Umanitari negrieri dei tempi nostri. Mala tempora currunt…

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Tre anni e 5 mesi dopo il sequestro – avvvenuto il 2 agosto 2017 nella distrazione generale delle vacanze estive – della nave Juventa [*], un peschereccio battente bandiera dei Paesi Bassi dell’Ong tedesca Jugend Rettet, la Procura di Trapani ha notificato l’avviso di chiusura d’indagine che ipotizza il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina tra il 2016 e il 2017 – atto che generalmente precede la richiesta di rinvio a giudizio – a 24 indagati. Ai componenti dell’equipaggio di diverse navi della flotta delle Ong Jugend Rettet, Save the Children e Medici Senza Frontiere e i loro membri a bordo contestato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e ai legali rappresentanti delle Ong il reato di falso.

I pm di Trapani Brunella Sardoni e Giulia Mucaria, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Agnello, procuratore reggente ad interim, formulano accuse pesantissime come un macigno. Agli indagati viene contesto di non aver prestato soccorso ai migranti clandestini, come hanno raccontato, ma di aver fatto da “taxi” in accordo con i trafficanti (nel 2018 il gip aveva parlato di vero e proprio “rendez vous tra trafficanti e Iuventa”), quindi, intervenuti in operazioni di soccorso senza che i migranti fossero in reale situazione di pericolo e fatto trasbordare dalle navi dei trafficanti libici i migranti e consentendo poi agli stessi trafficanti di tornare indietro indisturbati; di aver preso a bordo dei trafficanti di esseri umani libici e quindi di aver avuto rapporti diretti con loro, concordando dei “soccorsi”, segnali di presenza con le luci delle navi, transponder per la localizzazione spenti; di aver riconsegnato alle organizzazioni criminali barchette e persino salvagenti.

L’inchiesta giudiziaria era nata dalle rivelazioni di agenti sotto copertura Servizio centrale operativo (Sco), un servizio della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, di cui uno avrebbe lavorato sulla nave Vos Hestia di Save The Children e gli inquirenti si sono concentrati con le indagini su tre episodi: uno del 10 settembre 2016 e due del 18 giugno 2017 (“Ma ve ne sono anche altri – ha spiegato il gip nel 2018 – che contribuiscono a sostenere che questa condotta sia abituale”).

Nelle foto dell’inchiesta giudiziaria, pubblicate il 7 marzo 2021 con l’articolo Migranti, le foto che accusano la ong: “Il capitano proteggeva gli scafisti” di Salvo Palazzolo su Repubblica.it [QUI], scattate dall’agente sotto copertura il 18 giugno 2017, si vedono tre scafisti mentre si avvicinano alla Vos Hestia, smontano in tutta calma il motore dal gommone dei migranti clandestini e vanno via. Lo stesso giorno, un operatore della Iuventa riporta verso le coste libiche tre barchini. «Al largo c’erano i trafficanti», annota il poliziotto infiltrato.

La ricostruzione del primo episodio del 18 giugno 2017 che riguarda i contatti tra la nave Iuventa e gli scafisti libici (ANSA/CENTIMETRI).

In un’altra sequenza di immagini, il 26 giugno 2017, tre uomini su un potente gommone affiancano la Vos Hestia, sono trafficanti che annunciano l’arrivo di un altro carico di carne umana. L’agente sotto copertura trasmette la foto ai suoi colleghi, che riconoscono subito il più importante del gruppo: è Suleiman Dabbashi, fa parte di una famiglia influente a Sabrata, gestisce numerose “safe house”, le case di prigionia dei migranti clandestini. Le foto, scattate dall’agente sotto copertura a bordo della Vos Hestia, sono considerate dai magistrati trapanesi delle prove per le accuse che hanno formulate.

Secondo episodio del 18 giugno 2017.

