Si salvi chi può!

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Abbiamo anticipato, con la nostra verve ciceroniana, delle prime impressioni al discorso di fine anno del Santo Padre alla Curia romana, commentando il breve video apparso in Internet, che citava una delle frasi finali e conclusive del discorso [Gli auguri modernisti – 21 dicembre 2020]. Certamente è un discorso programmatico, come lo fu quello del 2005, di Benedetto XVI. La prosa di Benedetto verosimilmente autografa, è vivacemente drammatica, mentre quella di Francesco probabilmente prodotta da un writer, invero stanca e senza verve letteraria, diluita in sillogismi complessi e incentrati su concetti psico-sociologici, con richiami impacciati alla teologia e alla storia della Chiesa.

Il discorso parte dalla citazione iniziale di Hannah Arendt, definita filosofa ebrea: “Il miracolo che preserva il mondo, la sfera delle faccende umane, dalla sua normale, ‘naturale’ rovina è in definitiva il fatto della natalità”. Con quella precisazione della contrapposizione con il pensiero di Heidegger, suo maestro e amante, che scoprì avere avuto rapporti con il nazismo. Un presupposto chiarificatore fin dall’inizio e che condisce di politica, il richiamo poetico e teologico. Ed il mistero della incarnazione è spunto per dare il messaggio sostanziale del discorso alla curia romana: essere “disarmati, umili, essenziali”, realizzando il programma suggerito da San Paolo.

La successiva serie di citazioni sulla umiltà, a dire il vero, non rende ragione dei modi di Francesco, primus inter pares, secondo il modo romano di Augusto, se noi facessimo un parallelo tra il collegio cardinalizio e la curia romana imperiale. Perché Francesco licenzia in venti minuti suoi pari, cardinali, senza motivo e senza spiegazione plausibile, a tutt’oggi misteriosamente non spiegata [Lettera aperta ai giornalisti liberi e forti sul “caso Becciu” diventato “caso L’Espresso” – 22 dicembre 2020]. L’essere disarmati evidentemente vale per tutti meno che per lui. È da questa ambiguità di fondo che l’invito perde il senso della naturale raccomandazione per divenire velata minaccia.

Il discorso quindi si incammina nell’approfondimento della crisi pandemica, definita come una tempesta “che smaschera la nostra vulnerabilità”. “Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’ sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.

È incredibile come in tutta la successiva argomentazione non si fa nessun riferimento ai principi identitari cattolici, il discorso è tutto sociologico, per arrivare alla affermazione finale di fede sulla fraternità. Secondo i più tipici sillogismi massonici. Talchè la successiva citazione della Provvidenza ha un sapore paradossale: ”La Provvidenza ha voluto che proprio in questo tempo difficile potessi scrivere Fratelli tutti, l’Enciclica dedicata al tema della fraternità e dell’amicizia sociale”. Tra i membri della Sacra Famiglia, Pastori, Magi, etc. si stabilirebbe una nuova complicità. Questa sarebbe insomma la dimensione della fede, la complicità (dei compagni comunisti?).

La successiva spiegazione del senso della Enciclica Fratelli tutti è: “Com’è importante sognare insieme! […] Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è”. Una spiegazione della fede cattolica ancora tutta sociologica, tutta incentrata sulla dimensione umana. Fuori di ogni complessità teologica. Nella sua semplicità anche grottesca.

Seguono quindi tutta un’altra serie di capoversi, dalla forma letteraria involuta, a spiegazione del concetto di crisi (ancora un tema psico-sociologico), con esemplificazioni riferite a personaggi biblici, fino a Gesù. Tutta una serie di interpretazioni ardite e inedite.

Quindi, il discorso della crisi si porta sulle vicende curiali, facendo la distinzione tra crisi e conflitto. E qui ci riallacciamo all’ammonimento-minaccia iniziale, che si riferiva all’essere docili. “Solo morendo a una certa mentalità riusciremo anche a fare spazio alla novità che lo Spirito suscita costantemente nel cuore della Chiesa”. “Sotto ogni crisi c’è sempre una giusta esigenza di aggiornamento: è un passo avanti”.

Insomma, le critiche dei cardinali che non condividono le posizioni di Francesco, rientrerebbero nella categoria di conflitto, mentre le sue epurazioni sommarie, sarebbero il segno della crisi che esprimono la giusta esigenza di aggiornamento. “Ma se vogliamo davvero un aggiornamento, dobbiamo avere il coraggio di una disponibilità a tutto tondo; si deve smettere di pensare alla riforma della Chiesa come a un rattoppo di un vestito vecchio, o alla semplice stesura di una nuova Costituzione apostolica. La riforma della Chiesa è un’altra cosa”. E continua: non si tratta di “rattoppare un abito”, ma siamo chiamati a rivestire con un vestito nuovo quel medesimo Corpo, affinché appaia chiaramente che la Grazia posseduta non viene da noi ma da Dio.

Il progetto insomma è chiaro, cambiare radicalmente seguendo il concetto di crisi (tipicamente massonico) con l’avvertimento chi si provasse a opporre, sarebbe tacciato di conflittualità.

E superato il pleonastico e ambiguamente dissonante richiamo alla tradizione (nello stile modernista) arriviamo alla parte terminale, al suggello del discorso, da me già anticipato nel precedente articolo, in cui – per chi si fosse dimenticato – viene ribadito che tutti debbano intendersi solo servi inutili, con citazione al Vangelo di Luca. La dove nel Vangelo di Luca il termine inutile non ha nessuna attinenza a questo contesto. Intendendosi servi che hanno già dato quello che dovevano dare. Quando invece in questo contesto, il “solo inutile” ha un valore pervicacemente annichilitorio.

Un perentorio invito a smetterla di sollevare il conflitto, per essere aperti alla crisi, ovvero ai cambiamenti che Sua Maestà Francesco vorrà apportare! “Non vi sia nessuno che ostacoli volontariamente l’opera che il Signore sta compiendo in questo momento, e chiediamo il dono dell’umiltà del servizio affinché Lui cresca e noi diminuiamo (cfr Gv 3,30)”.

Più chiari di così! Come i compagni cinesi!

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