202° giorno del #ArtsakhBlockade. La verità è sopra tutto. Grazie ai giornalisti di e in Արցախ (Artsakh)

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 01.07.2023 – Vik van Brantegem] – I fatti sono cose testarde. «Adesso immagina quale sia stata la condizione per gli Armeni di tutto il mondo, durante i sette mesi di #ArtsakhBlockade, sapendo che i bambini sono privati di cibo normale, riscaldamento, accesso all’assistenza sanitaria… e non poterli aiutare, è insopportabile» (Nara Matini). L’Azerbajgian non può nascondere i suoi crimini di guerra e crimini contro l’umanità sotto il tappeto. Ad impedire questo, contribuiscono i giornalisti in Artsakh, da cui provengono gran parte delle nostre informazioni sulla situazione. Del lavoro dei giornalisti dell’Artsakh sotto il blocco parla Marianna Danielian in un articolo pubblicato su Media.am, che riportiamo di seguito. Loro vivono lì, altri non possono entrare. Con il loro lavoro dall’interno mostrano un Artsakh che «ricorda un grande campo di concentramento, dove sembrano essere condotti vari esperimenti di laboratorio per rendere prevedibile il nostro comportamento in varie situazioni e infine ingoiarci come risultato di un’analisi appropriata» (Padre Nerses Garegin Asryan).

«Il Parlamento dell’Azerbajgian ha esortato il governo francese ad avviare un dialogo costruttivo con le minoranze nazionali francesi al fine di eliminare le cause profonde dei crimini di odio razzista e xenofobo» (Nasimi Aghaev, Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania). «Dice un regime fascista azero genocida che affama 120.000 Armeni sotto il #ArtsakhBlockade e ha sigillato un intero villaggio azero Söyüdlü per aver protestato contro il loro despota. Ora torturano le persone all’interno, le costringono a registrare video falsi che elogiano… #AntiFranceHate» (Nara Matini).

Il 30 giugno sono passati 200 giorni del blocco del Corridoio di Berdzor/Lachin in Artsakh/Nagorno-Karabakh da parte delle forze armate della Repubblica di Azerbajgian. Nei 200 giorni precedenti, 120.000 Armeni sono rimasti intrappolati nell’Artsakh, con poco cibo e scarso accesso all’acqua, e senza accesso a forniture mediche e cure vitali. I nuovi sviluppi includono l’installazione di un posto di blocco illegale da parte dell’Azerbajgian che impedisce il trasferimento di aiuti umanitari in Artsakh.

L’Istituto Lemkin per la prevenzione di genocidio ha emesso numerosi avvisi bandiera rossa per genocidio, avvertendo la comunità internazionale della natura genocida dell’assedio degli Armeni in Artsakh da parte dell’Azerbajgian. L’Azerbajgian continua a violare la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 22 febbraio 2023 che gli ordinava di sbloccare tutti i canali verso l’Artsakh, ma non sono state intraprese ulteriori azioni da parte della comunità internazionale per porre immediatamente fine a questa crisi umanitaria.

A questa nota risponde puntualmente un troll azero di Parigi (che immaginiamo avrebbe altre cose da preoccuparsi): «I 7 villaggi di Qazakh nell’Azerbajgian occidentale [1] sono ancora sotto occupazione e Nakichevan è sotto blocco da 30 anni! [2]».

[1] Cioè in Armenia. Dal 1905 al 1906, durante i massacri armeno-tartari, in Qazakh molte case armene furono bruciate e saccheggiate dai Tartari (in seguito noti come Azeri), così come la scuola e la chiesa armena. Di conseguenza, molti abitanti Armeni fuggirono a Tbilisi e in altre vicine aree popolate da armeni. Dal punto di vista armeno, questi territori erano province armene storiche – che erano state, di fatto, incorporate in vari stati armeni – e quindi la regione di Gazakh fu inizialmente contesa tra la Repubblica Socialista Sovietica armena e quella azera. Durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh, le truppe armene presero il controllo di diversi villaggi del distretto di Gazakh.
[2] Nakichevan ha collegamenti aerei e via terra attraverso l’Iran con l’Azerbajgian ed è collegato con la Turchia, quindi, nessun blocco. Armenia è disposto a sbloccare i collegamenti via terra (strada e ferrovia) attraverso il suo territorio sovrano secondo gli accordi trilaterali del 9 novembre 2020, però l’Azerbajgian pretendo un cosiddetto “Corridoio di Zangezur” extraterritoriale che taglierebbe l’Armenia dall’Iran.

