La comunione dei beni dei primi credenti fallita, la cruna dell’ago e la banalità sociologica della (facile) condanna del denaro come lo “sterco del diavolo”

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“Il denaro è lo sterco del diavolo” è un aforisma attribuito a San Basilio Magno (330-370). Di tanto in tanto, nel corso della storia, personaggi illustri lo ripropongono all’attenzione del popolo. Per citarne alcuni: lo ha fatto Dante nella sua “Divina Commedia”; Martin Lutero nelle sue opere; Papa Francesco all’Angelus domenicale del 22 settembre 2019 in Piazza San Pietro: «La “ricchezza disonesta” è il denaro – detto anche “sterco del diavolo” – e in generale i beni materiali». In questi giorni fanno discutere due frasi che Papa Francesco ha infilato nella sua omelia per la Santa Messa della Divina Misericordia, celebrata nella Chiesa di Santo Spirito in Sassia, la II Domenica di Pasqua (o della Divina Misericordia), l’11 aprile 2021: «Gli Atti degli Apostoli raccontano che “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune” (4,32). Non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro».

Riportiamo di seguito due interventi sul tema – per dire il vero – non nuovo all’Uomo che Veste di Bianco, nonché monarca assoluto dello Stato della Città del Vaticano e quindi proprietario di tutti gli ingenti beni dello Stato e della Santa Sede.

Il primo intervento del 12 aprile 2021 è tratto dal blog Stilum Curiae di Marco Tosatti a firma di Mons. Ics, che conclude: “Allora è semplice, Bergoglio vuole solo confondere e far considerare il Papato una istituzione da discreditare. Con una aggiunta riferita specificamente alla questione della proprietà. Vuole arrivare a sentirsi chiedere di cominciar lui a condividere i suoi beni (quelli della Chiesa, naturalmente), non vede l’ora che lo provochino su questo punto, per potere svendere tutto e chiudere bottega. Siamo agli ultimi giorni”.

Il secondo intervento di ieri, 14 aprile 2021 è tratto di Libero Quotidiano a firma di Antonio Socci, che conclude: “Parla più come un politico, con conoscenza superficiale dei problemi, che come un pastore d’anime. Questa è una Chiesa in uscita che non sa dove andare e non aiuta né le anime, né i corpi”.

Iniziamo con leggere cosa dice al riguardo dei “beni di questo mondo” il Nuovo Testamento. Vale la pena di ricordare che San Francesco di Assisi – di cui il Papa regnante ha preso il nome – in riferimento al “sterco del diavolo” affermò, che dobbiamo pregare per i nostri Signori [coloro che governano, i ricchi]: prima perché sono i nostri Signori; poi affinché si ravvedessero e usassero i loro beni per aiutare i poveri. Quindi, nel pensiero francescano, senza ridursi essi stessi in povertà e non essere più in grado di assistere i bisognosi.

1Giovanni 3,16-19
16 Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli. 17 Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui? 18 Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità. 19 Da questo conosceremo che siamo della verità e renderemo sicuri i nostri cuori davanti a lui.

Luca 12,33
33 Vendete i vostri beni, e dateli in elemosina; fatevi delle borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nel cielo, dove ladro non si avvicina e tignola non rode.

2Corinzi 8,13-15
13 Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. 14 Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: 15 Colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno.

2Corinzi 9,9
9 come sta scritto: ha largheggiato, ha dato ai poveri; la sua giustizia dura in eterno.

Atti degli Apostoli 2,44-47
44 Tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; 45 vendevano le proprietà e i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46 E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, 47 lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati.

Atti degli Apostoli 4,32-37
32 La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. 33 Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. 34 Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto 35 e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno. 36 Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Barnaba, che significa «figlio dell’esortazione», un levita originario di Cipro, 37 che era padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò l’importo deponendolo ai piedi degli apostoli.

