“Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”. 51° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Vietnam. La piccola San Tina di Saigon

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Il 28 aprile scorso abbiamo dato notizia [QUI] dell’inizio del 51° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina che porta Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami in Vietnam fino al ritorno questa mattina, 7 maggio, con Padre Giovanni, camilliano, Direttore del Mai Tai Center a Saigon, e Men Thi Bui, Rappresentante della Fondazione Santina ad Hanoi. Dopo aver presentato il programma provvisorio di questo viaggio dal tema Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, il 2 maggio abbiamo presentato il Report 50/1 – La pulce e la scolopendra [QUI]. Il 3 maggio abbiamo proseguito con il Report 50/2 – Ma tu hai una cicatrice nascosta? [QUI], che Don Gigi ci ha inviato da Yen Bai, nel Vietnam del Nord, in cui parla di Hien e il dramma dell’AIDS. E sempre da Yen Bai ci ha inviato il Report 51/3 – Luce a Khe Nhao. Love Beyond Borders [QUI], in cui ci parla dell’inaugurazione il 3 maggio di una rete elettrica portata dalla Fondazione Santina nel villaggio di Khe Nhao. Segue il Report 51/4 – La piccola San Tina di Saigon, che Don Gigi ci ha inviato dall’aeroporto di Doha nel Qatar, durante una sosta nel suo viaggio di ritorno.

Fondazione Santina – Il momento dei saluti a Yen Bai. Questa comunità cristiana ringrazia i benefattori per la loro generosità e per l’aiuto che ha ricevuto da Fondazione Santina. Un ringraziamento speciale al Vescovo di Bergamo, Mons. Francesco Beschi.

Sono all’aeroporto di Hanoi. Questa notte voliamo nel Qatar e nella attesa inizio a scrivere il report, che probabilmente terminerò a bordo dell’aereo. L’aeroporto è calmo. Non sembra che i problemi del Covid-19 disturbino molto il viaggio e il check-in è stato rapido. Ancora più rapido è il controllo del passaporto. Nulla da paragonare al 2015, quando dovevo chiedere visto in ambasciata tre mesi prima. Nella calma della sera inizio scrivere…

Don Gigi all’aeroporto di Hanoi, stanco ma tanto felice del viaggio.

Non posso nascondere che uno degli obiettivi del viaggio nel mio cuore era quello di incontrare la terza Santina. E scopro così che la piccolina in verità si chiama San Tina. Scoppio a ridere dentro di me. Queste tre bambine sono così distanti geograficamente tra loro e così vicine per le dure situazioni in cui sono nate e vivono. Questa caratteristica sempre mi colpisce. Le mie tre piccoline non sono nate in ambienti agiati, ricchi e facoltosi. No, loro tre no! Sono nate in ambienti molto diverso: il carcere, la povertà e l’AIDS.

Veramente sono così felice dell’incontro, che avviene al Centro Mai Tam gestito da Padre Giovanni a Saigon. Come per le altre due Santina vorrei molto conoscere la mamma e la famiglia. Rientro da una rapida visita ad un monastero di clausura carmelitano, con 34 suore tutte giovani dai 22 ai 55 anni. Dopo aver pregato con loro, devo continuare il pesante programma della giornata.

Così appare lei, San Tina. Corre divertita sulla strada fuori dal Centro Mai Tam dei cammilliani e attorno a lei ci sono tre ragazzine tutte sieropositive che ben conoscono San Tina, perché ha vissuto lì per un anno. La cosa più simpatica è che la piccolina di un anno nella sua leggera corsa viene accompagnata da un curioso suono. Mi avvicino a lei e capisco che le scarpine, rosa come il suo vestitino, nelle suole hanno un piccolo apparecchio che emette il suono. Rido divertito. Così San Tina mi conosce mentre scoppio a ridere.

Sono felice di vederla finalmente. La prendo in braccio e forse si spaventa, si ammutolisce e cerca la mamma. Chau non è lontana e mi giunge subito, non tanto per la bambina, quanto per conoscermi: “Sinjao Padre”. ”Sinjao Chau”, rispondo io. Con Padre Giuseppe vicino per la traduzione iniza il nostro dialogo.

