Processo 60SA in Vaticano. Il fiasco del Testimon de’ Testimonis, la picconata del Capo Persecutore sulla nuca di Becciu, che poi è ricevuto dal Papa

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Il Cardinale Giovanni Angelo Becciu è stato “ricevuto in udienza dal Santo Padre nel pomeriggio di sabato scorso”. Lo ha riferito lo stesso cardinale, sottolineando che “è stato, come sempre, un incontro cordiale. Oltre a fornirgli i chiarimenti che ho ritenuto necessari, gli ho manifestato e rinnovato la mia devozione assoluta. Egli mi ha incoraggiato rinnovandomi l’invito a continuare a partecipare alle celebrazioni cardinalizie”. Il Cardinal Becciu ha aggiunto: “Il Santo Padre mi ha autorizzato a rendere noto” questo. Lo apprendiamo da un flash dell’agenzia ANSA delle ore 10.37 di oggi.

L’accusa in Tribunale – Giovedì 24 novembre 2022 QUI durante la 37ª Udienza del processo al Tribunale vaticano in corso, il magistrato d’accusa, Professor Alessandro Diddi, fa udire nell’Aula una telefonata, a porte chiuse. Si sente la voce di Becciu che si accorda per registrare quel che si dirà con il Santo Padre. Non è un reato, uno può registrare le proprie telefonate, e conservarle: ma non si fa. È un atto deplorevole. Se poi è un cardinale con il Pontefice è uno scandalo pazzesco.

La mossa del Papa che riceve il cardinale in Udienza – Dopo il caso della telefonata registrata e fatta ascoltare in Tribunale e la pubblicazione della trascrizione insieme a delle chat private dall’agenzia Adnkronos giovedì 24 novembre 2022, sabato sera il Cardinal Becciu si è recato nella casa del Papa a Santa Marta per un incontro segreto. E dopo l’incontro – che poi ha potuto svelare – sembrava quasi rasserenato. II Papa deve essersi immedesimato con la fragilità di un uomo abbandonato da tutti. Ha constatato la data dell’auto-intercettazione: era il 24 luglio del 2021, dieci mesi dopo che Becciu si era sentito vomitato sul selciato proprio dalla persona più cara, e comunque dall’autorità che tiene in pugno le chiavi del Regno. Il Papa gli aveva scritto una supplica, dopo una lettera devastante, che poi aveva accettato di correggere.

Transitare la pazienza – Siamo fiduciosi che un giorno, speriamo non troppo lontano, verrà spiegato tutto. In attesa che questo avvenga, transitiamo la pazienza, esercizio che abbiamo imparato di assecondare, proseguendo con nostro lavoro di comunicazione. Testimonium perhibere veritati – Rendere testimonianza della verità. Giorno dopo giorno, passo dopo passa. Intanto, domani ritorneremo su questa storia piena di contradizioni, che sembra un miscuglio tra un viaggio sulle migliori montagne russe di Mirabilandia e una sceneggiata nel “Theatre of the Absurd”, con il titolo di una pubblicazione di Martin Esslin del 1961, delle opere di Samuel Beckett… aspettando Godot.

Le date che contano – Nel frattempo, è importante ricordare le date, senza le quali non si può comprendere questa ingarbugliata e sciagurata storia, nello stesso modo in cui non si può capire cosa sta succedendo nel Caucaso meridionale se non si studiano le carte, più quelle geografiche che non quelle storiche e politiche. Quindi, in un articolo successivo faremo una breve cronistoria delle date che contano nel caso 60SA, presentato come un procedimento sulla gestione finanziaria della Segreteria di Stato (SdS, in questo caso l’acronimo di un’istituzione, non la sigla di un funzionario), in realtà è una “operazione speciale” dei Sacri Palazzi per tenere il Cardinal Becciu fuori di un futuro Conclave, come lo ripetiamo dal principio (scommettiamo che non ci riusciranno?) [QUI] [V.v.B.].

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 28.11.2022 – Renato Farina] – Alle 6 della sera di sabato 26 novembre un’ombra è stata vista dirigersi, con passo sussultante, dal palazzo del Sant’Uffizio a piazza Santa Marta. Non è un percorso lungo. La figura minuta gira lo sguardo a destra verso la cupola illuminata, e più su. È lo stesso percorso fatto dal Cardinale Angelo Becciu il 24 settembre del 2020. Era circa la stessa ora, quel giovedì, e c’era il sole alto: nel tragitto gli era arrivata una telefonata che presagiva cose cattive, ma non vi diede retta. Avrebbe dovuto. C’era Francesco ad aspettare il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Accadde tutto in venti minuti, si spalancò l’abisso sotto i suoi piedi dove precipitò il suo cuore: quando usci era un uomo disperato e solo. Un fedele, un prete, e proprio l’uomo, anzitutto l’uomo, che fino a due anni prima era il collaboratore più stretto del Papa, ed è sfiduciato dal “suo” Pietro, anzi trattato come un ladro del tesoro dei poveri, e nemmeno gli è concesso di difendersi, come volete si sentisse? Gli brucia il costato bucato da una punta di lancia, la morte è niente. Poco dopo la sua persona sarà appesa perinde ac cadaver agli stipiti del mondo, un presunto innocente, crocefissione cautelare.

Stanza numero 201?

