Numeri ufficiali Covid-19 del 3 maggio 2021. Aprire la vaccinazione ai sacerdoti. Categoria a rischio. Svolgono un servizio spiritualmente e socialmente utile

Condividi su...

Ringraziando i nostri lettori e sostenitori, ricordiamo che è possibile inviare comunicazione presso l’indirizzo di posta elettronica del “Blog dell’Editore”: QUI.

I dati Covid-19 ufficiali del Ministero della salute di oggi lunedì 3 maggio 2021

Ricoverati con sintomi: 18.395 (+50) (+0,27%) [Occupazione al 29%] [*]
In terapia intensiva: 2.490 (-34) (-1,35%) [con 121 nuovi ingressi del giorno] [**] [Occupazione al 28%] [*]
Deceduti: 121.433 (+256) (+0,21%)
Vaccinati [***] e percentuale sulla platea da vaccinare (aggiornato al 3 maggio 2021 ore 17:11): 6.302.433 (12,41% di una platea di 50.773.718 persone da vaccinare)

[*] La soglia del 30% di occupazione per le terapie intensive e del 40% per le aree non critiche è individuata dal decreto del Ministro della Salute del 30 aprile 2020, oltre la quale sono a rischio le prestazioni sanitarie per le altre patologie. Per area non critica si intendono i posti letto di area medica afferenti alle specialità di malattie infettive, medicina generale e pneumologia.
[**] Dato molto importante, perché permette di verificare al di là del saldo quante persone sono effettivamente entrate in terapia intensiva nelle ultime 24 ore oggetto della comunicazione.
[***] Persone che hanno completato la vaccinazione (prima e seconda dose; oppure monodose). Vaccinazione in tempo reale: QUI.

Il sistema “Tutor” per verificare il “trend” dell’epidemia

Media giornaliera dei decessi: 277 (-).

Tabella con i decessi al giorno, il totale dei decessi e la media giornaliera dei decessi [A cura dello Staff del “Blog dell’Editore”]: QUI.

Il punto della situazione a cura di Lab24
Proviamo oggi a rispondere, in modo sintetico e comprensibile vista la complessità scientifica dell’argomento, alle molte domande ricevute sulle varianti del Sars-CoV-2 e in particolare su quella indiana.
L’Oms cataloga le varianti in due categorie distinte: Voc (Variants of concern) e Voi (Variants of interest). Come si evince dai nomi le prime destano preoccupazione; le seconde, almeno per il momento, solo “interesse”. In altri termini, meritano di essere studiate in modo approfondito per capire quale direzione possano prendere nel futuro.
Per ora nel primo gruppo troviamo solo 3 varianti: inglese, sudafricana e brasiliana. Nel secondo gruppo, oltre a quella indiana, ne troviamo altre 6: rilevate per la prima volta in Uk e Nigeria; Usa; Brasile; Filippine e Giappone; di nuovo Usa (un secondo tipo) e Francia.
Quella indiana è l’ultima in ordine di tempo, ed è arrivata agli onori della cronaca soprattutto per i valori assoluti che ha saputo generare: fino a 400.000 casi in un solo giorno. Abbiamo visto, tuttavia, come questi numeri debbano essere rapportati a un Paese con 1,4 miliardi di abitanti; e che, visti in quest’ottica, non sono molto diversi da quelli espressi oggi nei principali Stati europei.
Ci sono però due aspetti importanti da considerare a proposito della variante indiana: ogni giorno vengono eseguiti (dati dell’ultima settimana) da 1,5 a 1,9 milioni di test, dato che ci restituisce un’altissima percentuale positivi/tamponi (tra il 20 e il 26% circa). Con questi valori, come abbiamo visto in passato nei Paesi occidentali a partire dall’Italia, è probabile che il numero dei contagiati reali sia 4-5 volte superiore, con una vastissima platea di asintomatici.
Secondo aspetto: l’età mediana della popolazione indiana è di soli 25 anni, e dimostra come questa variante del Sars-CoV-2 sia in grado di diffondersi rapidamente in una popolazione molto giovane. Un po’ come quella che, vaccinando in prima battuta gli anziani, stiamo in qualche modo selezionando nei Paesi occidentali (non ci sono alternative possibili nel contrastare una malattia dove il rischio di morte è direttamente correlato all’aumento dell’età).
Per questi motivi la variante indiana deve essere studiata in modo approfondito: per comprenderne meglio le caratteristiche inclusa la capacità (o meno) di eludere la risposta immunitaria delle persone vaccinate, oppure guarite dopo aver contratto la malattia con una variante differente.
Per capire quanto sia complessa la situazione in India non bisogna poi trascurare altri due elementi:
1) Sul territorio stanno circolando contemporaneamente anche le due varianti inglese e sudafricana, con prevalenze diverse su base territoriale: il che rende più difficile capire di quanto sia incrementata la capacità diffusionale del virus.
2) A spingere il contagio hanno sicuramente contribuito gli incoraggiamenti a riprendere le manifestazioni religiose, caratterizzate da assembramenti oceanici (come la festa di Holi di fine marzo, da noi più nota come festa dei colori); oppure le tornate elettorali, a cavallo tra marzo e aprile, in 5 diversi Stati.
Chiudiamo con una considerazione più generale, che per ora resta solo una pura ipotesi di scuola: osservando dove si localizzano le mutazioni del Sars-CoV-2 si nota una certa predilezione per alcuni punti precisi della proteina Spike. Non essendo questi punti composti da elementi “infiniti”, anzi esattamente il contrario, potremmo assistere a una crescente difficoltà del virus a produrre nuove mutazioni e, di conseguenza, varianti. Ma per ora, lo ripetiamo, è solo un’ipotesi basata sulla mera osservazione delle localizzazioni più ricorrenti delle mutazioni (Fonte Lab24.ilsole24ore.com/coronavirus).

