Artsakh/Nagorno Karabakh. Se vince l’indifferenza per la Montagna del Giardino Nero del Caucaso del sud…

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L’Armenia, ieri giovedì 14 ottobre 2021, ha detto ai giudici della Corte internazionale di giustizia dell’Aia, il tribunale delle Nazioni Unite per la risoluzione delle controversie tra Stati, che l’Azerbajgian promuove l’odio etnico contro gli Armeni. Gli avvocati dell’Armenia hanno chiesto alla Corte mondiale di fermare quello che hanno definito un ciclo di violenza e odio. Hanno accusato le autorità dell’Azerbajgian di promuovere l’odio etico e una cultura in cui l’omicidio e la tortura degli Armeni etnici sono “sistematici”. “Generazioni e generazioni sono indottrinate in questa cultura di paura e odio per qualsiasi cosa armeno”, ha detto il Consigliere del Primo ministro armeno e Rappresentante della Repubblica di Armenia presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, Yeghishe Kirakosyan.

Yeghishe Kirakosyan.

Le accuse dell’Armenia rivolte all’Azerbajgian fanno parte del caso presentato alla Corte mondiale il mese scorso, secondo cui l’Azerbajgian ha violato la Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, di cui entrambi gli Stati sono firmatari. La Corte mondiale deve ancora determinare se ha giurisdizione in questo caso. L’udienza di ieri non è entrato nel merito del caso, ma si è occupato invece della richiesta armena di misure urgenti per fermare le violazioni azeri denunciati, mentre il tribunale esamina la domanda. Ci vorranno anni prima che i giudici raggiungano una sentenza definitiva nel caso, ma potrebbero pronunciarsi su possibili misure di emergenza in poche settimane.

Sempre ieri, giovedì 14 ottobre, su iniziativa della parte russa, si è tenuta, a margine della riunione ministeriale della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) a Minsk, capitale della Bielorussia, una riunione dei Ministri degli affari esteri di Armenia, Ararat Mirzoyan e Azerbajgian, Jeyhun Bayramov, con la mediazione del Ministro degli affari esteri di Russia, Sergei Lavrov. I Ministri degli affari esteri hanno discusso questioni relative al conflitto del Nagorno-Karabakh, compreso il processo di attuazione della dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020. Il Ministro Mirzoyan ha elogiato vivamente gli sforzi di mediazione della Federazione Russa volti alla cessione delle ostilità, e nel contesto della garanzia per la sicurezza degli Armeni di Artsakh ha sottolineato la presenza dei caschi blu della Russia nel Nagorno-Karabakh. Allo stesso tempo, il Ministro Mirozyan ha richiamato l’attenzione delle parti sul fatto che alcune disposizioni della Dichiarazione del 9 novembre 2020 non sono ancora state attuate, e al riguardo ha sottolineata la necessità del rimpatrio immediato e incondizionato dei prigionieri di guerra Armeni e di altri prigionieri civili. Riferendosi alla riunione tenuta con la mediazione e la partecipazione dei Copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE, il Ministro Mirzoyan ha ribadito che la soluzione globale e duratura del conflitto del Nagorno-Karabakh dovrebbe essere attuata nel quadro della Copresidenza del Gruppo di Minsk dell’OSCE e nell’ambito del suo mandato internazionale, basato su principi ed elementi ben noti alle parti.

Mentre ieri la Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha iniziato a esaminare il caso dell’Armenia contro l’Azerbajgian e si è svolta a Minsk la riunione dei Ministri degli affari esteri di Armenia, Russia e Azerbajgian, sei militari armeni sono rimasti feriti in un attacco sferrato dalle forze armate azere ad Artsakh, due dei quali in condizioni critiche, informa Arman Tatoyan, il Difensore dei diritti umani dell’Armenia. L’attentato è avvenuto nella comunità Nor Shen di Artsakh, nelle immediate vicinanze della quale si trovano le postazioni delle forze armate azere. I colpi sono stati sparati in direzione di diversi altri insediamenti civili nel sud di Artsakh. Tatoyan ha parlato con il Difensore dei diritti umani dell’Artsakh, Gegham G. Stepanyan, che si trovava in visita in un ospedale militare per informarsi dei dettagli.

Il Difensore dei diritti umani dell’Artsakh, Gegham G. Stepanyan in visita nel ospedale militare.