“Chau, ti ho conosciuto nel 2019 quando sei venuta a salutarmi all’aeroporto. Ti ricordi? Ho ancora la fotografia”. “Certo Don Gigi – mi dice -, ricordo benissimo di te e sono così felice di vederti oggi”. “Anche io Chau, vorrei conoscerti di più. Possiamo parlare un po’?”.
La bambina scende dalle braccia della madre e corre felice a giocare. Così iniziamo a raccontarci le nostre vite con la passione di chi si stima ma non si conosce troppo. Inizio io: “Chau, non sai che gioia mi ha fatto il sapere che avevi messo nome alla tua bimba di Santina, meglio San Tina. Ma perché l’hai voluta chiamare così?”. La ragazzina ha vent’anni ma sembra averne 16. Infatti, rimango stupito quando mi dice che è nata nel 2002. Tre anni fa, quando l’ho conosciuta dunque ne aveva 17, ma sempre sembrava più piccola, tipo 14 o 15 anni. La ragazza è minuta, non pesa molti chili. Penso che la potrei alzare come un fuscello. Mi colpiscono molto i bellissimi occhi neri a mandorla, con uno sguardo profondo. I capelli sono lisci e neri, la pelle bianchissima e le mani sembrano quelle di una bambina. In effetti, noi occidentali abbiamo una corporatura più grossa. Da queste parti è difficile trovare gente grassa come invece trovi in America Latina o soprattutto in America del Nord e confrontandomi con loro, ben più piccoli e minuti di corporatura, mi sembrò grasso e impacciato.

Chau mi sorride dolcemente e comincia a parlare: “La mia storia è triste. Io da molto piccola ho perso i miei genitori. Tutti e due erano ammalati di Aids e come sai, io sono HIV. Alla loro morte mi hanno affidato alle Suore della Carità fino a quando avevo 15 anni. A quell’età ho lasciato l’orfanotrofio e mio zio mi ha preso in casa sua. La vita con la sua famiglia non è stata semplice e mi ha chiesto di lavorare in un bar per aiutare a pagare le spese domestiche. Ma quando si è accorto che ero sieropositiva e che mi doveva curare con medicine per lui costose, mi ha cacciato di casa. Così gli assistenti sociali mi hanno portato qui, a questo centro dove sono arrivata nel 2017. Qui mi sono trovata bene e ho potuto continuare la scuola. Quando ti ho conosciuto nel 2019 stavo ancora studiando ed ero innamorata di un ragazzo di nome Dat. Lui è un po’ immaturo, ma ci siamo innamorati”.

Il padre cammilliano traduce e io prendo appunti, finché compare lei, San Tina, giocherellando e con le sue scarpine ci diverte tutti. La guardo, è bellissima con i suoi occhietti a mandorla, assomiglia molto a Chau, che prosegue suo racconto: “Con Dat ci siamo frequentati per alcuni mesi e poi mi sono accorta di essere incinta. Padre Giovanni mi ha molto incoraggiato e sorretto, e così mi sono fatta coraggio ed ho partorito, ma Dat si è voluto togliere ogni responsabilità e non ci siamo più frequentati”. Le dico: “Mi dispiace molto Chau quanto mi racconti, ma felice che questo centro ti abbia regalato la forza di diventare madre. Questa forza ti aiuterà molto nella vita”.

Bevo un bicchiere di acqua e guardiamo per alcuni istanti San Tina giocare. I nostri occhi si illuminano, vedendola felice sorridere solare. Guardo Chau negli occhi e chiedo a lei: “Ma perché hai messo il nome San Tina alla bambina?”. La ragazza mi risponde: “Quando si è avvicinata la nascita della mia piccola, ho chiesto al padre quale nome mettere. Lui ha pensato un po’ e mi ha detto: ‘Che ne dici del nome di Santina, il nome della madre di Don Gigi, quel prete italiano dal grosso naso che ci ha visitato tre anni fa? In nome della sua mamma sta facendo tanto bene ai nostri bambini sieropositivi, potrebbe essere un buon auspicio per la tua bimba’. Appena mi ha detto quel nome strano mi sono messa a ridere, ma il nome straniero subito mi è piaciuto, senza pensarci ho chiesto un pezzo di carta lui mi ha dettato il nome. Al posto di scrivere Santina, ho scritto San Tina, ho messo il foglio in tasca e quando il 25 gennaio 2021 è nata la bambina in ospedale, ho dato quel pezzo di carta. Ecco perché San Tina: è un mio errore e le nostre lingue sono così differenti”.

