Adnkronos ieri sul Caso Becciu: Cecilia Marogna libera con obbligo di firma. E quella strana “intervista” a Bergoglio. Le due facce della stessa medaglia
Ritorniamo sul caso degli scandali finanziari che continuano a fare “banco” nello Stato della Città del Vaticano. Un Vatileaks 3 con “fughe” di notizie “non autorizzate” dall’interno del sistema giudiziario vaticano, sotto forma di “carte interne autorizzate dal regime” e “informazioni non autorizzate dal regime”. E lo facciamo questa volta partendo da due pubblicazioni dell’agenzia di stampa Adnkronos in data di ieri. Con una postilla…
La scarcerazione della “dama del cardinale”
Caso Becciu, Cecilia Marogna libera con obbligo di firma
ADNKRONOS, 30 ottobre 2020
Scarcerata Cecilia Marogna, la manager nota come la “dama” del Cardinale, per il rapporto fiduciario che la legava all’ex numero due della Segreteria di Stato Vaticana Angelo Becciu. A quanto apprende l’Adnkronos, alla 39enne cagliaritana, arrestata dalla Guardia di finanza a Milano in seguito al mandato di cattura internazionale firmato dagli inquirenti vaticani, è stato imposto dalla Corte d’Appello di Milano l’obbligo di firma.
LEGALE – “Oggi la corte d’appello di Milano ha doverosamente posto fine ad una situazione deplorevole e incivile: una cittadina italiana è stata rinchiusa per ben diciassette giorni in carcere senza avere a tutto oggi mai neanche letto – come nessuna altra persona in Italia – il mandato di cattura straniero per cui era stata arrestata”. Lo sottolinea l’avvocato Massimo Dinoia, legale di Cecilia Marogna, la manager nella quale l’ex numero due della Segreteria di Stato del Vaticano aveva riposto la massima fiducia, dopo che la corte d’appello di Milano ha deciso di scarcerarla con obbligo di firma.
L’avvocato Dinoia rileva una altra circostanza importante: “Accogliendo l’istanza di rimessione in libertà presentata dalla difesa, la Corte è andata oltre perché ha addirittura anticipato che si intravedono profili di apprezzabile sostenibilità in ordine all’impossibilità di concedere in futuro l’estradizione perché non esiste alcun trattato né alcuna convenzione che consenta di estradare un cittadino italiano allo Stato della Città del Vaticano”.
Come possiamo definire questo più recente episodio del romanzo d’appendice dal titolo Vatileaks 3, raccontato dall’Adnkronos in questo take di ieri?
Buco nell’acqua (uno) e figura di merda (due). Tertium non datur.
Al punto 1. I legali di Cecilia Marogna hanno evidenziato che non è prevista l’estradizione da Italia allo Stato della Città del Vaticano. Lo Stato della Città del Vaticano ha fatto un colossale buco nell’acqua.
Punto 2. Ma prima di emettere un mandato di cattura internazionale via Interpol, non si verifica che esistono gli estremi per l’estradizione [1]?
Inoltre, non si verifica prima che esistono gli estremi per poter chiedere l’estradizione attraverso Interpol?
Lo Stato della Città del Vaticano attraverso il Governatorato il 7 ottobre 2008 ha definito l’ingresso nell’Interpol tramite il Corpo della Gendarmeria SCV. Sottolineiamo che tale accordo sta a significare che tra il Corpo della Gendarmeria SCV (che non è solo polizia giudiziaria, ma di fatto il Corpo di polizia dello Stato della Città del Vaticano) e gli organi di polizia internazionali riconosciuti da Interpol vi è solo uno “scambio di informazioni e acquisizione di dati” in merito alla criminalità internazionale [2].
Non è scritto da nessuna parte, che il tribunale vaticano può emettere tramite Interpol ordini di cattura a livello internazionale di soggetti privati né tantomeno di cittadini stranieri allo SCV (se così fosse, per il latitante Fabrizio Tirabassi sarebbe già stato emesso tale mandato di cattura internazionale, per il quale, al momento, non vi sono evidenze in merito).
Lo Stato della Città del Vaticano ha fatto una figura di merda enorme.
Dal punto di vista italiana: che senso ha – se fosse possibile – estradare un indagato in uno Stato (cioè lo Stato della Città del Vaticano) che non fa processi regolari, ma solo processi sommari sulle attività di indagine della magistratura. In realtà quello stato (cioè lo Stato della Città del Vaticano) non dà agli indagati la certezza di un giusto processo?
Domanda legittima, che non trova risposta, ma trova conferma nel fatto che – finora – con gli scandali finanziari vaticani siamo impantanati in un soap opera mediocre, senza neanche l’ombra di un regolare processo. Di fatto c’è la mannaia pontificia e stop, con porzione di patate e senz’andare a capo.
Domanda aggiuntiva. Viene a pensare a qualcuno senza le necessarie conoscenza delle procedure processuali vaticane (e consuetudini bergogliane) – a pensare male si fa peccato ma si indovina bene – come faranno a processare il Cardinale Angelo Becciu (se esistesse veramente – ammettendo che ci sono gli estremi – questa la volontà, e il dubbio è legittimo) senza Cecilia Marogna in tribunale? Oppure, è stato tutto una sceneggiata pontificia?
Vediamo in approfondimento innanzitutto tre dei casi, nello specifico il broker Gianluigi Torzi, il finanziere Raffaele Mincione e la manager “dama del cardinale” Cecilia Marogna.