«Un promemoria che hai diritti umani fondamentali: diritto alla vita, diritto di accesso alla legge, diritto alla libertà di espressione, diritto alla libertà di pensiero, diritto di riunione pacifica e associazione, diritto all’istruzione, diritto al riposo» (Amnesty International).

Ovviamente, questo elenco non è esaustivo: manca diritto al libero movimento, diritto all’accesso alle cure mediche, diritto all’istruzione, diritto dell’accesso al cibo, diritto di coltivare la propria terra, ecc. E il diritto alla verità è primo di tutto.

La domanda che viene spontanea è se questi diritti valgono anche per gli Armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, secondo Amnesty International che in questi quasi sette mese di blocco azero degli Armeni in Artsakh ha fatte sentire (debolmente) solo due volte la sua voce.

Una vergognosa Europa (ai primi posti l’Italia) e Stati Uniti permettono che questo strisciante genocidio degli Armeni continui da parte dell’Azerbajgian e del suo padrino Turchia senza una rispettabile reazione o minaccia agli aggressori. Se l’Occidente applicasse all’Azerbajgian gli stessi standard applicati alla Russia, l’Azerbajgian sarebbe uno Stato canaglia isolato sottoposto a pesanti sanzioni con il suo autocrate Aliyev accusato al Tribunale Penale Internazionale di pulizia etnica e genocidio. Invece, gli Armeni ottengono orecchie da mercante e occhi ciechi dall’Occidente, mentre l’Azerbajgian ottiene accordi sul gas (in parte riciclato russo) e aiuti militari.

«Seri problemi con i latticini e il pane sono ricominciati di nuovo in Artsakh/Karabakh. Non sono riuscito a trovare un solo pane in tutta la città di Stepanakert (inutile parlare degli altri prodotti). A chi piace causare così tanti problemi a 120.000 persone, inclusi 30.000 bambini, e sparare ai contadini che raccolgono il grano?» (Marut Vanyan).

La reazione di un sapientone: «Il pane fa male alla salute. Provoca obesità. Cerca di seguire una dieta a base vegetale» (Mahammad Hajiyev). Questo troll Azero avrebbe dovuto imparare a scuola che pane deriva dalla farina, che la farina deriva dal grano e che il grano è un vegetale. I suoi antenati nomadi Tartari l’avrebbero saputo senza andare a scuola.

Oggi è il giorno 202 dell’assedio dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. «Mattina in una città assediata. Mezz’ora in fila per il pane (acquisto limitato a max due pagnotte) e niente panna acida, niente ricotta o uova in negozio. buona colazione #StopArtsakhBlockade» (Siranush Sargsyan).

Intanto, «la capitale del Karabakh Stepanakert si sta preparando per l’inverno. La gente non spera che ci saranno gas ed elettricità. Ognuno si prende cura di sé come meglio può» (Marut Vanyan).

«Sono pronto a vivere anche in un fienile, ma nel mio villaggio. I miei nipoti dicono, nonna, vuoi che gli Azeri ti uccidano? Non ho paura, sono solo preoccupato per loro» (Marut Vanyan).

«Ieri sono stato nella zona dove sono stati uccisi i soldati del Karabakh. Artush mi mostra dove hanno sparato i soldati dalla A alla Z. Senza binocolo, anche queste posizioni sono chiaramente visibili. “Le loro postazioni militari e la mia casa si fronteggiano. L’imprevisto può accadere in qualsiasi momento”, dice Artush» (Marut Vanyan).

«Robert, padre di 4 minorenni, si dice “fortunato” che il suo orto – l’unica fonte di reddito – non è visibile dalle postazioni dell’Azerbajgian, però la sua casa è proprio nel mirino e non può che pensare ai suoi figli per tutto il tempo temendo che possa accadere qualcosa di brutto» (Siranush Sargsyan).

«Il membro della RIIB, Simuzər Fərəczadə, ha partecipato a EuroDIG, un forum dell’Unione Europea sulla governance di Internet e i diritti umani. Ha anche partecipato al blocco del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbajgian, intrappolando 120.000 Armeni. Quando i volontari del governo dell’Azerbajgian prendono parte a tali programmi dell’Unione Europea/ONU (molti lo fanno), li legittima» (Siranush Sargsyan).