In uno scatto un trafficante di esseri umani libico picchia alcuni migranti a bordo di un barcone. In un altro scatto, lo stesso trafficante ha in mano un tubo giallo e una persona si mette le mani al volto per ripararsi da eventuali colpi sferrati. La violenza avviene sotti gli occhi del personale delle Ong scesi con un gommone dalla Vos Hestia, la nave di Save the Children, che taceva sulle violenze. L’agente sotto copertura a bordo ha inoltre annotato che il trafficante in questione è salito a bordo della Vos Hestia. Mentre in altre foto lo stesso trafficante è stato ripreso a passeggio al porto di Reggio Calabria e nessuno ha denunciato quanto accaduto. Gli inquirenti della procura di Trapani si chiedono perché l’Ong, dopo aver fatto salire il trafficante, non lo ha denunciato.

Nella foto del 26 giugno 2017 si vede lo scafista mentre picchia i migranti con una cintura, davanti ad alcuni membri della Ong Save the Children, a bordo della Vos Hestia.

Poi, c’è una frase intercettata dall’agente sotto copertura, pronunciata dal Comandante della Vos Hestia, Marco Amato, sulla quale si stanno concentrando gli inquirenti: “Sui trafficanti non faccio la spia”. Dalle intercettazioni si apprende che Amato se la prendeva con chi violava questa linea: “Appena torna lo scemo vedo cosa vuole fare altrimenti lo mando a fare in culo”, dicendogli: “Vedi dove te ne devi andare, vai a mangiare a casa, ti vuoi stare zitto o te ne vai… siamo partiti già male”. Secondo gli inquirenti, ad essere preso per scemo sarebbe stato un membro dell’equipaggio che aveva segnalato due scafisti alla Polizia di Stato. “Ma perché non segnalare i trafficanti di uomini alla polizia – domanda la Repubblica e spiega – che Amato non fa parte di Save the Children”, era il Comandante di un’imbarcazione affittata dalla Ong, però è diventato uno dei protagonisti di quella stagione di salvataggi, fatti spesso in condizioni difficili. «Non si è mai tirato indietro — dice un volontario che ha conosciuto il comandante in mare — la priorità di tutti è stata sempre quella di salvare vite umane»”.

Lo scafista mentre cammina tranquillo nel porto di Reggio Calabria: indossa una maglietta bianca (sulla manica il numero tre). Nessuno lo ha denunciato.

“Ma perché non segnalare gli scafisti all’arrivo nei porti?” Se lo sono chiesti anche i magistrati, che hanno messo agli atti della loro inchiesta anche una relazione dell’agente del Servizio centrale operativo che ha operato sotto copertura. Racconta che al porto di Reggio Calabria, il Comandante Amato gli indicò quel giovane con la maglietta bianca e il numero tre: «Ha picchiato i migranti», sussurrò. La polizia commenta nel rapporto alla procura, firmato anche dalla Guardia Costiera: «È evidente che Amato fosse a conoscenza di quanto commesso in pregiudizio dei migranti. Ma nessuna segnalazione è stata fatta alle autorità di polizia presenti allo sbarco, né sui giornali di bordo». Come dire, non fu chiuso solo un occhio, per portare a termine in sicurezza le operazioni di salvataggio. In alcuni casi, si evitò del tutto di denunciare i trafficanti di uomini. Finendo per offrirgli una pericolosa sponda, sostiene l’accusa.

Il 26 giugno 2017 l’agente sotto copertura annota un altro episodio con la nave affiancata da tre uomini a bordo di un potente gommone. L’agente ha scattato le foto anche in quell’occasione ed è stato riconosciuto Suleima Dabbashi, membro della famiglia che da anni nella città libica di Sabratha gestisce il mercato di esseri umani.

I pm di Trapani contestano la responsabilità oggettiva delle condotte dei capimissione delle Ong: “Avere ottenuto maggiore visibilità pubblica e mediatica con conseguente incremento della partecipazione – anche economica – dei propri sostenitori dato il costante impiego della nave nei numerosi eventi di soccorso”. L’inchiesta giudiziaria non rileva uno scambio di soldi con i trafficanti, ma mette in evidenza e documenta dettagliatamente, anche con foto e filmati realizzati da un agente della Polizia di Stato sotto copertura (di cui le due Ong coinvolti hanno sempre dato altra spiegazione) e dalle risultanze delle perizie tecniche sugli apparati di comunicazione e sui diari di bordo, una serie di contatti tra trafficanti e “soccorritori”, accusati di avere falsificato in più di un’occasione le comunicazioni con le autorità marittime italiane facendo figurare come eventi SAR, di ricerca e soccorso, dunque di salvataggi di migranti che secondo l’accusa furono concordati con gli scafisti.