Scoppio a ridere divertito e con me Padre Giuseppe, che fa la traduzione. È giunto il tempo di pranzo e il padre ci invita a mangiare. Prima di alzarsi dalle poltrone, Chau mi dice: “Padre, grazie per quello che fai per questo centro!”. Rispondo: “Non preoccuparti, prenderemo in adozione a distanza anche la tua bambina”. Ci alziamo e il nostro discorso continua anche a pranzo, nonostante le difficoltà della lingua e San Tina che corre da tutte le parti.

* * *

È giunto il tempo dell’imbarco sul mio volo per Doha, mi chiamano. Continuo a scrivere dall’ aereo. E così avviene. Dono seduto al posto 22F, un posto di corridoio e ascolto musica classica, dopo aver consumato una cena a base di pesce. Spero di inviare questo report da Doha, se trovo la linea. La sera è tranquilla. Alcuni passeggeri dormono. Aiutato dalla bella musica classica, continuo a scrivere di Santina o meglio di San Tina.

* * *

Durante il pranzo chiedo a Chau dove oggi abita e mi risponde così: “Dopo la nascita di San Tina, il mio ragazzo Dat, preso dalla grande curiosità di vedere sua figlia, è venuto qui a trovarmi e sono stata molto dura con lui. Gli ho detto in modo forte e risoluto, che o si prendeva le sue responsabilità, oppure di non farsi più vedere”. “E lui come ti ha risposto?”, domando. “Se ne è andato con le lacrime agli occhi. Pensavo di non vederlo mai più e mi misi tanto a piangere quel giorno. Poi, improvvisamente, dopo il compleanno di San Tina, è apparso alla porta del Mai Tam e mi ha detto che suo padre era disponibile a prenderci in casa sua e che avrebbe lavorato per mantenere la figlia e me. L’ho abbracciato forte forte, sono andata a conoscere meglio la sua famiglia e così ci siamo io e mia figlia trasferite da lui. Dat sta venendo a prenderci e mi piacerebbe che tu lo conoscessi, che ne dici?”.

Mentre mangio il riso con i bastoncini, con la solita fatica degli occidentali, sto scrivendo sulla carta queste note. Appoggio la biro blu, bevo un sorso di te e rispondo: “Sarei felice di conoscere non solo Dat, ma anche la sua famiglia. Possiamo tornare alla tua casa insieme?“. Chau rimane sorpresa ed accende il sorriso: “Davvero vieni Padre? Che bello! Saremo tutti felici. Dat sta venendo a prendermi, perché poi devo andare a lavorare. Vieni con noi?”.

Padre Giuseppe subito capisce la situazione: “Gigi, ti accompagno io in motorino, che ne dici?”. Guardo con riconoscenza il buon padre e lo ringrazio con commozione. Suona il cellulare di Chau. Dat la attende fuori con la bambina. San Tina ormai mi conosce e mi regala continui sorrisoni con i suoi occhi a mandorla delicatissimi. Scatto un milione di fotografie. Usciamo ed il ragazzino mi stringe la mano: “Sono Dat!”. Saliamo sulle moto, una per Dat, Chau e San Tina e una per me e Padre Giuseppe. La bimba vuole venire in braccio. Nulla da fare, salto con Dat in moto io e la piccolina, mentre Chau va con Padre Giuseppe.