Gli “eco-attivisti” della RİİB-“Regional İnkişaf” İctimai Birliyi (Unione pubblica “Sviluppo regionale”), erano sempre presenti ben riconoscibili sul posto di blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) vicino a Sushi (finché fu sostituito con il blocco direttamente delle forze armate azere) degli “eco-attivisti”. Si tratta di un’organizzazione (formalmente non) governativa azerbajgiana, che comunque non ha niente a che fare con la protezione dell’ambiente. Fu fondata su iniziativa e opera nell’ambito della Fondazione Heydar Aliyev, presieduta dalla moglie del Presidente dell’Azerbajgian e Primo Vice Presidente, Mehriban Aliyeva. Quindi, gli “eco-attivisti” della RIIB lavorano per il governo dell’Azerbajgian. Lo scopo principale dichiarato della RİİB è «partecipare attivamente alla vita socio-economica, pubblica e culturale del Paese, alla costruzione della società civile, sostenere le misure attuate dallo Stato per lo sviluppo delle regioni, è implementare il controllo pubblico, esaminare i ricorsi e le proposte dei cittadini e dialogare con le istituzioni competenti e lavorare nella direzione della risoluzione di progetti in vari campi in cooperazione».

Stepanakert (Foto di Marut Vanyan).

Il lavoro dei giornalisti dell’Artsakh sotto il blocco
di Marianna Danielian
Media.am, 29 giugno 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Al di là della barriera di cemento, 120.000 cittadini dell’Artsakh sono privati di qualsiasi aiuto umanitario. Artsakh è sotto blocco da oltre sei mesi. Il gas è un ricordo del passato a lungo dimenticato, la fornitura di elettricità dall’Armenia all’Artsakh è interrotta. Gli interventi medici pianificati non vengono eseguiti; ai cittadini viene fornita solo assistenza medica di emergenza. La privazione dei beni di prima necessità, di determinati alimenti e medicinali sta diventando critica.

L’Azerbajgian ha tagliato fuori e isolato l’Artsakh dal mondo intero. A causa del blocco, né i giornalisti armeni né quelli internazionali possono recarsi in Artsakh e coprire la situazione. In queste condizioni, i giornalisti locali lavorano sia per il pubblico interno che per quello esterno. In una conversazione con Media.am, i nostri colleghi hanno raccontato quali problemi hanno incontrato sotto il blocco e quali soluzioni hanno trovato.

Hayk Ghazaryan

Si è laureato all’Università Statale dell’Artsakh, Dipartimento di giornalismo. Nel 2011-12 ha studiato presso il Dipartimento di Giornalismo politico e sociale dell’Istituto del Caucaso. Dal 2013 è redattore editoriale del giornale Analiticon (Press Club di Stepanakert). Nel 2018-20 ha riferito per Hetk. Dal 2021 fa parte del team Artsakh di CivilNet.

Hayk Ghazaryan (Foto di Marut Vanyan).

Il blocco ha messo in difficoltà i giornalisti. Le difficoltà sono varie: da quelle tecniche a quelle sostanziali e psicologiche. Ad esempio, per un giornalista oggi, spostarsi da un luogo all’altro e raggiungere il luogo dell’incidente è un grosso problema perché non c’è carburante; a volte, dobbiamo raggiungere la nostra destinazione a piedi.

C’è stato un tempo durante il blocco in cui ricevevamo carburante con tagliandi, l’ho preso una volta, ma ora solo i trasporti pubblici sono forniti di carburante. Anche se oggi ci è stato detto che a volte potremmo filmare con la TV pubblica perché hanno il carburante assegnato.

I problemi di connettività a volte si aggiungono al problema del pendolarismo e spesso per verificare le informazioni di persona, è necessario recarsi sul luogo dell’incidente per verificarle dalle fonti primarie.

Ad esempio, nel caso dell’attentato contro la polizia, sono salito all’altezza più vicina possibile del luogo dell’incidente vicino alla zona di controllo dell’Servizio Nazionale di Sicurezza e ho cercato di determinare cosa stava accadendo sul posto.

Anche ottenere informazioni è diventato problematico. A differenza dei primi giorni del blocco, ora sia i funzionari che i portavoce dei dipartimenti governativi sono meno desiderosi di rilasciare interviste; hanno bisogno di capire cosa dire; non possiedono alcuna informazione particolare per venire a riferire ai giornalisti.