Nelle venti pagine dell’avviso di conclusione di indagine notificato ai 24 indagati i magistrati elencano una decina di soccorsi avvenuti tra la fine dell’estate del 2016 e giugno del 2017. La piccola nave tedesca Iuventa, per non fare la spola con la terraferma, caricava migranti illegali e poi li trasbordava a bordo delle più grandi navi Vos Hestia e Vos Prudence, rispettivamente di Save the Children e Medici senza Frontiere. Dei video della Polizia di Stato mostrano i membri degli Ong che riconsegnano ai trafficanti di esseri umani le barchette con cui avevano trasportato fino a loro i migranti illegali.

Secondo i pm la Vos Hestia di Save the Children si sarebbe diretta a colpo sicuro all’alba del 5 maggio 2017 in un tratto di mare – in zona Sar libica – dove dalla sera prima sapeva che sarebbe arrivata una imbarcazione e non avrebbe avvertito le sala operativa italiana e avrebbe poi anche falsificato i documenti del soccorso. La Vos Hestia è accusata anche di aver concordato 15 giorni dopo un altro soccorso con i trafficanti segnalando la sua posizione in mare con le luci della nave, cosa vietata dal codice di autoregolamentazione, e altri ripetuti episodi. In un soccorso, ad ottobre 2017 i volontari avrebbero addirittura messo ai migranti i giubbini salvagente di Save the Children, restituendo ai trafficanti di esseri umani quelli che avevano dato alle persone che avevano imbarcato. Secondo i pm pure la Vos Prudence di Medici senza frontiere nello stesso periodo avrebbe effettuato diversi soccorsi, sapendo prima dove sarebbero arrivati le barchette, senza averne informato le autorità competenti.

I casi del sacerdote eritreo Mussie Zerai (accusato di aver fatto da tramite tra gruppi di migranti illegali che fanno riferimento a lui quando si mettono in viaggio e le Ong) e di altri indagati, tra cui il Comandante della Iuventa, Pia Kemp, sono stati stralciati dall’inchiesta.

Save the Children ha dichiarato: “Siamo certi di avere sempre agito nel pieno rispetto della legge e del diritto internazionale e in costante coordinamento con la Guardia costiera italiana. Ribadiamo di aver sempre lavorato solo ed unicamente per salvare vite umane. Siamo fiduciosi che l’intera vicenda, non appena tutti i fatti saranno stati adeguatamente rappresentati e considerati, potrà essere chiarita confermando la correttezza del nostro operato”.

Medici senza frontiere ha dichiarato: “Le decisioni della magistratura allungano l’elenco dei numerosi tentativi di criminalizzare il soccorso in mare, che a oggi non hanno confermato alcuna accusa, ma che insieme alle ciniche politiche dell’Italia e dell’Europa hanno pericolosamente indebolito la capacità di soccorso nel Mediterraneo centrale, al drammatico costo di migliaia di vite umane. Fin dall’inizio, abbiamo respinto ogni accusa e ribadito la piena legittimità della nostra azione, che abbiamo sempre svolto in modo trasparente, sotto il coordinamento delle autorità competenti e nel rispetto della legge, con l’unico obiettivo di salvare vite umane. Siamo certi che i procedimenti lo confermeranno, ma si apre un altro lungo periodo di fango e di sospetti sull’operato delle organizzazioni in mare, insieme all’ennesimo inaccettabile attacco al diritto al soccorso. MSF è scesa in mare nel 2015 per supplire al vuoto lasciato dalla chiusura di Mare nostrum e rispondere a un inaccettabile numero di morti nel Mediterraneo centrale. Con sei diverse navi umanitarie, MSF ha contribuito a salvare oltre 81.000 vite in mare secondo il diritto marittimo e in coordinamento con la guardia costiera italiana e le altre autorità competenti”.