Secondo Tatoyan, “questo è un risultato diretto della politica genocida e fascista delle autorità azere. La presenza delle forze armate azere nelle vicinanze degli insediamenti civili armeni è una seria minaccia per la sicurezza e la pace delle persone, una violazione del loro diritto alla vita”. “Dato che le posizioni dell’Esercito di difesa dell’Artsakh nelle immediate vicinanze di Nor Shen e di altre comunità proteggono la vita e la sicurezza dei civili, è chiaro che le forze armate azere sono direttamente responsabili dei loro crimini per danneggiare la salute di tutti i soldati feriti”, ha aggiunto Tatoyan.

L’autoproclamata Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh è “solo” un piccolo fazzoletto di terra – 11.458 chilometri quadrati (meno della metà della superficie della Sardegna), con circa 143.000 abitanti (poco meno della metà degli abitanti di Cagliari) – incastrato nelle montagne del Caucaso del sud. Questo Paese assolutamente sconosciuto e profondamente bisognoso di parola, è uno Stato stupendo, uno di quelli “veri”, deciso dai popoli e non dai governanti freddi e sordi. Ufficialmente non esiste per nessun governo al mondo, ma è uno Stato con la voglia forte di vivere. Questo Paese cristiano armeno lotta da decenni per l’autodeterminazione e la sopravvivenza dall’aggressione azero-turca dell’Azerbajgian, dimenticato dal resto del mondo.

La Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh amministrativamente è diviso in sette regioni, più la capitale Stepanakert, a statuto speciale. La seconda città più grande è Shushi è occupato dall’Azerbajgian con la guerra di aggressione (che gli azeri-turchi chiamano “guerra di liberazione”, dell’anno scorso. Karabakh è una parola di origine turca e persiana che significa «giardino nero». Nagorno è una parola russa che significa «montagna». La popolazione di origine armena della Montagna del Giardino Nero preferisce chiamare la regione Artsakh, il nome antico armeno. Nel corso dei secoli ha subito numerose invasioni e dominazioni, ma la sua popolazione è stata sempre in larghissima parte armena e cristiana. Ciononostante, il dittatore dell’Unione Sovietica, Stalin decise nel 1921 di assegnare il territorio all’Azerbajgian, turcofono e musulmano sciita, creando la Regione Amministrativa Autonomo del Nagorno-Karabakh, che venne inglobato a sua volta nella Repubblica Socialista Sovietica Azera, contro la volontà della maggior parte degli abitanti, che è armena e cristiana. Alla fine degli anni Ottanta, approfittando della disgregazione dell’Unione Sovietica, la regione si staccò dall’Azerbaijan e le tensioni esplosero. Nel 1988 il Parlamento del Nagorno-Karabakh dichiarò la propria indipendenza. Dopo un conflitto che lasciò sul campo migliaia di morti, oltre a centinaia di migliaia di profughi da entrambe le parti, nel maggio del 1994 l’Armenia, l’Azerbaijan e la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Kabarakh sospesero le ostilità e firmarono l’accordo di Bishkek, lasciandosi alle spalle sei anni di scontri e combattimenti per il controllo di questo territorio. Artsakh, protetto dall’Armenia, ha ottenuto l’indipendenza de facto, anche se questa non è ancora riconosciuta dalla comunità internazionale. Però, la fine delle operazioni militari non portò mai al disarmo e da allora i tanti negoziati di pace tra Armenia e Azerbajgian non sono andati a buon fine. Principale esportatore di petrolio in Italia, il Paese non ha mai rinunciato a voler riprendere il controllo sul Nagorno-Karabakh. Dall’estate del 2014 c’è stata una ripresa degli scontri, anche sul confine armeno-azero. La tensione fra Azeri e Armeni è rimasta sempre molto elevata e le violazioni lungo la linea di contatto si sono susseguiti a ritmo sempre più intenso. Nel 2016, per la prima volta dall’interruzione ufficiale dei combattimenti, c’è stata la “Guerra dei Quattro giorni”, un violento scontro sviluppatosi tra Azerbajgian e la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh dal 2 al 5 aprile 2016. La portata delle operazioni militari, le modalità e il numero di morti e feriti anche fra la popolazione civile hanno assunti i connotati di vera e propria guerra, il cui termine è giunto con un accordo di cessate il fuoco mediato dalla Russia con l’appoggio degli Stati Uniti. Ritenuto poi un “conflitto congelato”, quello del Nagorno-Karabakh era rimasto sempre un focolare mai veramente spento, pronto a riaccendersi nell’indifferenza della comunità internazionale.