Poi, nei tre Vangeli sinottici (Mt19,16-30; Mc10,17-27: Lc18,18-30) è riportato l’incontro di Gesù con il giovane ricco. Tutti e tre i vangeli riportano che l’uomo era ricco ma solo il Vangelo di Matteo dice che era giovane, mentre il Vangelo di Luca riporta che era un notabile (quindi non un giovane) e il Vangelo di Marco non dice nulla in proposito, aggiungendo un ulteriore comandamento: “Non frodare”. Con questo episodio Gesù vuole sottolineare che non si entra nel Regno dei Cieli compiendo qualcosa e acquistando meriti personali, ma entrando in relazione con Dio attraverso lo stesso Gesù, cosa che porta a donarsi agli altri. Il giovane se ne va perché il suo cuore era prigioniero dei beni materiali e non ha il coraggio di staccarsene. La metafora della “cruna dell’ago” usata da Gesù vuole indicare l’impossibilità di entrare nel regno di Dio per chi è attaccato alla ricchezza. L’uomo cerca la sicurezza nelle proprie azioni e nei propri beni, mentre la logica di Dio è quella del dono gratuito. Se si segue Gesù e si vive per Dio non si perde nulla: chi vive mettendo generosamente la propria vita al servizio degli altri è spiritualmente ricco già in questo mondo.

Mons. Ics: Siamo agli Ultimi Giorni…Il Papa vuole chiudere bottega
di Marco Tosatti
Stilum Curiae, 12 aprile 2021


Mons. Ics – che continua a leggere Repubblica! e forse fa bene, perché così ci tiene informati… ci offre queste riflessioni su un paio di perle scovate proprio lì, e su Vatican News…

Caro Tosatti, vorrei evidenziare due fatti gravissimi, che probabilmente son passati inosservati o quasi.

Vorrei pregare i lettori di Stilum Curiae di leggere Repubblica di oggi Lunedi 12 aprile, pagina 17. “La sfida di Bergoglio al capitalismo – Condividere (la proprietà) è cristiano, non comunista”.

Farò due osservazioni: la prima osservazione è su quanto ha dichiarato in proposito il prof. Stefano Zamagni a Vatican News, riportato integralmente a fine articolo citato di Repubblica. La seconda è sul significato misterioso di questa osservazione del Papa. L’articolo è di Paolo Rodari, vaticanista di Repubblica.

– Prima osservazione.
Riprendo per intero la conclusione dell’articolo di Repubblica perché è a dir poco scandaloso e vergognoso quello che si legge: “Le parole del Papa, secondo quanto dichiarato dall’economista Stefano Zamagni a Vatican news, hanno un aggancio con la Costituzione italiana. Nell’articolo 43 si parla infatti di proprietà comune: <La proprietà privata non basta. Bisogna renderla compatibile con forme di proprietà pubblica ma, soprattutto, con forme di proprietà comune>”.

Riporto ora l’articolo 43 della Costituzione, copiato dal sito ufficiale dello Stato Italiano. Prego leggerlo con attenzione e confrontarlo con quanto scrive Zamagni:

COSTITUZIONE ITALIANA
Articolo 43
A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.

Stravolto completamente lo spirito dell’art.43 della Costituzione, ad uso menzognero e subdolo. Ma Zamagni non è il solito professorino “pierinesco” e supponente, è il Presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali, è colui che ha organizzato l’evento ad Assisi Economy of Francesco,è colui che lascia intendere di aver ispirato e scritto l’Enciclica Fratelli Tutti. Il valore reale di Zamagni lo si può dedurre nell’ utilizzo che fa dell’art. 43 della Costituzione. Ma è l’economista del Papa, cioè, di questo papa…

– Seconda osservazione.
L’ osservazione del Papa: “Condividere la proprietà è cristiano, non comunista”, non è confondente, è misteriosa e va interpretata nel contesto del pensiero di Bergoglio secondo la sua “morale di situazione” così tanto spesso affermata. Sarebbe una considerazione “comunista” se esprimesse odio verso chi ha proprietà, verso il capitalismo. Ma Bergoglio, mentre li maledice da una parte, dall’altra ci va a braccetto con i tycoon malthusiano-ambientalisti americani. Ci scrive le Encicliche, con i potenti miliardari americani malthusiano-ambientalisti.

Allora? Allora è semplice, Bergoglio vuole solo confondere e far considerare il Papato una istituzione da discreditare. Con una aggiunta riferita specificamente alla questione della proprietà. Vuole arrivare a sentirsi chiedere di cominciar lui a condividere i suoi beni (quelli della Chiesa, naturalmente), non vede l’ora che lo provochino su questo punto, per potere svendere tutto e chiudere bottega.