Istat: nel 2020 il Sars-CoV-2 ha causato in Italia almeno 99.000 decessi in più di quanto atteso
Nel 2020 ci sono stati 746.000 decessi (+13% rispetto al 2019, con la Lombardia maglia nera: +25%)


Secondo il Sistema di sorveglianza nazionale integrata dell’Istituto superiore di sanità, nel corso del 2020 sono stati registrati 74.159 decessi attribuibili in via diretta a Covid-19. Tuttavia, l’incremento assoluto dei decessi per tutte le cause di morte sull’anno precedente è stato pari a +112.000. Sono le stime che l’Istat ha diffuso oggi con gli “Indicatori demografici” per l’anno 2020.
“Se da un lato è possibile ipotizzare che parte della mortalità da Covid-19 possa essere sfuggita alle rilevazioni [****], dall’altro – viene spiegato – è anche concreta l’ipotesi che una parte ulteriore di decessi sia stata causata da altre patologie letali che, nell’ambito di un Sistema sanitario nazionale in piena emergenza, non è stato possibile trattare nei tempi e nei modi richiesti”.
“In attesa degli approfondimenti sui dati dettagliati per causa di morte, che nello specifico ripercorrono le fasi di ciascun singolo decesso del 2020 (dalle cause iniziali alle complicanze, fino alla causa letale ultima), è possibile effettuare alcune valutazioni di massima”, prosegue l’Istat: “Se, ad esempio, nel corso del 2020 si fossero riscontrati i medesimi rischi di morte osservati nel 2019 (distintamente per sesso, età e provincia di residenza e applicati ai soggetti esposti a rischio di decesso4) i morti sarebbero stati 647.000, ossia soltanto 13.000 in più rispetto all’anno precedente, invece dei 112.000 registrati. Ne consegue che la mortalità indotta direttamente/indirettamente da Covid-19 ammonta a 99.000 decessi, un livello che può considerarsi come limite minimo”. Infatti, nei primi due mesi del 2020, in una fase antecedente alla diffusione del virus, i decessi sono stati 6.877 in meno rispetto agli stessi mesi del 2019. “È dunque lecito ipotizzare che senza la pandemia i rischi di morte sarebbero stati inferiori e non, come qui è ipotizzato ai fini del calcolo, precisamente eguali”, conclude l’Istat.
Dai dati diffusi, delle 99.000 unità stimate come eccesso di mortalità 53.000 sono uomini e 46.000 donne, a riprova che la pandemia ha prevalentemente colpito il genere maschile. Incidenza maggiore si ha avuta anche al Nord e tra gli anziani.
A livello nazionale l’eccesso di mortalità rappresenta il 13% della mortalità riscontrata nell’anno, ma la situazione è molto varia sul piano territoriale. Nel Nord rappresenta il 19%, nel Centro l’8% e nel Mezzogiorno il 7% del totale. A livello regionale i valori variano dal 4% di Calabria e Basilicata al 25% (un decesso su quattro) della Lombardia. In quest’ultima regione, peraltro, emergono le aree più colpite. Nella provincia di Bergamo l’eccesso di mortalità costituisce il 36% del totale, in quella di Cremona il 35%, in quella di Lodi il 34%.
[****] Abbiamo sempre osservato che il numero ufficiale dei decessi (per o con) Covid-19 (74.159 al 31 dicembre 2020) è certamente minore dei dati reali, come oggi l’Istat conferma.

