Resta da vedere come un modus operandi (di indagini sommarie, processi farsa e dimissioni imposte) possa essere efficace ad affrontare dei problemi generali

Condividi su...

It remains to be seen, certainly. Come ogni lunedì, l’amico e collega Andrea Gagliarducci ha aggiornato il suo sito (in inglese) Monday Vatican con un nuovo articolo. Questa settimana, ha scritto di come Papa Francesco sta amministrando lo Stato della Città del Vaticano, di cui è il sovrano assoluto. Le analisi giornalistiche di Gagliarducci – che è definito, ed è tutto dire, da Sandro Magister “un osservatore tra i più attenti” (noi diremo che osserva con grande devozione e soprattutto con la particolare devozione alla lente) – dedicate soprattutto alla sfera diplomatica, giudiziaria, finanziaria e mediatica, sono sempre molto interessanti, approfondite e documentate. Lo è anche l’articolo Pope Francis, the dilemma of managing the State, che riportiamo di seguito, in una nostra traduzione italiana dall’inglese.

Papa Francesco, il dilemma della gestione dello Stato
di Andrea Gagliarducci
Mondayvatican.com, 3 maggio 2021


Non c’è dubbio che Papa Francesco voglia combattere la corruzione in Vaticano e promuovere un cambio di mentalità. Tutto ciò che il Papa ha fatto finora mira a proiettare un’immagine diversa del Vaticano, libero da tribunali e potenti segretari guardiani. Soprattutto un Vaticano veramente “povero per i poveri”, che usa il pugno di ferro contro ogni possibile caso di corruzione. Tuttavia, le misure prese da Papa Francesco sono guidate dall’emergenza. Non sembrano avere una visione chiara ea lungo termine. E questa è probabilmente la loro significativa limitazione.

L’ultimo esempio è il Motu proprio con cui papa Francesco, il 29 aprile, ha stabilito nuove disposizioni per la gestione delle finanze pubbliche [QUI]. Insomma, il Motu proprio modifica due articoli del Regolamento Generale della Curia Romana e chiede ai dirigenti e a chi ha a che fare con la gestione delle finanze pubbliche di giurare che non sono mai stati condannati, non sono nemmeno mai accusati. Che non hanno capitali all’estero in uno dei cosiddetti “stati canaglia”. Non solo: nessun funzionario vaticano può accettare regali superiori ai 40 euro.

Le prime reazioni al provvedimento sono state perlopiù entusiastiche. Si diceva infatti che Papa Francesco avesse posto fine alla cultura del “sacco di soldi” dato direttamente al monsignore di turno. In realtà, però, questa disposizione ha punti luminosi e ombre grigie e rivela a un livello più profondo un modus operandi comune a molte operazioni del pontificato.
Innanzitutto va notato che il provvedimento è arrivato durante la sessione plenaria di MONEYVAL, il Comitato del Consiglio d’Europa che valuta l’adesione dei Paesi membri agli standard internazionali in termini di trasparenza finanziaria. Durante la plenaria del 26-30 aprile è stato discusso anche il Quinto Rapporto sullo stato di avanzamento della Santa Sede, che sarà pubblico tra un paio di settimane. Il Motu proprio non ha inciso sulla valutazione della Santa Sede, che tra l’altro ha affrontato la questione dell’efficacia dell’ordinamento giuridico. Certamente, però, una legge dell’ultimo minuto non può piacere a Strasburgo, anche perché si tratta di leggi ad hoc che spesso vengono emanate da Paesi non conformi agli standard internazionali.

Il punto, tuttavia, non è la legge stessa. Si tratta invece di guardare a uno stile di governo e capire se alla fine può riuscire a raggiungere il suo obiettivo.

