Chi ha voluto – da stanze vicine al Papa e nella sconcertante inazione della Segreteria di Stato – minare le Mura Leonine? Tutto per impedire al cardinale di Pattada di entrare nel Conclave?

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Oggi, sotto il titolo in prima pagina “Accuse assurde. Report ha l’ossessione di Becciu”, Libero Quotidiano ritorna con un affondo di Renato Farina sul servizio di Report di lunedì scorso. Un nostro lettore, dopo aver visto il programma ha commentato: “Questo Report è davvero vomitevole. Non c’è né testa né coda, saltano da un cavolo ad un altro”. Riassume perfettamente di cosa si tratta, mentre Farina illustra per bene come il picconatore e beccamorto Report si è accodato con accanimento ossessivo-compulsivo alla cordata contro il Cardinale Angelo Becciu, capeggiata dall’Espresso (e altri) del gruppo editoriale GEDI.

Questa volta, però, con conseguenze assai seri, commenta Farina l’assurda accusa che Becciu avrebbe riciclato soldi per gli ayatollah iraniane, con documenti riservatissime usciti dalla Segreteria di Stato: “È chiaro che una simile rivelazione – la fuoriuscita dal Vaticano di documenti delicatissimi e fiduciari che tradiscono il rapporto di fiducia esistente tra Stati sovrani – mette la Santa Sede in grave difficoltà con Teheran, pone in pericolo la sicurezza del Papa e dei cristiani che stanno sotto il vasto mantello dell’Iran sciita, dando pretesto ai settori più fanatici dei guardiani della rivoluzione di colpire. Su questo torniamo presto”.

Un processo Vatileaks 3 no, cari promotori di giustizia vaticani? Non mi dire che non riusciti a trovare il colpevole della fuoriuscita dei documenti, con tutte le telecamere, microspie e intercettazione del vostro Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano. Non dimenticate che avete a tiro di mano l’espertissimo Comandante.

Fa presente Farina: “Come si dice a Roma, e forse anche in Vaticano, «nun ce vonno stà». Lunedì sera Report ha insistito nel suo lavoro da beccamorto. Essendo finito malissimo il tentativo di seppellimento del cardinale Angelo Becciu condotto dall’Espresso nell’autunno scorso, il settimanale di informazione del servizio pubblico condotto da Sigfrido Ranucci era subentrato con volonteroso piglio di piccone e badile quindici giorni fa. Era incorso in infortuni clamorosi”.

Poi, facciamo segure l’articolo “Report” e Vaticano appuntamento fisso
a firma di Andrea Fagioli su Avvenire.it, che conclude: “Con questi servizi a settimane alternate (che è anche un modo per non buttare nulla del tanto girato), finisce per fare terra bruciata intorno al Papa. Lo fa diventare un monarca illuminato di un regno di malfattori. Eppure sa bene che questa, nonostante le tante pecche, non è l’immagine della Chiesa, ma agli occhi del pubblico può passare inevitabilmente questa rappresentazione”.

Il servizio di Report e l’ossessione contro il cardinale
Sono arrivati ad accusare Becciu di riciclare soldi per gli ayatollah
di Renato Farina
Libero, 28 aprile 2021


Addirittura complicità con l’Iran della Santa Sede onde produrre probabilmente la bomba atomica. Il tutto ordito dall’allora sostituto alla segreteria di Stato arcivescovo Angelo Becciu, che impose allo Ior di riciclare contanti di dubbia provenienza da parte dell’ambasciata vaticana della repubblica islamica. C’è la lettera. Anno 2011. Finalmente una lettera vera. Report (Rai 3) gongola. Finalmente l’abbiamo incastrato. E roba vecchia, vecchissima. Del tempo di Papa Ratzinger. Allora Segretario di Stato era il cardinal Tarcisio Bertone. E segretario per i rapporti con gli Stati, il ministro degli Esteri vaticano, era monsignor Dominique Mamberti, oggi cardinale e ministro della Giustizia di Papa Francesco.

Che accadde? Vedremo tra poco il perché e i contorni di questa disponibilità a risolvere pratiche di vita quotidiana dell’ambasciata degli ayatollah presso il Papa. Una osservazione seria. È chiaro che una simile rivelazione – la fuoriuscita dal Vaticano di documenti delicatissimi e fiduciari che tradiscono il rapporto di fiducia esistente tra Stati sovrani – mette la Santa Sede in grave difficoltà con Teheran, pone in pericolo la sicurezza del Papa e dei cristiani che stanno sotto il vasto mantello dell’Iran sciita, dando pretesto ai settori più fanatici dei guardiani della rivoluzione di colpire. Su questo torniamo presto.

Occorre inquadrare intanto l’ossessione anti Becciu di questi settori progressisti dell’informazione. Non importa se tutto questo può avere effetti dirompenti da intendersi come danni collaterali, tipo quelli che abbiamo appena accennato. Va portata a termine l’opera di demolizione di un porporato verso cui Francesco ha avuto ripetuti atti di attenzione e di benevolenza. Quasi a voler impedire a qualsiasi costo una piena riabilitazione del cardinale (che resta “imberrettato”, ma escluso dal prossimo conclave) che rovinerebbe i giochi a certi ambienti ruotanti intorno a San Pietro. Qualcuno da quelle parti fa uscire carte riservatissime, non ha scrupoli di esporre ai colpi Bergoglio stesso, purché crepi Becciu. Perché questa ossessione? Colpirne uno per intimidirne cento?