Come di consueto le Ong si lamentano che si cerca di criminalizzare la solidarietà. Le inchieste in corso sono numerose, le procure che stanno indagano sono diverse e i reati constati sono pesanti. Attendiamo il corso della giustizia per capire come andranno a finire queste inchieste, e i relativi processi. Comunque, resta il fatto che a gennaio-febbraio 2019, con i decreti porti chiusi di Salvini gli sbarchi furono soltanto 262 in due mesi, mentre a gennaio-febbraio 2021, dopo il nuovo decreto immigrazione porti aperti voluto dalle sinistre e il M5S, sono schizzati a quota 5.500.
Non c’è dubbio che urge fare qualcosa, perché l’Italia non può sopportare un’estate di sbarchi a getto continuo, con tutti i problemi sanitari ed economici che gli Italiani già sopportano, mentre nessun Paese europeo muoverà un dito per aiutarli, perché anche loro hanno dei gatti da pelare.

Ecco chi sono gli autentici razzisti: i volontari omertosi delle Ong
di Renato Farina

Libero, 9 marzo 2021

Invano il mio amico C. R. aveva testimoniato l’orrore dei traffici umanitari. Titolare di una società specializzata in sicurezza marittima era stato ingaggiato in questa veste da compagnie ong impegnate nel soccorrere naufraghi davanti alle coste libiche.
Ci sono stati salvataggi autentici, certo. In molti casi però ha verificato l’esistenza di un patto tra gli scafisti cattivi e i loro complici buoni per definizione, in quanto “umanitari”. Tra loro era un classico l’appuntamento per il trasbordo dei migranti da canotti pensati proprio per un naufragio ad orologeria con soccorso incluso. Tutto previsto nel pacchetto pagato dai profughi e/o clandestini. Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, si dirà. Certo. E tutto questo non è niente rispetto ad una prassi schiavistica accettata e protetta da un’omertà utile al protrarsi dell’affare umanitario.
Le foto chock
Le foto ieri pubblicate da Repubblica, prese dal fascicolo d’indagine dei pm di Trapani, trasferiscono la nostra mente ai sussidiari delle elementari dove si raccontava della frusta e del latrato di cani nelle piantagioni di cotone in Alabama prima della guerra di secessione. C’erano le illustrazioni. Le schiene nude rigate dalle cicatrici. Queste foto sono invece di pochi anni fa. Canale di Sicilia. Vi si vede uno scafista – che non è sinonimo di tassista abusivo come sosteneva Emma Bonino ma di negriero – che ha organizzato il viaggio dai porti della Tripolitania verso la nave “Vos Hestia”. Costui con il ghigno di un attore da film di Tarantino usa il bastone di ferro giallo e la cinghia di pelle per infierire sui suoi sciagurati clienti, che hanno versato migliaia di dollari per essere trattati da bestie. Un razzismo violento salvaguardato con il silenzio e il ricatto  da mascalzoni che poi vanno dal Papa a farsi benedire come buoni samaritani del XXI secolo. C.R.aveva visto, aveva chiesto che i suoi datori di lavoro denunciassero lo scafista torturatore. Niente da fare. Il carnefice arriva gongolante e sicuro a riva, ha il suo bello zaino, ripulito e fresco eccolo sulla banchina del porto di Reggio Calabria: ripartirà tranquillo per rifornire le navi della provvidenza, così splendidamente affidabili per i criminali, con altro bestiame dotato di anima. Ma ce l’hanno un’anima i “salvatori”? Forse sì, ma è un’anima razzista. Pur di farsi mettere in testa l’aureola di eroi chiudono occhi, orecchie e bocca sui maltrattamenti di creature inermi. Altrimenti finisce il businnes.
C.R. ha denunciato tutto. Ha perso l’appalto, gli armatori delle Ong anche se la sua ditta è la migliore, non lo vogliono più, perché ha posto come condizione la trasparenza e la legalità. Ha dato questa testimonianza nel libro di Massimo Polledri I misteri del Mediterraneo. Il libro inchiesta sulle Ong, edito da Rubbettino e con la prefazione di Vittorio Feltri.
Ora nelle carte dei pm siciliani compaiono intercettazioni desolanti. «Ti ho detto seimila volte che non ho il ruolo di fare la spia». Riferendosi a C.R.: «Appena torna lo scemo vedo cosa vuole fare, altrimenti lo mando a fare un culo dicendogli: “Vedi dove te ne devi andare, ti vuoi stare zitto o te ne vai”». Se n’è andato. In Procura.
Voci rossi
Diciamolo. Finché queste cose le ha scritte un Polledri, con il torto di essere stato senatore della Lega, e le riferisce Libero, non succede nulla. C’è un razzismo inesorabile che delegittima nel mainstream chi non appartiene al coro delle voci rosse o bianche. Per fortuna la Procura di Trapani ha lavorato, e Repubblica ha esibito le pistole fumanti, grazie a Salvo Palazzolo. Vedremo a processo se saranno smontate dalla difesa. Intanto siamo felici che il quotidiano degli Agnelli non abbia censurato una realtà assai scomoda per i migrazionisti dei quartieri alti.

