“Verità sulla morte di mio figlio”: lo chiede la mamma di Claudio Domino, ucciso a 11 anni nel 1986 a Palermo. L’ex ministro Martelli in audizione all’Antimafia sulla Trattativa Stato-Mafia

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La prima storia di questa puntata di “Uno al giorno” è dedicata al bimbo Claudio Domino ucciso a 11 anni. “Vogliamo sapere tutta la verità sulla morte di mio figlio. Dopo 35 anni, per la prima volta, scendo in piazza per gridare il dolore di una madre a cui hanno ucciso un bimbo di 11 anni senza che si sia mai voluta fare giustizia”. È l’appello lanciato da Graziella Accetta, mamma di Claudio Domino, il bimbo di 11 anni che il 7 ottobre 1986 fu ucciso a colpi di pistola a Palermo nei pressi di via Fattori. Un mistero lungo 35 anni di cui non si è saputo nulla. Con varie piste e alcuni pentiti che hanno dato versioni diverse. Nel 1986 i Domino erano i titolari di una ditta che aveva vinto l’appalto per le pulizie dell’aula bunker del carcere Ucciardone durante il maxi processo. Mentre le udienze erano in corso, un uomo su una moto con casco integrale chiamò il piccolo in disparte, che si allontanò dall’amico con cui si trovava: un colpo di pistola in faccia uccise Claudio a soli 11 anni.

Antonio e Graziella Domino protestano davanti al tribunale di Palermo per rivendicare notizie, dopo 35 anni di silenzio, sull’omicidio del figlio dopo le rivelazioni di un coinvolgimento di Giovanni Aiello, detto ‘faccia da mostro’, un ex poliziotto (deceduto nel 2017).

Un omicidio che sconvolse l’opinione pubblica e che demolì il falso mito della Mafia che non tocca i bambini, tanto da spingere un imputato, Giovanni Bontade, a prendere la parola nel bunker per proclamare: “Non siamo stati noi!”. Un momento focale per la lotta alla Mafia, perché per la prima volta si ammetteva l’esistenza di un gruppo criminale. Bontate pronunciò l’ormai famoso “noi” che accertava l’esistenza di un’organizzazione.

Poi sul caso calò il silenzio. Squarciato la settimana scorsa durante il programma televisivo di Andrea Purgatori con Saverio Lodato per Atlantide su La7 del 5 maggio 2021, in cui è stato sostenuto – dal giornalista Lirio Abbate e dal procuratore di Lagonegro, Gianfranco Donadio – che, “il bimbo è stato ucciso da Giovanni Aiello, detto ‘faccia da mostro’, un ex poliziotto (deceduto nel 2017) e sospettato di essere un killer al soldo di servizi deviati e criminalità organizzata” [Due storie dalla serie “la Mafia e lo Stato”. Fallito attentato dell’Addaura a Falcone. “Faccia da mostro”, l’ex poliziotto Giovanni Aiello “associato” – 7 maggio 2021].

Antonio e Graziella Domino protestano davanti al tribunale di Palermo per rivendicare notizie, dopo 35 anni di silenzio, sull’omicidio del figlio dopo le rivelazioni di un coinvolgimento di Giovanni Aiello, detto ‘faccia da mostro’, un ex poliziotto (deceduto nel 2017).

“Ci siamo messi davanti alla tv io e mio marito perché sapevamo che ci sarebbero stati Andrea Piazza e Vincenzo D’Agostino [rispettivamente fratello e padre di Emanuele e Nino, i due poliziotti che sventarono l’attentato dell’Addaura, ai danni di Falcone, e che furono poi uccisi]. Ma siamo rimasti basiti: prima il procuratore Gianfranco Donadio ha detto che non si è voluto andare a fondo sull’omicidio di mio figlio, poi ha preso il microfono Lirio Abbate, che ha detto che a sparare fu Faccia da mostro”. L’agente dei servizi segreti deviati che avrebbe avuto un ruolo determinante nelle stragi, sarebbe dunque anche l’assassino di Claudio. E di fronte a questa nuova ipotesi, “rivelata da Luigi Ilardo al colonnello Michele Riccio, al quale disse – continua Graziella Accetta -: alcuni degli omicidi che ci avete attribuito li avete ordinati voi”.