E qui vi devo raccontare tutta la meraviglia di quel viaggio in moto. Davanti Dat, in mezzo seduta la principessina e io dietro. La moto parte e sono preso dall’incanto, sono forse le ore più belle di tutto il viaggio in Vietnam. Chau la mette in sella alla moto e lei con le sue manine si attacca alla maglietta del padre, gira il suo visino e mi sorride. La moto parte e la piccolina si sente al sicuro e i primi minuti guarda il panorama, proteggo dal vento la sua testolina e le sue orecchiette. Chau è con Padre Giuseppe e non si trattiene dal videoregistrare un pezzo di viaggio. La moto del padre si avvicina alla nostra e riprende i nostri volti. San Tina si è addormentata e appoggia la su testolina su di me e mi trasmette una pace infinita; quella pace di cui godono i bimbi piccoli piccoli quando dormono. Io sono inebriato, non avrei mai pensato di trovarmi a Saigon su di una moto con una bimba di nome San Tina in onore di mia madre Santina. Quanto è buono e grande Dio! Ti consola in modo semplice e con sorprese grandi, come la piccola bimba vietnamita che si chiama San Tina.

Sono così lontano dall’Europa, ma così felice. La corsa in moto non è lunga, purtroppo, e dura solo 20 minuti. Arriviamo alla misera casa di San Tina e mi dico: anche questa è sfigata come la Santina africana e quella messicana! Infatti, la casa dove vive la mia piccolina è davvero modestissima. Il giovane nonno suona la chitarra e ci propone alcune canzoni. Ci offrono un tè, lo beviamo nella serenità e nella pace. Il tempo scorre veloce e non lo vorrei. Guardo la piccolina e penso al dolcissimo viaggio in moto per le strade affollate di Saigon. Vorrei fermare il tempo o portare a Bergamo il tempo e la piccolina. Mi sorride, scattiamo altre foto, rincuoro i genitori, prometto loro di aiutare la piccolina con la vicinanza e l’adozione a distanza, ma soprattutto di pregare per lei.

La piccola San Tina e la sua mamma Chau.

L’incanto delle tre bimbe che si chiamano Santina, è una suggestione forte per la mi nuova vita. È un gioco di luce e di significato. Mia madre ormai è morta da dieci anni, eppure quanto è viva. Forse mi direte che devo andare in psicoanalisi, ma i fatti sono incontrovertibili. La solidarietà in nome di mia madre è oggi di 1.687.000 euro, non sono parole ma fatti si possono verificare. Se dieci anni fa mia madre è morta, è anche vero che oggi vivono tre bimbe con il nome di Santina. Anche questo è davvero strano, il fatto che in tre diverse parti del mondo tre bimbe abbiano il nome di una povera donna, che non hanno mai conosciuto, ma che ha segnato profondamente la loro vita.

Si è fatto davvero tardi. Chau deve andare a lavorare e io ho l’agenda piena zeppa. Con la morte nel cuore salgo sulla moto, dopo aver abbracciato forte forte San Tina, Chau e Dat. Padre Giuseppe mi dice: “Padre, non preoccuparti, non li perdi, li hai nel cuore e ho il presentimento che li vedrai presto. Se continui in questo modo, presto il mondo si riempirà di bimbe che si chiamano Santina”. Scoppiamo a ridere e la moto del padre sfreccia nel centro di Saigon.

* * *

Il volo verso Doha è sereno e la musica classica nelle mie cuffie accompagna il ricordo di San Tina; ma non solo di lei, anche di Chau, Dat, Men, Doan e tanti altri che in questi giorni mi sono “entrati in vena”. Ho proprio nostalgia di loro e del Vietnam in queste ore di malinconia. Un popolo meraviglioso e raffinato, misurato ed intelligente; una natura che non riesco a descrivere, tanto è la sua bellezza. Ho in valigia un sacco di riso bollito. Me lo ha cucinato Men per quando arriverò a casa e non ho nulla di cotto. Incredibile la bontà di questa donna. Domani e dopo a pranzo mangerò riso vietnamita e continuerò così a masticare la mia nostalgia e l’incanto per questi giorni. I giorni di un meraviglioso viaggio durante il quale il 3 maggio 2022 a distanza di un anno dal giorno che ho lasciato sì per sempre il vaticano, ma nel quale abbiamo inaugurato la rete elettrica a Khe Nhao.

Oggi la luce è arrivata a Khe Nhao. Ma forse proprio oggi la luce è giunta nella mia vita e quel sacco di riso che Men ha cucinato ne è la conferma.

Ora chiudo tutto cerco di dormire un paio di ore e dal Qatar invio il report.

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