Et voilà. Si alza il sipario sull’ipocrisia assassina di certi benefattori dei migranti. Magari fosse un sipario, è un sudario. Ci sono le impronte del sangue di tanti povericristi. Sono neri, anzi fratelli, per usare il linguaggio dei loro aguzzini dal dolce e salvifico sguardo.  Stiamo parlando dei comandanti e dei capi missione di svariate navi ong (non tutte, almeno si spera). Sono coinvolti marchi prestigiosi in corsa per il Nobel della pace, quali Save the Children” e “Medici senza frontiere”. Sapevamo avessero trasferito in Italia molti presunti profughi, il più delle volte clandestini, ma non è questo il punto. Siano degni di asilo oppure no, qui non è questione. Il fatto è che sono persone. Invece in certi casi – lungi dal trascinarli fuori dai gorghi per amore – li hanno ricevuti dai negrieri, loro sì fratelli, come le bande di rapitori fanno con gli ostaggi.

[*] Perché è stata sequestrata la nave Iuventa
Panorama, 4 agosto 2017

La Procura di Trapani ha chiesto e ottenuto il sequestro per il reato ipotizzato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Martedì fa avevano deciso di non sottoscrivere il codice di condotta per le Ong preparato dal Viminale. Una scelta, quella della Jugend Rettet, condivisa da altre organizzazioni non governative, come Msf. Il 2 agosto un nuovo capitolo, stavolta sul fronte giudiziario: la Procura di Trapani, che da mesi (come anticipato dal settimanale Panorama) indaga sui salvataggi effettuato nelle acque del Canale di Sicilia da navi delle Ong, ha chiesto e ottenuto dal gip il sequestro della Iuventa, una delle imbarcazioni della organizzazione tedesca. Questa volta il reato ipotizzato, ancora a carico di ignoti, è il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nell’inchiesta, condotta dallo Sco, è stato usato anche un agente sotto copertura. In particolare, uno avrebbe lavorato sulla nave Vos Hestia che opera per conto di Save the Children.
La Iuventa, un peschereccio battente bandiera olandese di 33 metri, è stato fermato in mare e condotto a Lampedusa da diverse motovedette della Guardia costiera, con un grande spiegamento di forze dell’ordine anche sulla banchina. Il comandante della Capitaneria di porto di Lampedusa, il tenente di vascello Paolo Monaco, è salito a bordo della nave dove è rimasto per oltre due ore. “Si tratta di un normale controllo, che abbiamo fatto e che non comporterà alcun problema – aveva spiegato inizialmente l’ufficiale. Ma le cose non sono andate così. E dopo qualche ora si è saputo che il peschereccio era sotto sequestro su ordine della magistratura, ricorsa al provvedimento per scongiurare la reiterazione del reato. A spiegare il contenuto dell’indagine – avviata a marzo di quest’anno dalle dichiarazioni di due operatori della Vos Hestia, imbarcazione di un’altra organizzazione non governativa, Save the Children – è stato il procuratore facente funzioni Ambrogio Cartosio.
La chat per i contatti con i trafficanti libici
Gli inquirenti, su input di due ex operatori di Save the Children, poi assunti dall’agenzia Imi Security Service, avrebbero accertato almeno tre casi in cui alcuni componenti dell’equipaggio della nave, non ancora identificati, avrebbero avuto contatti con trafficanti di migranti libici e sarebbero intervenuti in operazioni di soccorso senza che i profughi fossero in reale situazione di pericolo. I migranti, in realtà, sarebbero stati trasbordati sulla nave della Ong scortati dai libici.
