Chiuso il consiglio permanente della Cei. Mons. Betori a tutto campo

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Non chiamiamolo testamento biologico ma espressione di una volontà, dato che la decisione sulla fine della vita spetta al medico che deve potere avere un confronto con le opinioni certe e vere del paziente. Mons. Giuseppe Betori, neo arcivescovo di Firenze e segretario uscente della Cei, risponde con chiarezza ai giornalisti sulla questione che si fa sempre più scottante anche all’interno del dibattito ecclesiale.

Dopo la sentenza della Corte di Cassazione e le polemiche seguite alla vicenda di Eluana Englaro, i vescovi italiani hanno aperto un nuovo fronte di riflessione. “Come è successo nel caso della fecondazione assistita, a questo punto bisogna affrontare legislativamente il problema”, spiega Betori. Il problema si pone in termini non di autoderteminazione, cioè appunto di “testamento biologico”, ma di dichiarazioni sulla fine della vita di cui i medici possono tenere conto in certi casi. E non si tratta di alimentazione ed idratazione, che non sono cure ma sostegno vitale.

Nella conferenza stampa per la presentazione del comunicato finale dei lavori del Consiglio Permanente della Cei, Giuseppe Betori ha chiarito anche che il dibattito che ha scosso l’Associazione Scienza e Vita a questo proposito è stato una occasione di dialogo e confronto e non una spaccatura, e del resto, ha aggiunto, “ci interessa che nella Chiesa ci sia gente pensante”.

Gli argomenti affrontati sono stati molti, a partire dal tema immigrazione che vede la Chiesa italiana schierata, come è ovvio, sul fronte della accoglienza e dei ricongiungimenti familiari, senza però dimenticare le esigenze di sicurezza dei cittadini. Ma la soluzione è proprio nella regolarizzazione e nell’inserimento nella società dei nuovi venuti che così saranno lontani da quelle situazioni estreme che possono portare alla criminalità. Per questo, anche la valutazione sui provvedimenti del governo per combattere la prostituzione è nel complesso positiva, “tranne, dice Betori, che per la penalizzazione delle donne che sono delle vittime”.

Anche il federalismo ottiene il plauso della Cei che però tiene a spiegare che si tratta soprattutto di un avvicinamento della gente alle decisioni tramite il rafforzamento dell’autorità locale, ma senza la perdita dell’unità del paese. Un federalismo di tipo rossiniano, sottolinea il segretario della Cei, e quindi di radice cristiana, un concetto cattolico di Italia nato prima dell’unità creata dai piemontesi con principi diversi. Una Italia che gli analisti anche cattolici, troppo spesso vedono come “paese da incubo” e che invece offre più positività di quanto si dice.

E proprio i cattolici, dice Betori, dovrebbero presentare i punti di speranza, perché “il nostro non è un paese allo sfascio e vedere solo le negatività non è il modo cristiano di vedere le cose.” L’esempio viene proprio da come i vescovi leggono i dati dell’8 per mille. Anche se cala l’introito per la Chiesa, si rafforza il sistema, che essendo proporzionale, raccoglie in questo anno più soldi per lo Stato. Questa la sfida vinta con 800 mila firme in più, di cui 35 mila alla Chiesa.

C’è poi il tema educativo. La riforma della scuola deve avere al centro proprio il ruolo educativo e non le rivendicazioni economiche. Ma certo la Chiesa italiana non si pone come obiettivo quello di dare voti ai governi e ai politici, piuttosto cerca di porre al centro dell’ interesse i grandi temi che interessano l’ uomo. Per questo sostiene la libertà di culto per gli immigrati. E per quanto riguarda la applicazione del Motu Proprio che consente la celebrazione secondo il messale del 1962 ,”c’è una totale adesione dei vescovi alla volontà del Papa e anche un apprezzamento per questo gesto non risultano problemi nell’applicazione del Motu proprio nelle diocesi italiane, tranne alcuni sparuti casi”.

Una risposta indiretta al segretario della Commissione ‘Ecclesia Dei’, monsignor Camille Perl, che aveva sollevato il problema circa alcune “difficoltà” delle diocesi di italiane di applicare il Motu Proprio. In Francia il papa aveva richiamato i vescovi a questo proposito con una affermazione chiara:” Nella Chiesa c’è posto per tutti.” Il grazie conclusivo dell’arcivescovo di Firenze è per il papa che gli ha permesso con questa nomina di “fare il vescovo davvero”.

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