Lo stesso problema è presente con i medici. All’inizio del blocco, hanno collaborato attivamente con noi. Ora, più spesso di prima, si rifiutano di rilasciare interviste. Dicono che non importa quello che dicono, nulla cambierà. E in generale, c’è un vuoto di informazioni.

Durante la legge marziale, sono state prese varie restrizioni e decisioni, secondo le quali dovremmo attenersi alle informazioni ufficiali.

Tuttavia, anche all’interno delle restrizioni imposte, c’è un bel po’ di libertà in Artsakh; almeno, non ho riscontrato problemi seri di qualcuno che mi opprime. È fuori questione; finora non è successo niente del genere.

Prima della guerra e del blocco scrivevo di corruzione e abusi, ma ora sono irrilevanti. Tutti i principi giornalistici vengono meno quando la tua casa viene bombardata. Tutto cambia radicalmente quando sai che la tua casa è a rischio.

La realtà è diversa da quella che ti viene insegnata nelle teorie del giornalismo. Diventi parte del conflitto. Quando la tua famiglia vive nello stesso posto, i tuoi parenti e i tuoi figli, vivi gli eventi intorno a te in modo diverso. E non importa quanto tu voglia mantenere la tua neutralità professionale, diventa impossibile. Il quadro sarebbe diverso se coprissi, ad esempio, la guerra in Ucraina.

Siranush Adamyan

Si è laureata all’Università Statale dell’Artsakh, Dipartimento di giornalismo, e ha partecipato a corsi di alfabetizzazione mediatica informale e giornalismo multimediale. Dal 2022, Siranush lavora nell’ufficio Artsakh di Civilnet.

Siranush Adamyan (Foto di Marut Vanyan).

Non lavoravo prima della guerra. Mentre studiavo, scrivevo storie umane. Dopo la guerra, abbiamo iniziato a scrivere di più sugli sfollati, sui problemi che incontrano e su cosa fanno.

Ora l’argomento è uno: il blocco. Tutto riguarda il blocco. Trattiamo argomenti che riguardano e interessano la gente dell’Artsakh: problemi sanitari e di trasporto.

In termini di argomenti, a volte incontriamo problemi nell’acquisire informazioni o dati. Dopo il blocco, ottenere informazioni è diventato difficile; esistono alcune restrizioni. Ma non sarebbe esatto se dicesse che ci troviamo di fronte a seri problemi o che non ci sono informazioni.

Supponiamo, ad esempio, di voler preparare del materiale sulla situazione economica, e di chiedere informazioni al Ministero dell’Economia. In tal caso, si rifiutano di rispondere alle domande dicendo che è proibito parlare di quell’argomento. O recentemente volevo preparare del materiale sulla natalità, cioè quanti bambini sono nati dopo la guerra o durante il blocco. Il Ministero della Salute ci ha informato che c’è una nuova decisione di non discutere il tasso di natalità o pubblicare dati su questo argomento.

Oltre al tasso di natalità, anche le informazioni sulla popolazione non vengono divulgate. Ad esempio, se andiamo in un villaggio, il capo della comunità non ci dice quante persone vivono nel suo villaggio, dicendo che gli è stato detto di non rivelare alcun numero. Naturalmente, questo rende il lavoro difficile, ma poiché c’è una decisione, miriamo tutti a seguire quelle decisioni. Cerchiamo di seguire le informazioni ufficiali e di organizzare il nostro lavoro di conseguenza.

Lavorando in Artsakh sotto blocco, significa molto per me che i nostri colleghi di Yerevan di Civilnet traducano in russo e inglese i materiali che prepariamo. Almeno in questo modo, l’informazione diventa disponibile anche per i lettori stranieri.

Inoltre, lo diffondiamo attraverso i social media: Twitter e YouTube. Miriamo a rendere ciò che sta accadendo qui più accessibile al pubblico straniero, almeno attraverso questi mezzi.

La copertura del blocco sulla stampa internazionale è essenziale. I materiali che forniamo, ad esempio foto, articoli, ecc., devono riflettere correttamente il quadro generale di ciò che sta accadendo in Artsakh. Credo che oggi i giornalisti dell’Artsakh abbiano una grande responsabilità.

Marut Vanyan

È un giornalista freelance. Si occupa di giornalismo dal 2015 e ha partecipato a vari corsi di giornalismo informale. Per sua definizione, il blocco è diventato la ragione per lui per dedicarsi al giornalismo attivo e utilizzare Twitter nel suo lavoro.