E puntualmente, il 27 settembre 2020 le forze del Male hanno attaccato nuovamente l’Artsakh. L’11 settembre 2021 tutto il mondo ha ricordato l’11 settembre del 2001 per il crollo delle Torri Gemelle a New York. Per i nostri fratelli Armeni la data del Male è arrivata il 27 settembre 2020, quando gli Azeri, con il sostegno determinante della Turchia, hanno attaccato la Repubblica di Artsakh/Nagorno Karabakh. Ad un anno di distanza la situazione resta critica. Il contingente di pace russo continua a vigilare sul rispetto dell’armistizio, l’accordo trilaterale che di continuo viene violato dall’Azerbajgian.

Diamo agli Armeni cristiani della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh un futuro di speranza e di libertà. Il Giardino della Montagna Nera del Caucaso non sarà mai azerbajgiano! Noi stiamo con il popolo dell’Artsakh e la propria autodeterminazione a sentirsi ed essere riconosciuto come una Nazione, fuori dai giochi di interesse geopolitico, fuori da ogni violenza. Invece, l’indifferenza della comunità internazionale nei confronti di questo popolo dell’Artsakh mette seriamente a repentaglio il significato pratico dell’agenda sui diritti umani.

Il Difensore dei diritti umani dell’Artsakh, Gegham G. Stepanyan, ha rilasciato una Nota in merito all’attacco azero contro una postazione armena la sera di ieri, 14 ottobre 2021, che ha provocato sei feriti (due dei quali ancora in serie condizioni, ma non in pericolo di vita). Ne riportiamo la traduzione italiana a cura di “Iniziativa italiana per il Karabakh”, un gruppo di studio, attivo dal novembre 2010, che ha l’obiettivo di far conoscere all’opinione pubblica italiana la storia, la cultura e il territorio della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh-Artsakh, armena e cristiana. Ma soprattutto il suo diritto all’autodeterminazione ed i principi giuridici e politici che ne sono alla base.

Gegham G. Stepanyan.

La Nota del Difensore dei diritti umani dell’Artsakh in merito all’attacco azero contro una postazione armena il 14 ottobre 2021

Gli incidenti registrati dimostrano ancora una volta il comportamento aggressivo e impudente della parte azera, la sua intenzione di usare la forza, con tutti i mezzi, per interrompere la vita normale in Artsakh, sfrattare gli Armeni e pulire etnicamente gli Armeni dell’Artsakh.

È interessante notare che le forze armate azere hanno preso di mira direttamente quelle posizioni dell’Esercito di difesa di Artsakh che si trovano a pochi metri dagli insediamenti civili di Nor Shen.

Ciò dimostra che i militari armeni svolgono esclusivamente la funzione di proteggere il diritto alla vita e alla salute della popolazione civile, mentre le postazioni militari azere situate vicino ai nostri insediamenti pacifici rappresentano una minaccia diretta a causa del loro comportamento aggressivo. La loro rimozione immediata è indispensabile per tutelare i diritti della popolazione civile, in particolare il diritto alla vita.

Allo stesso tempo, le forze di pace russe dispiegate in Artsakh e i mediatori internazionali non dovrebbero avere la funzione di registrare post factum gli incidenti, ma dovrebbero svolgere l’autorità e la responsabilità di investigare adeguatamente sugli incidenti e prevenire il loro ripetersi.

Per questo motivo, dal punto di vista del vero mantenimento della pace, è fondamentale la presenza permanente dei peacekeeper russi in tutte le comunità confinanti di Artsakh.

Gli incidenti registrati sono un’altra prova del fatto che le tesi azere sulla convivenza pacifica sono false, mancano di obiettivi reali in quella direzione, volti a gettare fumo negli occhi della comunità internazionale e delle parti interessate alla soluzione del conflitto azero-Karabakh .

Le dichiarazioni dell’Azerbajgian sulla coesistenza pacifica non sono altro che parole vuote che coprono l’agenda anti-armena e fascista dell’Azerbajgian.

Le organizzazioni internazionali, i singoli Stati dovrebbero guardare con gli occhi aperti alla situazione attuale, ai veri obiettivi e alle azioni delle parti che non si arrenderanno alle manipolazioni dell’Azerbajgian.

La loro indifferenza alla fine manda in frantumi l’agenda internazionale della protezione dei diritti umani, ne mette a repentaglio il significato pratico, trasformandola in un bel mucchio di parole senza un reale desiderio e determinazione a proteggerla.

Foto di copertina: Persone in lutto si riuniscono il 26 settembre 2021 al cimitero militare del Pantheon militare di Yerablur situato su una collina nei dintorni della capitale dell’Armenia, Erevan, per commemorare i soldati armeni che hanno perso la vita nella guerra di aggressione azero-Turca contro Artsakh/Nagorno-Karabakh (Foto di Artem Mikryukov/REUTERS).

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