Julien Ries è morto. Ma l’homo religiosus è vivo da più di 2 milioni di anni

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Quando, nel 1978, Julien Ries aveva pubblicato uno studio sul problema della morte nelle religioni, Joseph Ratzinger lo invitò ad approfondire questo rapporto nel cristianesimo. Nasce così un rapporto di reciproca stima. Tanto che Ratzinger, diventato Benedetto XVI, ha premiato la lunga carriera accademica di Julien Ries con la berretta cardinalizia, a febbraio dello scorso anno. Julien Ries l’ha presa come “la più grande sorpresa della sua vita”, ma anche come una spinta ad impegnarsi maggiormente  al servizio della Chiesa. E ha continuato instancabilmente a studiare, scrivere, fare progetti, fino al 23 febbraio scorso. Quando, quasi 93enne, è morto. E ha lasciato al mondo il suo immenso archivio/biblioteca (donato all’Università Cattolica del Sacro Cuore), ma soprattutto un concetto, quello di homo religiosus, che si presenta come il più forte antidoto alla secolarizzazione.

 

Ries è andato indietro, fino ai primordi dell’essere umano. Ha studiato le religioni orientali, i culti di Mitra e di Zarathustra. Ha analizzato la religiosità degli Egizi, ma anche lo gnosticismo e le religioni contemporanee. Ha compreso come la religiosità si è evoluta nel mondo, in un percorso entusiasmante che lo ha portato dallo studio dei graffiti dell’homo abilis fino allo studio dei testi sacri contemporanei. La sua conclusione – criticata da molti, perché “non scientificamente provata”, nonostante i milioni di dati che il professore ha fornito – è che l’uomo è naturalmente religioso. “Dalle mie ricerche – spiegava a Tempi un paio di anni fa – si evince che da migliaia di anni l’uomo è religioso. Nelle prime attestazioni culturali dell’umanità, le grotte primitive di 40 mila anni fa, sono già presenti segni dell’homo religiosus habilis, capace di dar conto della sua aspirazione al trascendente mediante la cultura. L’uomo non è dunque solo habilis o herectus, ma anche religiosus, perché ha avuto coscienza della trascendenza. Già Mircea Eliade affermava che l’osservazione della volta celeste è all’origine della scoperta di una realtà che supera l’uomo”.

Chi scopre la volta celeste, oggi? Nelle ultime interviste, Ries era incredibilmente ottimista, nonostante una secolarizzazione feroce, che aveva quasi cacciato l’idea di Dio dalla storia dopo averla messa fuori dalle scienze. Addirittura attraverso uno svuotamento di contenuto delle parole, a partire dal radicale sak- da cui viene sacro. “Il prefisso sak-  – sosteneva – è fondamentale per comprendere il sacro, è il radicale che ha creato il linguaggio sacro di tutto il mondo indoeuropeo, in Europa, India e Iran. Tutte le lingue indoeuropee (ad esempio quella greca con il termine aghios) utilizzano il radicale sak- per indicare il senso del reale. Quello che ho constatato lungo il mio lavoro di ricerca è che il linguaggio del sacro è stato usato in un senso diverso ed è stato cambiato nel corso della storia. La nozione del sacro è stata trasformata e semplificata. Tutto ciò è successo nel XX secolo nella letteratura degli autori che discendono da Émile Durkheim, il quale ha cambiato il significato del sacro, rendendolo una categoria di carattere sociale. Per Durkheim, infatti, il sacro deriva dalla società. Egli arriva a questa affermazione studiando alcune popolazioni indigene dell’Indonesia. Ma questa interpretazione del sacro è, a mio parere, ideologica, cioè indica un falso dio, una dottrina che forza la realtà. Ciò significa che si arriva a cambiare la realtà storica. E infatti nel nostro mondo postmoderno è stata portata avanti questa interpretazione del sacro, visto che il neoliberismo, il marxismo, il nazismo mischiano tutti la dottrina del materialismo con la mancanza di trascendenza. Le ideologie restano a un livello orizzontale, invece il concetto del sacro ci fa alzare in senso verticale”.