Siamo agli ultimi giorni, caro Tosatti…

MonsICS

Papa Francesco, Antonio Socci: l’ipocrisia del Pontefice sulla proprietà privata
di Antonio Socci
Libero, 14 aprile 2021


Papa Bergoglio è tornato a mettere in discussione la proprietà privata (che «non è intoccabile») e a parlare di comunismo. La prima lettura della messa di domenica gliene ha offerto l’occasione e lui ha commentato: «Gli Atti degli Apostoli raccontano che “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune”. Non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro». In effetti, condividere i propri beni non è affatto comunismo. Quando hanno preso il potere, i comunisti hanno condiviso i beni altrui, anzi hanno preteso di abolire la proprietà privata in nome della proprietà statale. Che poi è il dominio del Partito. Tuttavia è assai discutibile che quella pagina degli “Atti degli apostoli” sia “cristianesimo puro”. Inoltre usare quel passo per discettare di economia e di politica, come fa Bergoglio, è storicamente infondato. Repubblica considera le sue parole «una sfida al capitalismo» e Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali (cioè l’economista di Bergoglio), le connette all’articolo 43 della Costituzione. Tutto assurdo. Intanto perché gli Atti parlano di una scelta libera e volontaria dei fedeli, non di costrizione o legge. Inoltre è una comunità religiosa, non lo Stato: guai a sovrapporre le due cose. Lo fanno gli islamici con la Sharia, ma il Vangelo invita a distinguere fra Cesare e Dio.

DISSIDI E RISENTIMENTI

In secondo luogo, gli Atti dicono che «quanti possedevano campi o case li vendevano» e deponevano il ricavato «ai piedi degli apostoli» perché fosse distribuito. Quindi non c’era la “Chiesa povera” vagheggiata da Bergoglio, ma il contrario. E, com’è noto, quella redistribuzione dei beni produsse dissidi e risentimenti nella comunità cristiana: un esito moralmente fallimentare. Ma chi conosce il Nuovo Testamento sa che quell’esperimento di (presunto) “comunismo cristiano” fu anche un disastro economico (la Chiesa ha sempre evitato di imitarlo), come, in seguito, il comunismo ateo. Infatti, prima i cristiani di Antiochia (At 11,29) e poi san Paolo stesso (2 Cor) dovranno fare delle collette per quei fratelli “comunisti” che erano finiti in gravi difficoltà (Romani 15,26-27). La tanto decantata comunione dei beni di cui si vantava la comunità di Gerusalemme, dicendo che «nessuno tra loro era bisognoso» (At 4,34), era fallita.

Se «quanti possedevano campi o case», invece di venderli e donare il ricavato alla comunità per i poveri, li avessero messi a reddito, poi avrebbero potuto aiutare i bisognosi in modo continuativo e senza ridursi essi stessi in povertà. Questa è la lezione che i cristiani hanno imparato, per i secoli seguenti (non puoi distribuire ricchezza se non la produci). Ma il riferimento papale a quel passo degli Atti, per attaccare la proprietà privata, è anche controproducente. La Chiesa oggi ha un patrimonio immobiliare enorme. Il Mondo, anni fa, scriveva che «un quarto di Roma, a spanne, è della Curia». Donarlo e metterlo in comune non sarebbe sensato né giusto, perché la Chiesa ha le sue necessità. Tuttavia qualcuno – ascoltando le parole del papa – potrebbe anche chiedersi perché lui, che ha un potere totale, non applica le sue idee a queste proprietà. C’è chi ha scritto che Bergoglio «non vede l’ora che lo provochino su questo punto, per potere svende Nel 25 d.C. a Roma, alla presenza silenziosa dell’imperatore Tiberio, il Senato processa uno dei suoi membri, Aulo Cremuzio Cordo, accusato da due scherani del potentissimo prefetto del pretorio Seiano di lesa maestà.

