediorientale [QUI], diretta con altrettanto prestigio da Antonia Arslan, è una collana svelta, che offre diversi punti di vista e diverse illuminazioni– del passato e del presente – per ottenere un po’ della luce che ci è necessaria per affrontare il complesso e terribile mosaico mediorientale, grondante di sangue, di odio e di speranze troppo spesso deluse. Conflitti che generano altri conflitti, bagliori di ottimismo, primavere che presto si spengono, misteriose alleanze: prima di tutto occorre capire, e per capire bisogna conoscere le storie, le atmosfere, gli uomini di questi paesi così vicini e così lontani, che affondano le radici in un passato scomparso ma hanno bisogno di un futuro non insanguinato.

Abbiamo scritto il 20 gennaio 2023 su questo Blog dell’Editore di Antonia Arslan, che da anni sta promuovendo un programma di scambio culturale tra l’Artsakh e l’Italia, insieme alla fondazione Christians In Need Foundation (CINF), e dell’istituto professionale a Stepanakert intitolata a lei [QUI].

Prima di cinque figli, Antonia Arslan nasce a Padova nel 1938 da Michele Arslan – medico nato anch’esso a Padova da padre armeno e madre italiana – e da (Maria) Vittoria Marchiori. Suo nonno paterno, il cui nome era originariamente Yerwant Arslanian, era nato il 23 maggio 1865 a Kharpert (oggi cittadina turca nota con il nome di Harput). Yerwant cambiò poi il cognome familiare da Arslanian ad Arslan nel 1923. È stata professoressa di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Padova. Nel 2004 ha scritto il suo primo romanzo, La masseria delle allodole, pubblicato da Rizzoli, che ha vinto il Premio Stresa di narrativa, il Premio dei Lettori di Lucca ed è stato finalista del Premio Campiello e che tre anni dopo è stato portato sul grande schermo dai fratelli Taviani. Nel 2015, sempre con Rizzoli, ha pubblicato Il rumore delle perle di legno sulla sua infanzia in Italia, sulla propria madre e sul genocidio armeno.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Foto di copertina: non proviene dall’Artsakh, il più piccolo – pur non riconosciuto – Stato democratico al mondo, ma da quello – riconosciuto – più grande, gli Stati Uniti d’America, che ha tutto il potere e i mezzi, ma non volontà di salvarlo. I piccoli hanno sempre torto per i potenti menzogneri e ingiusti, anche se hanno dalla loro parte la verità e la giustizia. La foto è un simbolo e un ammonimento.

Invece, la foto (di Vahagn Grigoryan) in apertura di questo articolo, sì, proviene dall’Artsakh. È il Monastero di Gandzasar, un monastero armeno del XIII secolo nella regione di Martakert della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, nei pressi del villaggio di Vank. “Gandzasar” in armeno significa “montagna del tesoro” (da gandz, tesoro e sar, montagna). Fu la residenza del Catholicosato di Aghvank della semiautonoma Chiesa Armeno-Albana dal XIV secolo fino al 1836 quando quest’ultima venne definitivamente unita alla Chiesa Apostolica Armena. Ora è la sede del Primate della Chiesa Apostolica Armena dell’Artsakh. La costruzione iniziò nel 1216, sotto il patronato del Principe armeno di Khachen, Hasan Jalal-Dawla. Completata nel 1238, f consacrata il 22 luglio 1240. Il complesso è protetto da alte mura, all’interno delle quali vi è la cattedrale di San Giovanni Battista, costruita tra il 1216 e 1238. Il tamburo della cupola ha raffinati bassorilievi che raffigurano la Crocifissione, Adamo ed Eva. Il monastero possiede reliquie credute appartenere a San Zaccaria, padre di San Giovanni Battista.

Dopo il declino e l’abbandono del Monastero, venne riaperto al culto solo nel 1989. Nell’estate-autunno 1992, durante la guerra di liberazione del Nagorno-Karabakh, la struttura, un simbolo della vita spirituale armena, fu ripetutamente sottoposta a bombardamenti, sia aerei che di artiglieria, da parte delle forze armate azere. Ma fu proprio nei pressi di Gandzasar che nel 1992 un forte regimento azero venne circondato e distrutto dalle forze di autodifesa del Nagorno-Karabakh.

Nel 1999-2002, grazie all’intervento dell’industriale e filantropo armeno-russo Levon Hayrapetian, il complesso ha subito un completo rinnovamento. Nel novembre del 2015, nel complesso del monastero, è stata inaugurata una sezione “Artsakh” del Matenadaran, l’importante raccolta di codici e manoscritti armeni custoditi a Yerevan.

«Il Vangelo rosso di Gandzasar afferma che l’Artsakh è un luogo storico e culturale di importanza mondiale e terra armena. Nessun Azero è stato nemmeno menzionato ed era lì. È un grande centro spirituale», ha detto Kim Bakshi in un’intervista a cura di Hakob Srapyan pubblicata 1° marzo 2023 da Armenpress [QUI]. Il celebre “Vangelo rosso di Gandzasar” fu prodotto nel scriptorium del monastero nel 1232. Conta 313 pagine di pergamena, conservato ora nella biblioteca dell’Università di Chicago.

Articolo collegato: Azerbaigian: la mitologia storiografica come un’arma di epurazione etnica e culturale – 11 febbraio 2022 [QUI].

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