I contatti tra Ong e i tracanti sarebbero stati tenuti attraverso una chat su WhatsApp a cui partecipano i team delle navi umanitarie delle varie Ong e probabilmente anche i traccianti per segnalare l’arrivo di un barcone. Ma è tutto ancora da verificare. Resta tuttavia questo un punto cardine della vicenda.
Le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione
Per i pm il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, escluso solo quando il soccorso avviene in situazioni di imminente rischio, sarebbe smaccato. “La più temeraria era sicuramente la Iuventa che, da quello che ho potuto vedere sul radar, avendo io accesso al ponte, arrivava anche a 13 miglia dalle coste libiche, circostanza anche pericolosa. La Iuventa, che è un’imbarcazione piccola e vetusta, fungeva da piattaforma ed era sempre necessario l’intervento di una nave più grande sulla quale trasbordare i migranti soccorsi dal piccolo natante…”, racconta ai pm uno dei testimoni che ha smentito in un’intervista a Repubblica di aver visto restituire i gommoni usati dai trafficanti. Ma una foto parla chiaro: uno scafista sta staccando il motore di un gommone “consegnato” alla Ong per portarlo via con sé.
“Ci sono gravi indizi di colpevolezza – ha detto Cartosio – e poi ricorre il caso in cui la legislazione speciale prevede la confisca del mezzo che interviene in caso di condanna dei proprietari e questo ci impone di ricorrere al sequestro preventivo accettato dal gip” che parla di vero e proprio “rendez vous tra trafficanti e Iuventa”. Gli episodi contestati risalgono al 18 e 26 giugno e al 10 settembre. “Ma ve ne sono anche altri – ha spiegato il magistrato – che contribuiscono a sostenere che questa condotta sia abituale”.
In particolare, il 26 giugno scorso alle 17 sull’albero a poppa della Iuventa, battente bandiera olandese è stata issata la bandiera libica. Lo scrive il gip nel provvedimento di sequestro della nave. Il gip citando una testimonianza intercettata scrive che ”l’ostilità verso l’Italian Maritime Rescue Coordination Centre è confermata dal cartello con la scritta “Fuck Imrcc” posizionato alla prua” della Iuventa. L’Ong, scrive il giudice, “ha mostrato un atteggiamento di scarsa collaborazione verso le direttive impartite da Imrcc, confermando la volontà di voler effettuare esclusivamente trasbordi su altri assetti navali verosimilmente al fine di non attraccare in porti italiani”. Una donna di nome Katrin, della Iuventa, intercettata in ambientale, ha detto, parlando anche dei suoi collaboratori, che avrebbero evitato di consegnare alla polizia materiale video fotografico relativo ai soccorsi e immagini di soggetti che conducono imbarcazioni di migranti in quanto potrebbero essere arrestati.
I motivi umanitari
La responsabilità degli illeciti sarebbe individuale. Non ci sarebbero cioè legami tra i trafficanti e la Ong: infatti non è stata contestata l’associazione a delinquere. “E comunque – ha precisato Cartosio – le persone coinvolte non hanno agito per denaro”.
Che la vicenda avrebbe suscitato clamore, la Procura lo prevedeva. “La delicatezza dell’indagine, gli intricati risvolti giuridici e rilevanza sociale – ha precisato il procuratore – ci induce a dare all’opinione pubblica informazioni il più possibile formali e corrette”. “Sulla nave si sono alternati diversi equipaggi – ha aggiunto – e al momento non pare abbiano percepito compensi. La mia personale convinzione è che il motivo della condotta dell’equipaggio sia umanitario”.