Marut Vanyan,

Il blocco ha colpito tutto; tutto è diventato limitato, compresa la libertà di parola. Non dirò che l’Artsakh si sia trasformato in Corea del Nord, ma in ogni caso anche l’informazione è sotto blocco. A differenza dell’Armenia, mentirei se dicessi che la libertà di stampa esisteva prima del blocco. Qui abbiamo la televisione pubblica e i giornali di Stato; non è come se avessimo una stampa indipendente, che ora è ristretta.

Il fatto che né i media internazionali né quelli armeni abbiano oggi l’opportunità di lavorare in Artsakh crea un effetto di vuoto. Un estraneo vede molto di più e solleva molte domande logiche. Inoltre, è psicologicamente faticoso scrivere di un argomento che ti tocca direttamente.

Do la priorità al mio lavoro con la stampa internazionale in modo che il pubblico più vasto possibile sia informato su ciò che sta accadendo in Artsakh. Durante il blocco, ho iniziato ad amare Twitter. È il modo più efficiente per raccontare al mondo gli eventi dell’Artsakh. Su Twitter, miro a rendere i miei tweet il più accessibili e comprensibili possibile agli utenti stranieri.

Molti media internazionali mi hanno contattato, tra cui la BBC e Al-Jazeera English. Ho fatto del mio meglio per commentare e scrivere articoli per loro sugli argomenti più critici.

Anche quando c’è interesse da parte dei media internazionali, ci deve essere una risposta adeguata da parte nostra. Anche a distanza, non si lavora abbastanza con i mass media internazionali. Buffo, spesso ci lamentiamo che l’Europa tace e non ascolta, che solo loro fanno dichiarazioni, ma allo stesso tempo, non forniamo le informazioni necessarie che richiedono.

Anche le persone sono cambiate e lavorare con loro è diventato una sfida. Per illustrare, ho dovuto scrivere un articolo per un giornale europeo sui problemi sociali causati dal blocco: code, mancanza di merci. Mi era proibito fotografare i negozi vuoti, per non parlare delle code. Naturalmente non ritraevo volti, ma anche allora la gente si opponeva.

Una volta sono andato a fotografare un’aula fredda e vuota a causa dell’interruzione della fornitura di gas e il preside ha vietato di scattare foto, senza dare spiegazioni.

Le persone sono diventate molto sospettose. Ci sono stati casi in cui stavo girando in città e le persone si sono avvicinate e mi hanno chiesto chi fossi e cosa stessi facendo. C’è stato anche un caso in cui un cittadino ha chiesto di vedere il mio passaporto.

Ci sono molte difficoltà. Almeno non ho problemi di pendolarismo come gli altri giornalisti. vado in bicicletta; il mio lavoro non risente della mancanza di carburante. Posso andare in posti diversi, scattare foto, fare interviste.

La burocrazia nei dipartimenti governativi è un altro problema che ostacola il lavoro di un giornalista. Ad esempio, vuoi andare in ospedale, registrare le emozioni, parlare con i genitori dei bambini in ospedale e parlare con il medico. Per ogni colloquio di questo tipo, è necessaria l’autorizzazione del Ministero. Dicono che qualsiasi informazione fornita dovrebbe essere verificata con il Centro informazioni. Bisogna passare attraverso il faticoso processo di ottenere tutti i permessi.

Le storie più toccanti accadono negli ospedali. Quando il cibo e le medicine sono finiti all’inizio del blocco, ho parlato con la madre di uno dei bambini in cura in ospedale. Piangendo, raccontava di come dava metà a metà le medicine del bambino, divideva in quattro parti l’ultima patata della casa, e ne preparava una per il bambino ogni giorno perché era il suo piatto preferito; è stato straziante.

D’altra parte, dovresti coprire la realtà in modo che non ci sia panico. La situazione già aggravata e tesa non dovrebbe essere peggiorata. Lavoro molto attentamente in questo senso, ma cerco sempre di presentare la verità. Non esagero mai. Ad esempio, se non ci fossero banane per mesi, ho detto che non c’erano banane. Ma ho scritto quando sono stati importati. Non c’erano farmaci; Ho detto che non ce n’era nessuno. Poi, quando la Croce Rossa ha portato le medicine, è quello che ho scritto. La verità è sopra tutto.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

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