PIGLIO DI PICCONE

Intanto un po’ di cronaca. Come si dice a Roma, e forse anche in Vaticano, «nun ce vonno stà». Lunedì sera Report ha insistito nel suo lavoro da beccamorto. Essendo finito malissimo il tentativo di seppellimento del cardinale Angelo Becciu condotto dall’Espresso nell’autunno scorso, il settimanale di informazione del servizio pubblico condotto da Sigfrido Ranucci era subentrato con volonteroso piglio di piccone e badile quindici giorni fa. Era incorso in infortuni clamorosi, dando credito a testimoni calunniosi (come Maria Fida Moro, che ha mentito su una lettera di Becciu a lei indirizzata), sbugiardati con documenti che abbiamo potuto produrre su Libero, e aggiustando le date per far coincidere la presenza del prelato sardo con presunti atti di corruzione nei dintorni della Congregazione delle Cause dei Santi. Aveva anticipato a giugno del 2018 l’insediamento di Becciu quale capo della fabbrica delle aureole pur di incastrarlo, pur essendo lui arrivato lì il 1° settembre. Peccato. Allora si ricomincia. Prima interviene l’ex revisore dei conti, Libero Milone, il cui risentimento – essendo stato licenziato per decisione venuta dall’alto, ma eseguita da Becciu – è spiegabile.

Poi eccoci alla lettera per così dire “iraniana”. In quel momento l’Iran è sottoposto a embargo per volontà statunitense. La Santa Sede non ha mai aderito a queste forme di sanzioni, per preservare la libertà della Chiesa ed essere possibile protagonista di mediazioni con la sua diplomazia bimillenaria. In quel 2011 l’ambasciata iraniana in Vaticano non era in grado di funzionare. Ogni rappresentanza diplomatica ha il conto allo Ior. Che si fa? Si impedisce a quel conto di funzionare e dunque si blocca l’attività di un Paese chiave per difendere i cristiani in quel momento – ma ancor oggi – perseguitati dalle formazioni jihadiste sunnite (l’Iran è sciita)? D’altra parte la lettera di Becciu è precisa nel chiedere vigilanza contro qualunque movimento che potesse essere sospetto. Del resto lo stesso Vaticano pratica gli stessi metodi: i vescovi sono mantenuti in Paesi difficili con denaro contante fatto arrivare in valigia diplomatica (Cuba ed altri Paesi sotto embargo finanziario), e poi il denaro alimenta conti correnti bancari da cui partono bonifici alle diocesi e alle missioni.

COMUNE INTERESSE

Da sempre – comunque si voglia giudicare la cosa – tra Iran e Santa Sede ci sono rapporti di grande amicizia. Scriveva Affari internazionali nell’ottobre del 2014 sotto il titolo: «Vaticano e Iran uniti per proteggere i cristiani»: «Vaticano e Teheran si riconoscono nell’alta considerazione per la religione e nella preoccupazione per i processi di secolarizzazione che si fanno strada nel mondo. Nel 2011 tra Benedetto XVI e l’allora presidente Mahmoud Ahmadinejad ci fu uno scambio di lettere in occasione di un convegno sui luoghi santi per i cattolici e per gli sciiti. Ne emerse il comune interesse alla collaborazione perché i simboli religiosi fossero rispettati e valorizzati ovunque». Con Francesco questa collaborazione si è rafforzata. C’è stato un raffreddamento e gli estremisti hanno ripreso voce dopo la visita di papa Bergoglio in Iraq e l’intesa di marzo con il grande imam di Najaf, Al Sistani, che in campo sciita contende il primato al grande imam di Qom, Khamenei.

Ora questa esibizione di intese, uscita da stanze vicine al Papa, non può che accendere focolai pericolosi. Chi ha voluto da dentro – nella sconcertante inazione della Segreteria di Stato – minare le Mura Leonine? Tutto per far fuori un prete di Pattada?

“Report” e Vaticano appuntamento fisso
di Andrea Fagioli
Avvenire.it, 28 aprile 2021


Dopo l’esordio stagionale, a distanza di due settimane, Report (Rai 3, lunedì in prima serata) ha ripreso il filo del discorso su Chiesa e denaro. Abbandonata la questione sulle cause dei santi a pagamento, con la secca smentita circa le presunte richieste di denaro per facilitare l’iter per la beatificazione di Aldo Moro, lunedì scorso il programma condotto da Sigfrido Ranucci è tornato sulle dubbie operazioni finanziarie della Segreteria di Stato, sintetizzando gran parte di quanto già raccontato nella prima puntata, a partire dall’acquisto del palazzo ex Harrods a Londra con tutto quello che è seguito. In particolare, questa volta, Ranucci e il fido Giorgio Mottola (autore delle due inchieste Lo sterco del diavolo e Il sabotaggio) hanno puntato sulle dichiarazioni di Libero Milone, che fu revisore generale della Santa Sede dal 2015 al 2017 e può avere le sue ragioni a sentirsi “sabotato” visto che si ritrovò una microspia nello studio e il computer manomesso, ma è anche vero che, stando alla Sala Stampa della Santa Sede, avrebbe esulato dalle proprie competenze incaricando «una società esterna per svolgere attività investigative sulla vita privata di esponenti della Santa Sede». Al di là di questo, l’intervista non era poi così esclusiva come fatto credere da Report. Pochi mesi dopo le dimissioni, Milone si era rivolto direttamente alla stampa, scegliendo lui stesso le testate, e avrebbe continuato a rilasciare interviste anche dopo. Detto questo, va dato atto a Ranucci di difendere con insistenza Francesco ritenendolo fuori dal malaffare, anzi: di essere il primo a combatterlo. Però, con questi servizi a settimane alternate (che è anche un modo per non buttare nulla del tanto girato), finisce per fare terra bruciata intorno al Papa. Lo fa diventare un monarca illuminato di un regno di malfattori. Eppure sa bene che questa, nonostante le tante pecche, non è l’immagine della Chiesa, ma agli occhi del pubblico può passare inevitabilmente questa rappresentazione.

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