“Non ci potevamo credere. Io ero ammutolita – dice la donna che da ieri mattina manifesta sotto il palazzo di giustizia di Palermo – mentre mio marito ha rischiato l’infarto. Sapere dalla tv vicende che riguardano mio figlio mentre noi non siamo mai stati chiamati per essere informati o aggiornati è incredibile. Noi abbiamo, da sempre, grande fiducia nello Stato e nelle Istituzioni, ma il rispetto dello Stato nei nostri confronti è pari a zero”.

Antonio e Graziella Domino protestano davanti al tribunale di Palermo per rivendicare notizie, dopo 35 anni di silenzio, sull’omicidio del figlio dopo le rivelazioni di un coinvolgimento di Giovanni Aiello, detto ‘faccia da mostro’, un ex poliziotto (deceduto nel 2017).

Il procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Lo Voi, incontrerà i genitori di Claudio. Lo fa sapere Graziella Accetta dopo avere ricevuto rassicurazioni attraverso gli ufficiali dei carabinieri che hanno riferito alla Procura della Repubblica la sua richiesta di incontro dei magistrati.

Paolo Borrometi, Vicedirettore AGI, Direttore di Laspia.it www.laspia.it e Presidente Articolo21 scrive in un post Facebook: «Claudio Domino venne ucciso con un colpo di pistola alla tempia, 35 anni fa. Freddato a 11 anni. I suoi genitori da allora chiedono di sapere la verità sull’atroce fine del proprio figlio. Non si può far finta di nulla, rimanere sordi al loro appello. A maggior ragione dopo le ultime notizie emerse, che vedrebbero l’ombra di “faccia da mostro” su questo omicidio come su altri. “Ora diteci la verità”. È solo questa la richiesta di Graziella e di Antonio. Ovvero la richiesta di due genitori che hanno visto il figlio ucciso così, a 11 anni”.

I genitori di Claudio Domino, Graziella e Antonio, marzi 2017 (Foto di Igor Petyx).

Palermo, parla la madre di Domino, freddato a 11 anni: “Così racconto Claudio e la mafia che uccide i bimbi”
Dopo l’agguato del 1986 si erano chiusi per anni in un angoscioso silenzio. Adesso Antonio Domino e la moglie Graziella vanno nelle scuole a raccontare le storie dei 108 ragazzini trucidati per volere dei clan: “Solo così si conquista la libertà dai criminali”
di Romina Marceca
Repubblica.it, 22 marzo 2017

Trent’anni non hanno cancellato i segni del dolore sul viso dei genitori di Claudio Domino, ucciso a 11 anni dalla mafia mentre giocava a pallone in strada, a San Lorenzo. La rabbia per la morte del figlio, dopo tanto tempo, ha imboccato una nuova strada: quella che porta alla voglia di far conoscere a tutti gli studenti d’Italia la storia del piccolo Claudio e degli altri 107 bambini uccisi dalla criminalità organizzata. «Abbiamo deciso di cambiare vita alla vigilia del trentesimo anniversario. Mia moglie Graziella mi disse: “Non voglio ricordare solo Claudio ma anche tutti quei bambini che come lui sono stati uccisi senza colpa dalla mafia”. Così — racconta Antonio Domino — è partito il nostro nuovo percorso. Prima abbiamo studiato le storie dei 108 bambini, poi abbiamo preso contatto con le scuole per portare la nostra testimonianza».