Nel Regno Unito un morto Covid-19 in 24 ore. Così il Paese ha abbattuto la curva

La Gran Bretagna segna un record positivo probabilmente trainato dall’effetto della campagna di vaccinazione che, il 3 maggio, ha superato 50 milioni di dosi somministrate. Il governo britannico ha segnalato solo 1.649 nuovi casi giornalieri, che confermano l’andamento discendente (Fonte SkyTG24).

Con vaccini, in Rsa e tra operatori sanitari contagi giù

I vaccini anti Covid-19 hanno ridotto casi, isolamenti, ricoveri e decessi nelle Rsa, e anche sugli operatori sanitari gli effetti positivi sono tangibili, con una efficacia del 95%. Lo affermano due studi pubblicati oggi e coordinati dall’Istituto Superiore di Sanità. La prima analisi è un aggiornamento del report periodico sulle Residenze assistenziali, aggiornato al 25 aprile e pubblicato sul sito Epicentro, a cui hanno partecipato 842 strutture. Nel mese di novembre 2020, si legge, l’incidenza settimanale di Covid ha raggiunto un picco del 3,2% nelle strutture residenziali per anziani e del 3,1% in tutte le strutture residenziali, mentre nell’ultima settimana di febbraio, nei mesi di marzo e aprile si raggiungono valori sovrapponibili o inferiori a quelli registrati nella prima settimana di ottobre (0,4% nelle strutture residenziali per anziani e del 0,3% in tutte le strutture residenziali nella settimana dal 19 al 25 aprile 2021). Andamenti simili si hanno per gli altri parametri considerati (Fonte SkyTG24).

Aprire alla vaccinazione ai sacerdoti
Interviene il Cardinale Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero: «Categoria a rischio. Svolgono un servizio socialmente utile». Una riflessione su come la Chiesa si prepara a uscire dalla pandemia
di Riccardo Benotti
Chiesadimilano.it, 3 maggio 2021


«Un sacerdote che sia fedele alla sua vocazione e alla sua missione, e che quindi si spenda esercitando il proprio ministero in parrocchia, nelle carceri, negli ospedali, potrebbe essere considerato come parte di una “categoria a rischio”, per lo svolgimento di un servizio “socialmente utile”». Lo afferma il Cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il clero della Santa Sede, in merito all’opportunità di aprire alla vaccinazione ai sacerdoti.

Nel primo anno di pandemia sono morti 269 sacerdoti del clero diocesano a causa del Covid-19. Che prezzo ha pagato la Chiesa?
È evidente che, come altre componenti della società, anche la Chiesa ha pagato un prezzo alto a causa della pandemia e delle sue conseguenze, penetrate in profondità nella vita delle persone, scuotendo e a volte demolendo le abitudini quotidiane. La Chiesa non è stata, e non è esente dagli effetti di tale dramma, in primo luogo in ragione della morte di tanti suoi ministri, non pochi dei quali colpiti dal virus mentre si adoperavano generosamente per far sentire al Popolo di Dio la vicinanza dei suoi pastori e non far mancare loro il conforto dei sacramenti e dell’annuncio della Parola di Dio. Quei sacerdoti hanno veramente donato la loro vita sino all’ultimo istante, cogliendo l’“opportunità” della pandemia per vivere in pienezza il loro “eccomi” alla chiamata del Signore, pronunciato il giorno della loro ordinazione. Tra i tanti meritevoli di speciale ricordo, mi è grata la memoria di don Giuseppe Berardelli, di Bergamo, deceduto dopo aver rinunciato al respiratore per donarlo a un malato più giovane. In aggiunta alla perdita di tanti ministri, riterrei poi – ma su questo non mi dilungo – che la Chiesa stia soffrendo per la situazione attuale a causa dell’impossibilità di avere incontri in presenza, o comunque solo con limitazioni e numeri ridotti. Per quanto videoconferenze e supporti informatici siano stati di grande aiuto, per noi cristiani, per i sacerdoti restano insostituibili la vicinanza e la relazione interpersonale, vissute nell’aggregazione, nel servizio e nella preghiera in comune.