La lotta alla corruzione è un tema centrale non solo di questo ma di tutti i pontificati. Il Vaticano è un mondo microscopico, in cui molto si basa sulla fiducia reciproca piuttosto che su criteri oggettivi. Non sbagliato, in generale. Ma queste relazioni personali possono nascondere insidie. In molti casi ci sono errori di ingenuità, di preti, monsignori, vescovi, anche cardinali che si affidano a uomini d’affari senza scrupoli, convinti di fare il meglio per le loro attività. In alcuni casi, c’è una vera rete di corruzione.

È sempre molto difficile saperlo. Guardando le carte del processo IOR/Ambrosiano, ad esempio, sembra molto chiaro che sia stato Roberto Calvi a usare il Vaticano e non viceversa. Questo è più o meno sempre il caso [QUI].

Questa situazione, tuttavia, non può essere risolta semplicemente con nuove rigorose tecniche normative e legali. Se il problema è l’istruzione, bisogna risolverla con la scuola. Moltiplicare i controlli, rafforza la polizia e la procura ma non permette di formare una nuova mentalità. Non può esserci quella conversione necessaria di cui parla sempre Papa Francesco.

È invece necessario un quadro giuridico ben fatto, non regolamenti ad hoc che affrontino le singole situazioni. Il Motu proprio ultimo è, in fondo, una legislazione ad hoc che non crea una nuova mentalità giuridica ma piuttosto un clima di controllo assoluto. Se ci si pensa, anche il recente attivismo giudiziario ha fatto parte di soluzioni estemporanee, che miravano ad affrontare un problema a testa alta senza contestualizzarlo e comprenderlo.

Non si tratta solo dei loro aspetti criminali. Altri casi testimoniano un modus operandi volto a risolvere situazioni particolari piuttosto che ad affrontare problemi generali. Come Papa Francesco ha affrontato il caso di abuso in Cile è rivelatore:

  • Il Papa non ha ascoltato le accuse.
  • Ha ammesso che è stato commesso un errore.
  • Ha convocato due volte i vescovi cileni a Roma e, al termine del secondo incontro, tutti hanno offerto le loro dimissioni.
  • Cominciò un passo alla volta per cambiare i ranghi della Chiesa in Cile.

In questa risposta immediata, Papa Francesco ha aggiunto un vertice dei vescovi di tutto il mondo sugli abusi, che ha portato a tre riforme nella gestione degli abusi. Ancora una volta, queste erano risposte a un problema immediato e l’opinione pubblica le accolse con favore. Ma consentono di rompere la catena degli abusi?

Sia nell’attivismo anti-corruzione che in quello anti-abuso possiamo trovare una concessione all’opinione pubblica che di certo non aiuta a formare un sistema veramente efficace. Le punizioni sono date, gli ambienti sani non creati. Concetti come quello di “vulnerabilità”, “trasparenza”, “tolleranza zero” fanno notizia molto facilmente ma non riescono a presentare i fatti. I processi hanno bisogno di dati concreti, altrimenti sono semplicemente accuse.

Quando, ad esempio, un adulto può essere definito vulnerabile? Quando si tratta effettivamente di abusi e quando no? Come si definisce la negligenza di un vescovo, magari in casi avvenuti trent’anni fa? Come definire la trasparenza finanziaria? È sufficiente determinare un valore massimo per i regali che possono essere accettati, per porre fine alla cultura delle tangenti?

Quello che manca è creare un sistema giudiziario, sia penale che canonico, che tenga conto delle situazioni personali, sappia stabilire regole specifiche, e garantisca la necessaria flessibilità nella loro applicazione, soprattutto la loro applicazione in una realtà particolare come quella vaticana.

Tanto più che questo viene chiesto a livello internazionale, troviamo una Santa Sede che firma i trattati, ma che poi non è in grado di applicarli perché lo Stato non ha una strategia a lungo termine, ma solo di riparazione temporanea del danno. Questa è anche una Chiesa da “ospedale da campo”. Tuttavia, resta da vedere come le indagini sommarie, i processi farsa e le dimissioni richieste ai vescovi aiuteranno ad affrontare questa situazione.

Free Webcam Girls
151.11.48.50