Il Capo dei medici di bordo della Iuventa Paolo Narcisi: “L’Ong cerca soltanto visibilità”
di Giuseppe Marino
Ilgiornale.it, 4 agosto 2017


«Quella nave correva troppi rischi, caricavano troppe persone in contemporanea e per avere visibilità non facevano squadra con altre Ong».
Paolo Narcisi spiega così perché la sua associazione, «Rainbow for Africa», ha ritirato a maggio i suoi medici dalla missione a bordo della Iuventa, la nave sequestrata due giorni fa. Narcisi, medico con una lunga esperienza di cooperazione umanitaria che con «Rainbow for Africa»da Torino ha portato in tutti i teatri di guerra e di sofferenza del mondo il proprio impegno medico, concede però ai giovani tedeschi della Ong Jugend Rettet il beneficio della buona fede: «Non credo che siano criminali».

Eppure avete interrotto i rapporti
«Per una questione di sicurezza. Con la loro nave da 33 metri ci si è trovati ad avere 400 persone a bordo e 1500 aggrappate alle murate. Così rischiano tutti, anche gli equipaggi. E poi a maggio abbiamo capito che l’Europa si preparava a sterilizzare il flusso di migranti dal Mediterraneo come in Turchia e abbiamo deciso di spostarci negli enormi campi profughi in Ciad, dove c’è una sofferenza spaventosa».
Dall’inchiesta di Trapani emerge in effetti l’iperattivismo della Iuventa, ma anche contatti con gli scafisti
«Fatico a crederlo, attorno ai barconi è pieno di spazzini del mare, forse parlavano con loro. Noi comunque abbiamo fatto delle critiche tecniche».
Ma il dottor Stefano Spinelli, coordinatore della vostra missione, ha mandato una mail alla Guardia Costiera dicendo che si «dissociava formalmente» dai tedeschi perché agivano a sole 13 miglia dalla Libia e aggiungendo: «Questi rappresentano un pericolo».
«Il dottor Spinelli è una persona molto cauta. Però è vero che abbiamo avuto a che dire sulla professionalità. Ragazzi volenterosi, ma con l’ansia di apparire i più bravi del mondo».
È solo un problema di limiti dei mezzi che hanno a disposizione?
«Non solo, noi suggerivamo loro di correggere alcuni comportamenti, ad esempio di fare squadra con le altre Ong di soccorso in mare. Loro si rifiutavano di cambiare metodi e di prendere accordi con altre associazioni».
E perché non lo facevano?
«C’è un problema di rapporti con i donatori».
Cercavano visibilità?
«Sa, non è semplice gestire queste missioni. Diciamo che loro intervenivano sempre a sirene spiegate. Certo, il rapporto con i donatori è fatto anche di questo, assomiglia un po’ a quello dei tifosi con la squadra di calcio: vogliono vedere che sono i loro campioni a decidere la partita».
La sensazione è che nel Mediterraneo sia scattata una specie di competizione per mettersi in mostra e accaparrarsi finanziamenti. «Su questo non voglio dare giudizi. Di certo non è con questo scopo che abbiamo agito noi e che agiamo in tutto il mondo».
In effetti, a differenza di altri team medici, voi non vi siete esposti con posizioni «politiche».
«È così».
Ma dalla inchiesta risulta invece che la Jugend Rettet avesse una certa impostazione ideologica, ad esempio hanno esposto un cartello di insulti contro la Guardia costiera italiana.
«Atteggiamenti bambineschi che gli rimproveravamo. Chi fa cooperazione sa che bisogna collaborare con le autorità».

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