È arrivato il momento di riconoscere il servizio sociale che i sacerdoti svolgono e prevedere l’accesso al vaccino per i più esposti ai rischi del contagio?
Si tratta di una materia che dovrebbe essere oggetto di attenzione da parte della autorità competenti, civili ed ecclesiastiche. La mia personale opinione, comunque, è che un sacerdote che sia fedele alla sua vocazione e alla sua missione, e che quindi si spenda esercitando il proprio ministero in parrocchia, nelle carceri, negli ospedali, eccetera… potrebbe essere considerato come parte di una “categoria a rischio”, per lo svolgimento di un servizio “socialmente utile”. In tal senso mi piace ricordare a titolo di esempio quanto mi ha raccontato mesi l’arcivescovo di una grande città dell’America Latina. All’inizio della pandemia l’arcivescovo dovette ritirare i cappellani dagli ospedali, essendo per lo più sacerdoti avanti con gli anni, a loro volta a rischio contagio. In risposta a ciò altri presbiteri più giovani si sono offerti volontari per il servizio in ospedale, ricevendo dalle autorità civili il permesso e la dotazione di un adeguato “abbigliamento” per esercitare in sicurezza il loro ministero. In tal modo, ha detto l’arcivescovo, nella sua Diocesi nessuno che lo desiderasse è morto senza sacramenti o è stato ricoverato senza ricevere anche assistenza spirituale. Ecco, questo mi sembra un esempio felice di cooperazione tra autorità civili ed ecclesiastiche per rendere possibile ai sacerdoti – almeno a quelli “in cura d’anime” – l’esercizio del ministero, come oggi potrebbe avvenire facilitando la somministrazione del vaccino.

La distanza tra clero e popolo che si è creata durante il lockdown ha acuito in certi casi il senso di solitudine di alcuni sacerdoti. La pandemia ha aggravato una situazione già esistente? Bisogna pensare a forme di vita e di socialità diverse per il clero?
Buttando all’aria le impostazioni della vita quotidiana e relazionale, non solo dei preti, la pandemia ha indubbiamente provocato situazioni di sofferenza psicologica anche nei pastori, separati fisicamente dal loro gregge. Se ciò è indubbio, non vorrei però generalizzare. Se per tutti i preti è stato un tempo di sofferenza, non pochi hanno saputo viverla in maniera proficua, cercando nuove forme di vicinanza ai loro fedeli, magari pregando di più e rafforzando la propria intimità con il Signore, nonché coltivando i rapporti fraterni con i confratelli con i quali alcuni condividono il tetto. Vorrei dire che forse la pandemia ha messo impietosamente a nudo zone d’ombra e fragilità personali che in precedenza venivano come “anestetizzate” dalla frenesia degli impegni e delle attività pastorali. Non potendo più fare questo, ci si è visti allo specchio e probabilmente qualcuno si è sentito sin troppo gravato dal peso della propria situazione. Anche se i preti diocesani non sono monaci né eremiti, mi piace pensare che un sacerdote non sia mai solo, proprio in ragione di una vita spirituale curata e della abitudine a vivere il suo tempo alla presenza del Signore. In Lui si trova la forza principale della vita del prete, la roccia su cui poggiarla, anche nei momenti in cui le relazioni con confratelli e fedeli e gli impegni del ministero vengono meno. In questo senso i sacerdoti anziani e malati sono spesso buoni “maestri” per i più giovani, mostrando con la loro vita che quando le forze e le possibilità pian piano declinano resta Dio solo e l’amore per lui. Penso a un prete brillante e capace, che si è trovato prigioniero in un letto di ospedale a causa del virus, e lì ha dovuto imparare ad abbandonarsi, necessariamente, all’amore gratuito di Dio e del prossimo, ricevendo il dono della comunione ogni giorno durante il ricovero, sino alla guarigione, grazie alla premura di una dottoressa, che non ha voluto fargli mancare la vicinanza del Signore. Ho in mente anche un sacerdote, parroco per tanti anni, ammalatosi di Sla e vissuto per oltre un decennio attraverso un declino progressivo, ma solo fisico. Infatti, la sua forza umana e la sua profondità spirituale sono rimaste intatte sino alla fine. Sinché ha potuto ha dettato omelie quotidiane a chi lo assisteva e negli ultimi tempi le scriveva lui stesso, tramite gli occhi, grazie all’aiuto della tecnologia.