Cioè, come ci racconta Tacito in due celebri capitoli del libro IV degli Annali, di un reato d’opinione: aver elogiato nella sua opera storica i cesaricidi Bruto e Cassio, gettando così un’ombra sinistra sul principato di Augusto e del suo successore. La sentenza, nonostante un’appassionata autodifesa dell’imputato, decreta la messa al rogo del testo, mentre l’autore, ormai anziano, si lascia morire di fame. Eppure, le fiamme non bastano a cancellare il ricordo della vicenda, anzi. Grazie a Caligola alcune copie dell’opera incriminata, miracolosamente salvatesi, tornano a circolare, pur se re tutto e chiudere bottega». Ne dubito. Del resto, oltre ai beni ecclesiastici, ci sono quelli personali. Di recente è apparso su Repubblica questo titolo: «Il sacco del Vaticano: “Svuotato anche il conto del Papa”». Sottotitolo: “Prelevati perfino 20 milioni di sterline dal deposito riservato di Francesco”.

Un vaticanista autorevole come Aldo Maria Valli ha scritto: «Mi occupo di Vaticano da anni, ma non avevo mai sentito parlare di conprive delle parti più pericolose, assieme agli scritti di due altri dissidenti, Tito Labieno e Cassio Severo. Fino a Svetonio, l’ultimo a citarle, le pagine dello storico dalla schiena dritta vengono insomma lette. Poi, il buio. Ma qualcosina si è salvato ancora. Quanto leggiamo nel volumetto Gli Annali. Testimonianze e frammenti (La Vita Felice, pp. 144, euro 11, con testo latino a fronte) curato da Mario Lentano. Il quale vi aggiunge anche due frammenti dubbi, tramandati da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia e concernenti temi mitologici, di certo non appartenenti agli Annali del nostro Cremuzio e probabilmente da attribuire a un omonimo, e altrimenti ignoto, autore di mirabilia mito-geografici ti riservati intestati ai papi». Oltretutto un conto di grande entità, sorprendente per un papa che parla sempre male del denaro e in un’omelia affermò: «San Pietro non aveva un conto in banca» (11 giugno 2013).

CONTO CORRENTE

Chi siamo noi per discutere del conto corrente del papa? Nessuno. Però è doveroso dibattere delle sue parole sulla proprietà privata altrui, perché questo è un tema che riguarda i nostri portafogli. Un’intellettuale laica come Barbara Spinelli, anni fa, metteva in guardia gli intellettuali e la Chiesa dalla (facile) condanna del denaro come sterco del demonio. E indicava come esempio positivo il card. Giuseppe Siri che era ben lungi dalla demonizzazione della proprietà e del denaro e dall’idealizzazione della povertà, sapendo che la miseria è una disgrazia, non un valore positivo. Scriveva la Spinelli: «Il cardinale Siri, che era un conservatore, coltivava una vicinanza ai poveri che spesso è coltivata dai veri conservatori. Usava ripetere il proverbio: Homo sine pecunia imago mortis… Anche queste antiche saggezze sono realistiche L’assenza di pecunia è assenza di cibo, di vita, di fede nell’altro. Gli accenni di Siri al denaro fanno pensare a una Chiesa che non si occupa solo dei primi nove mesi di vita e delle ultime ore dell’uomo, ma anche di quello che c’è in mezzo: un corto tragitto mortale, ma non sprezzabile».

Immagino che papa Bergoglio condividerebbe questa preoccupazione, ma il suo armamentario ideologico – opposto a quello di Siri – appare confuso e contraddittorio. È un pensiero populista e astruso. Lo dimostra anche uno degli astri nascenti del firmamento bergogliano, il vescovo di Siena Augusto Paolo Lojudice, appena creato cardinale perché – stando alle voci – è il nuovo candidato di Bergoglio alla presidenza della Cei quando, fra pochi mesi, il card. Bassetti passerà la mano (le quotazioni del card. Zuppi sarebbero in crollo verticale). Nei giorni scorsi Lojudice ha rilasciato una lunga intervista a Repubblica (edizione toscana) sulla crisi che viviamo a causa del Covid e in un’intera pagina – dove nomina papa Bergoglio – non parla mai, neanche una volta di sfuggita, di Dio, di Gesù Cristo, di preghiera o sacramenti, né di morte o vita eterna. Solo banalità sociologiche. Parla più come un politico, con conoscenza superficiale dei problemi, che come un pastore d’anime. Questa è una Chiesa in uscita che non sa dove andare e non aiuta né le anime, né i corpi.

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