In un anno i genitori di Claudio hanno girato mezza Italia. Nei prossimi giorni andranno a Imola, Monza e Bologna. «Non è vero che la mafia non uccide donne, bambini e preti. La mafia — dice Graziella Accetta, mentre stringe il poster con i volti dei 108 bambini che porta in giro per l’Italia — non guarda in faccia nessuno». Nell’elenco dei 108 “invisibili”, come li chiama Antonio Domino, ci sono anche Annalisa, uccisa a 14 anni dalla Camorra a Napoli, Dodò centrato da una pallottola a 11 anni dalla ‘Ndrangheta e Simonetta, una bambina dai capelli rossi, che i sicari ammazzarono al ritorno dal mare. «Sono storie di bambini innocenti che in molti non conoscono — dice papà Domino — e noi crediamo che invece lo studio, la cultura, la conoscenza sono le armi giuste per combattere la mafia e la paura».

Claudio è stato ucciso il 7 ottobre del 1986 in pieno maxiprocesso. Di fatto sull’omicidio di Claudio la verità non è mai venuta a galla. «S’indagò male, s’indagò su di noi perdendo solo tempo. Un poliziotto capì che si stava sbagliando tutto ma fu troppo tardi», dice con rassegnazione Antonio Domino. «Lo Stato dovrebbe darci una risposta che non arriva. È una doppia sconfitta. Siamo stati uccisi anche noi. Gli altri nostri due figli sono delusi da questo Stato. E adesso dopo trent’anni di attesa chiederò il vitalizio come vittima della mafia», sostiene con rabbia Graziella Accetta.

Ieri Antonio e Graziella hanno partecipato al corteo per le vittime della mafia a Trapani. Non perdono un solo appuntamento di commemorazione al fianco di Libera. «È importante riconquistare la memoria. Nella scuola Borgese gli studenti hanno sposato il nostro progetto — dice Graziella Accetta — e con Rosanna Melilli, insegnante e di “Agende Rosse”, a fine anno incontreranno i genitori di alcuni dei 108 bambini». La voglia di andare avanti non manca anche se ai sorrisi e agli abbracci degli studenti si aggiunge anche qualche amarezza. «Qualcuno — dice Graziella Accetta scuotendo la testa — ha rubato le colombe in ottone dalla lapide davanti alla scuola che frequentava Claudio». Un altro schiaffo da Palermo.

La seconda storia è dedicata all’audizione dell’ex guardasigilli in Antimafia. Quando Claudio Martelli parla è consigliato ascoltare ogni parola che dice. Ed ascoltare bene. Consigliamo rileggere anche con attenzione Il “papello” con le richieste mafiose. La strage di Capaci: l’intervista a Claudio Martelli del 4 maggio 2016 – 10 gennaio 2021.

Palermo, l’ex ministro Martelli in Antimafia: “Borsellino non fu protetto. Su questo non è mai stata aperta un’indagine”
Interrogato per un’ora e mezzo dalla commissione siciliana presieduta da Claudio Fava, l’ex guardasigilli ha puntato il dito sulla mancata protezione del giudice nonostante si sapesse che la sua vita fosse in pericolo: “Si omise anche di fare controllare la casa della madre, dove si sapeva che si recava con regolarità”. Parlando poi delle lotte intestine nella magistratura di oggi, Martelli ha attaccato l’Anm, definendolo la “principale minaccia all’autonomia dei magistrati”
di Manuela Modica
Ilfattoquotidiano.it, 12 maggio 2021


“Io sono ancora turbato da ciò che è stato omesso di fare da tutte le autorità dello stato a Palermo nonostante tutte le segnalazioni avute da me e dal ministro Scotti (Vincenzo, capo del Viminale all’epoca delle stragi, ndr) in ordine alla protezione da mettere in atto nei confronti di Borsellino. Omissioni sulle quali non è mai stata aperta alcuna indagine”. Così parla Claudio Martelli di fronte alla commissione antimafia siciliana presieduta da Claudio Fava. Interrogato per un’ora e mezzo, Martelli, che fu ministro della Giustizia all’epoca degli attentati, ha raccontato la sua versione dei fatti, puntando il dito sulla mancata protezione attivata dalle autorità nonostante si sapesse che la vita del giudice Paolo Borsellino fosse in pericolo: “Si omise anche di fare controllare la casa della madre, dove si sapeva che si recava con regolarità”.