Una vita di studi da cui è nata una disciplina tutta nuova, l’ “antropologia religiosa”. Attraverso questa si possono meglio comprendere i fondamentalismi religiosi. Che non sono una semplice deriva, ma una sovversione dell’uomo religioso. Per questo non vanno imputati alle religioni, ma ai moderni moti politico sociali. Spiegava Ries, in una delle sue ultime interviste, sempre a Tempi: “Nel nostro continente si deve registrare la presenza di una serie di forze occulte, in particolare di ambito massonico, che vogliono campo libero per far passare nella società le loro proprie ideologie. E per raggiungere il loro obiettivo hanno bisogno dell’annullamento sociale della religione. Tali forze lavorano attraverso i mass media, sono presenti nella politica e se la prendono con la Chiesa perché è una forza strutturata molto organizzata e ‘vecchia’ di venti secoli”.

Sono queste le forze che hanno attaccato Benedetto XVI. “Quando si son visti i suoi primi passi da Papa – aveva detto Ries – si è capito che egli cercava di riformare la Chiesa non alla maniera dei ‘progressisti’, bensì ricercando una presa di coscienza della propria missione nel mondo, in particolare all’insegna della nuova evangelizzazione. Così, quando il Papa ha tolto la scomunica ai vescovi ‘integralisti’ seguaci di Marcel Lefebvre, lo si è considerato partigiano di quell’orientamento, mentre in realtà lui voleva riaprire il dialogo con loro per cercare di riportare l’unità nella Chiesa”.

La sfida maggiore di oggi – affermava Ries – è la secolarizzazione, diventata ormai una ideologia. “Ciò significa che, anche con il concorso dei media, si ignora Dio. La società vuole essere assolutamente libera e l’uomo di oggi è invitato a fare ciò che ha voglia di fare. Qui la rivoluzione del 1968 ha giocato un ruolo fondamentale. È allora che si è formata l’idea che la religione non debba essere un affare pubblico. Quindi la religione è diventata un affare privato. Oggi è necessario che la Chiesa mostri che il messaggio cristiano interessa tutta la società, tutta l’umanità. Occorre che questo messaggio sia annunciato oggi come è stato annunciato duemila anni fa dagli apostoli di Gesù. I dodici hanno ascoltato la Parola, l’hanno trasmessa attraverso tutto il mondo mediterraneo. Oggi occorre rifare questo lavoro”.

Molti dei concetti di Ries sono i concetti di Benedetto XVI. Che ha puntato tutto il suo magistero (quello, in fondo, nascosto dai media) proprio sulla riscoperta della verità della religione cristiana, e sulla denuncia della “cacciata di Dio” dal mondo. Dandogli la berretta cardinalizia, il Papa ha voluto dare anche un indirizzo preciso alla Chiesa di oggi. Sul cui futuro Ries, nonostante tutto, era particolarmente ottimista. “Ho assistito – affermava – al fenomeno delle Giornate mondiali della gioventù: sono veramente eventi che cambiano in meglio i giovani, ho conosciuto persone che ne sono tornate trasformate. E questi incontri durano da 25 anni! Poi vedo i movimenti ecclesiali, i focolarini, Comunione e liberazione, l’Azione cattolica, le Communautés nouvelles francesi che lavorano nel campo della nuova evangelizzazione (è il caso della comunità L’Emmanuel): trovo tutto ciò davvero straordinario. Questi giovani non esitano a parlare della fede nelle strade, creano scuole di evangelizzazione, hanno molte vocazioni. Qui vediamo in atto una rinascita straordinaria del cristianesimo: all’opera sono i giovani, e questo vuole dire che siamo davanti a qualcosa di nuovo per il futuro. La generazione del Sessantotto sta per scomparire, viene rimpiazzata da queste nuove generazioni che sono in azione in Francia, Italia, Spagna, Germania e Polonia. Non possiamo pensare che il cristianesimo stia per scomparire in Europa. Io sono superottimista”.

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