La Chiesa ha dato prova di coraggio in questo tempo difficile?
I giudizi assoluti sono pericolosi, soprattutto in situazioni e contesti come l’attuale, quando l’emergenza non è ancora finita. Posso dire di essere rimasto edificato da tanti atti di coraggio, di vescovi, preti e fedeli laici, che hanno saputo mettere da parte le proprie fatiche personali per andare incontro agli altri. È bello ricordare la “pastorale del telefono e dei social” che tanti vescovi e parroci hanno portato avanti, ma merita una speciale menzione la generosa attività dei giovani e degli adulti che si sono messi a disposizione delle loro Caritas diocesane, per non far cessare in un tempo difficile il flusso di aiuti verso i poveri, vecchi e nuovi. Attraverso tanti volti, che mi vengono in mente, penso di poter dire che la Chiesa, come Popolo di Dio nel suo insieme, ha avuto il coraggio di non lasciarsi schiacciare dal virus, che pure l’ha messa a dura prova; il coraggio di osare azioni nuove, più o meno felicemente riuscite, per portare vicinanza e aiuto ai più bisognosi e per rincuorare gli smarriti; il coraggio di avere una parola di speranza e di coraggio da dire al mondo intero, come ha fatto Papa Francesco il 27 marzo 2020, in una piazza San Pietro fisicamente deserta, ma forse mai così piena di attenzione, emozioni, aspettative e bisogno di risposte.

Che Chiesa uscirà dalla pandemia e, soprattutto, che tipo di clero?
A livello ecclesiale e di organizzazione pastorale – mi passi la frase fatta – credo che nulla sarà più come prima. Le prassi pastorali che erano sostenute solo dall’abitudine e non erano più in grado di alimentare la fede del Popolo di Dio probabilmente cadranno. Compito dei pastori sarà non avere fretta di tagliare “rami quasi secchi” senza aver pensato prima a vie nuove con cui sostituirli, adatte alla loro comunità concreta e non frutto di astratte elucubrazioni teologico-pastorali. Tutti hanno potuto fare esperienza di come le costruzioni e i progetti umani siano fragili e a rischio di essere spazzati via in un attimo, ce lo ha mostrato la pandemia. In conseguenza di ciò, forse, più persone incominceranno di nuovo a farsi domande sul senso della loro vita, sulle priorità che conviene darsi, sul valore delle relazioni umane, dell’“essere” sull’ “avere”, per così dire. Di fronte a tali crescenti domande, i pastori avranno il “tesoro” di Cristo, la sua Parola da annunciare e il suo Amore da testimoniare. Ecco, mi piacerebbe che il clero fosse consapevole di questo, che ricentrasse la propria vita e la propria vocazione in Cristo, e ritrovasse con sempre maggiore forza lo slancio missionario di andare ad annunciare la gioia del Risorto, portando la sua luce, in un mondo su cui incombe l’ombra della morte, che il virus ha reso più evidente. Ora che l’inganno dell’uomo “padrone del mondo” è stato nuovamente smascherato – si tratta di una illusione che di tanto in tanto riemerge nel corso della storia, da Babele in avanti – rimane la riscoperta dell’essere figli dell’unico Signore, che non ci abbandona e ci dà forza per vivere nella sua pace anche le vicende più drammatiche.

Il vaccino occasione di fratellanza tra le religioni provoca la reazione cristianofobica e di odio antireligioso dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionali – 9 aprile 2021

Free Webcam Girls
151.11.48.50