Durante l’intervento in commissione, l’ex ministro, esponente del Psi, ha risposto alle domande toccando molti aspetti di quegli anni, in primis la mancata protezione del giudice: “Come ci si può sorprendere che ci siano stati depistaggi se c’è stata già questa mancanza: una forma di omertà o di omissione più o meno consapevole”, ha detto Martelli. Una mancata protezione che non fu presa nella giusta considerazione neanche dal magistrato Giovanni Tinebra quando lui glielo sottolineò: “Tinebra rispose come se si fosse trattato di un dettaglio trascurabile”, ha riportato l’ex guardasigilli. E sulla magistratura si è soffermato più volte, incalzato da una domanda di Fava: “Com’è stato possibile, secondo lei, che mentre la procura di Caltanissetta chiedeva a Bruno Contrada di indagare, quella di Palermo indagava lo stesso Contrada: come mai due procure così vicine seguivano strade così opposte?”. Martelli ha replicato così: “La storia della magistratura inquirente degli ultimi 50 anni è talmente piena di episodi analoghi, reciproche smentite quando non reciproche guerre. La particolarità dell’episodio non è nella conflittualità della magistratura ma semmai nella vittima (Borsellino, ndr)”.

Nel cuore di questi contrasti si palesava un altro magistrato, ovvero Pietro Giammanco, che Fava annota, “non è mai stato ascoltato: com’è possibile una simile omissione in un’indagine secondo lei?”. “Non si ha idea dei guasti che sono provocati dai contrasti e dalle opposte ambizioni o visioni, all’interno della magistratura”, risponde l’ex ministro della Giustizia. D’altronde, ricorda, “se non ci fossero stati questi contrasti e se Falcone non fosse stato attaccato dai corvi e poi da coloro che lo denunciarono… Se non fosse stato questo il clima a Palermo non ci sarebbe stato bisogno che io chiamassi Falcone a Roma”. E ancora: “Credo di essere stato sempre inviso al presidente Oscar Luigi Scalfaro, e credo lo fosse altrettanto Vincenzo Scotti”, sottolinea Martelli. Che inserisce Scalfaro in “quella schiera di politici prettamente democristiani, ma non solo, che riteneva che Scotti e io avessimo turbato se non quella pax mafiosa, quella ‘coabitazione’: alcuni pezzi dello stato – politici, magistrati, poliziotti – condividevano l’assunto ‘quieta non movere’, altrimenti succede il peggio”.

E per Martelli è tutto già detto da Mori, nel processo sulla trattativa, quando riferisce la conversazione avuta con Ciancimino, al quale chiese di evitare il “muro contro muro: credo che in quel caso Mori abbia trattato per sé, lo Stato non tratta, non esiste, e anche quando a Conso (Giovanni, ministro della Giustizia dopo Martelli, ndr) gli si chiese perché avesse ritirato il 41 bis, lui rispose: volevamo dare un segnale di disponibilità all’ala moderata di Cosa nostra ai fini di evitare ulteriori stragi”. Dichiarazioni che secondo Martelli dicono la verità sulla trattativa: “Non capisco perché ci si sia arrovellati in processi, quando la verità è in queste dichiarazioni. Io ho pensato sempre più a un cedimento dello Stato, che non ad una vera e propria trattativa”. Un’ora e mezzo di intervento di Martelli in cui c’è spazio anche per la contemporaneità. Sollecitato da una domanda della consigliera regionale del M5s, Roberta Schillace, che gli chiede un parallelismo con le lotte intestine della magistratura di adesso, l’ex inquilino di via Arenula risponde con un attacco frontale all’Associazione nazionale magistrati, definita come la “principale minaccia all’autonomia dei magistrati. La funzione dell’Anm non era quella di difendere gli interessi dei magistrati, ma di difendere l’autonomia della magistratura. In questo momento invece è il maggior pericolo per la sua indipendenza“.

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