Ed eccolo ancora da quelle parti. Qualcuno lo riconosce nei pressi del pensionato più famoso del mondo, le guardie svizzere salutano davanti all’ingresso della Domus Sanctae Martae. È diretto a quella stessa stanza di allora, la numero 201? Non troviamo conferme. Tutto tace. Ci sono 101 camere in quel brutto parallelepipedo, del resto. Ma tutto congiura a scommetterci: il Papa ha ricevuto il reprobo, il copione è stato ribaltato rispetto a quel giorno disgraziato. Stavolta dalla porta del pensionato, dov’era entrato sgomento, vedono uscire un Don Angelino rasserenato, il volto è disteso, cammina quasi sollevato da terra.

Tutto pareva potesse accadere, ma in peggio. Invece. Il Papa che dà Udienza, immediatamente, a chi – se possibile – era precipitato ancora più giù. Ma più giù ancora, al di sotto di dov’era caduto, deve aver trovato l’abbraccio del “dolce Cristo in terra”, secondo la definizione di Santa Caterina da Siena, la quale con i successori di Pietro non era certo tenera.

Seconda opportunità

Dai che lo abbiamo pensato tutti. Una faccenda così, non si perdona, altro che settanta volte sette. Impensabile. Ma Cristo ha perdonato Pietro. Pietro – ha pensato Bergoglio – deve seguirlo “anche dove non vorrai”, come dice Gesù a Simone nel Vangelo di Giovanni. Mica facile. Mettiamoci nei panni dell’uomo Jorge Mario Bergoglio. Da alcuni mesi aveva dato al calviniano “cardinale dimezzato” forti segni di affetto e considerazione, fino a riammetterlo alla assemblea plenaria dei porporati. E poi che cosa accade? Giovedì nell’aula del Tribunale vaticano il magistrato d’accusa, professor Alessandro Diddi, fa udire una telefonata. Si sente la voce di Becciu che si accorda per registrare quel che si dirà con il Santo Padre. Non è un reato, uno può registrare le proprie telefonate, e conservarle: ma non si fa. È un atto deplorevole. Se poi è un cardinale con il Pontefice è uno scandalo pazzesco. Nessuno – dopo questa triste performance – pareva più disposto a scommettere un centesimo sulla figura morale e – anche se non si dovrebbero confondere i piani – sull’assoluzione di Becciu. Forse non ha portato via soldi al Papa per darli ai fratelli o a qualche faccendiere, ma a questo punto amen: ha derubato il Papa della sua buona fede. Destino segnato, reputazione irrecuperabile. Un attimo. Il Papa – se è vero che lo ha ricevuto – deve essersi immedesimato con la fragilità di un uomo abbandonato da tutti. Ha constatato la data dell’auto-intercettazione-di-cardinale-con-Pontefice: era il 24 luglio del 2021, dieci mesi esatti dopo che Becciu si era sentito vomitato sul selciato proprio dalla persona più cara, e comunque dall’autorità che tiene in pugno le chiavi del Regno. Aveva scritto una supplica: che il Papa dicesse se ricordava o meno le circostanze in cui lo aveva autorizzato a dare mezzo milione per liberare suor Gloria, in mano ai terroristi di Al Qaeda. E il Papa aveva fatto rispondere con le parole dell’accusatore, una lettera intrisa di termini giuridichesi, dove pareva aver consegnato il piccolo prelato sardo ai suoi carnefici.

Picconata spietata

Mancano tre giorni all’inizio del processo. Becciu è un morto che cammina. E i morti non sono imputabili di quel che fanno. Si aggrappa a una speranza, una parola buona del Papa. Infatti Francesco ricorda, dice che lo solleverà dal segreto. Becciu a telefonata chiusa, s’infuria con sé stesso. Non aveva mai inteso adoperare quel “file”. Dice alla nipote di cancellarlo. Non era un presunto innocente, era un uomo stracciato di dentro. Il Papa avrà capito? Sono certo di sì. Eppure. Come si fa a essere così spietati come il Procuratore di Sua Santità? Sa perfettamente quale picconata sulla nuca di Becciu sia produrla a freddo e trasmetterla in aula. Forse è un dovere dei magistrati essere cattivi, adoperare ogni mezzo per capovolgere le sorti di un processo che va malissimo per l’accusa. Quella telefonata, così come le parole di rabbia e di delusione consegnate alla chat privata dei parenti dall’imputato, non hanno valenza probatoria per l’accusa, semmai a questo punto ce l’hanno per la difesa. Eppure lo fa.

Risultato. Inchiodare per la seconda volta un povero cristiano alla croce. Riuscire a seppellire nell’oblio il fiasco del Testimon de’ Testimonis, quel Monsignor Alberto Perlasca che avrebbe dovuto essere l’asso di briscola dell’accusa. Perlasca ha confessato che qualcuno gli ha precotto le domande con cui ha elaborato il suo memoriale di accusa a Becciu, e gli ha anche dato la motivazione per silurare il suo ex-superiore, mentendo sul fatto che il cardinale avesse deposto contro di lui. Chi sia stato però non lo ricorda. Ha detto che deve consultare il suo diario. Ci piacerebbe sapere il nome del diario. Il prossimo 30 novembre ricomincia il controinterrogatorio di Perlasca.

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.

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