Per Torzi nessuna richiesta ufficiale di estradizione. È stato convocato nello Stato della Città del Vaticano con l’inganno e tenuto detenuto per dieci giorni in una cella del Corpo della Gendarmeria SCV, roba da corte internazionale per i diritti dell’uomo.
Per Mincione nessuna richiesta ufficiale di estradizione. Nessun invito nello Stato della Città del Vaticano (anche se ci fosse stato, non si sarebbe mai presentato, manco morto). Stranamente viene fermato all’Hotel de Russie a Roma, probabilmente convocato in loco con inganno da un “intermediario pontificio”, guarda caso di fronte all’ottico di fiducia dell’Uomo che Veste di Bianco. Sarà un caso? Certamente no! “Il caso” non esiste.
Per Marogna nessun invito ufficiale a presentarsi nello Stato della Città del Vaticano (ma anche per lei, se fosse arrivato l’invito, non l’avrebbe accettato, manco morta!). Per lei il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano chiede all’Italia l’arresto e l’estradizione. I suoi legali (molto preparati), oltre a dire che non hanno avuto nessuna “carta” dalla magistratura vaticana sufficiente, né per porre in arresto loro assistita, né tantomeno per una richiesta di estradizione, che in tal caso dall’Italia allo Stato della Città del Vaticano non esiste (infatti, esiste solo dallo Stato della Città del Vaticano all’Italia.
Bravi i legali della “dama del cardinale”. Le uniche carte pervenute all’Italia dalla magistratura dello Stato della Città del Vaticano, pare siano delle carte firmate dal promotore di giustizia vaticano per il quale la Marogna è ricercata dallo Stato della Città del Vaticano per alcuni reati finanziari, ma non vengono forniti altri dettagli dalla magistratura vaticana, per i quali si chiede l’estradizione della cittadina italiana.
In realtà, la magistratura vaticano ha il placet del Papa (che – ricordiamo è Capo di Stato dello Stato della Città del Vaticano, monarca assoluto che gode in modo pieno dei quattro poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario e mediatico) “a procedere” con le indagini. Però, di fatto, queste indagini non stanno portando a reali processi davanti ai giudici del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, ma solo a processi sommari da parte dell’Uomo che Veste di Bianco (cioè il monarco assoluto)… processi sommari da mannaia pontificia (manca solo l’esecuzione per opera di Mastro Titta, er boja de Roma).
In realtà, il Cardinale Angelo Becciu nello Stato della Città del Vaticano potrebbe (condizionale d’obbligo!) essere processato benissimo, senza la testimonianza di Cecilia Marogna. Basta (senza condizionale!) guardare gli elementi trovati negli “strumenti elettronici” sequestrati e le testimonianze raccolte da Torzi, Mincione, Perlasca & Co (tra cui il memoriale Tirabassi, che sembra che esiste). Quindi, non serve la Marogna per fare (volendo) un processo a Becciu, visto che già ci sono elementi sufficienti per un regolare processo (se il “mi dicono che…” ha valore). I promotori di giustizia vaticani già hanno in mano elementi sufficienti, ma l’Uomo che Veste di Bianco ha deciso che il Cardinale Becciu andava delegittimato, depotenziato dai privilegi cardinalizi e basta! Stop, nessun regolare processo. Questo è prassi in uno dei peggiori regimi che ci sono stati nella storia dell’umanità (e – ripetiamo – meno male non siamo nei tempi di er boja de Roma).
Allora, puntiamo la lente sull’irreperibile Tirabassi. Questo cruciale (per le indagini) protagonista già aveva capito tutto e si era dato subito alla latitanza, poiché lui sa benissimo che nessuno Stato al mondo ha l’obbligo di estradizione per un cittadino straniero alla Stato della Città del Vaticano. Quindi, lui sarà libero di spassarsela dove ora si trova con i suoi conti offshore pieni di soldi della Segreteria di Stato, alla faccia dell’Obolo di San Pietro e di tutti i fedeli cattolici romani.
Questi fatti creano un grave precedente e cioè, che chi sa di aver commesso un reato nello Stato della Città del Vaticano, sa che può darsi alla macchia e rendersi irreperibile, tanto nessuno può fargli nulla. E il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano resterà d’ora in poi senza la possibilità di interrogare chicchessia, perché nessuno accetterà ancora inviti fasulli a recarsi nella Città del Vaticano da parte della Santa Sede o si recherà dalle competenti autorità del proprio Paese, poiché i magistrati vaticani non possono richiedere né l’arresto né tantomeno l’estradizione di alcun cittadino straniero sul quale non ha nessuna giurisdizione. Ora lo sa tutto il mondo e la figura di merda è planetaria!
A questo punto ritorniamo alla questione delle carte e delle informazioni “non autorizzate” a L’Espresso e ad Adnkronos, di cui ci siamo occupato già in passato. Nello Stato della Città del Vaticano non sanno chi è il passatore (diversamente di Vatileaks 1 e 2, quando si è scoperto l’identità degli esecutori materiale, portati in Tribunale… mentre il passatore è rimasto sotto coperta, nella grande scatola bianca tramessa da Benedetto XVI a Francesco al momento dello “scambio”).
E siccome Adnkronos sta avendo molte informazioni valide (ma “informazioni non autorizzate dal regime”), il monarca assoluto attualmente regnante vuole “addomesticare” questa ben-informata agenzia di stampa. E lo fa con una “strana” intervista, pubblicata anche questa ieri 30 ottobre 2020 (che riportiamo di seguito, preceduta dal commento di Romana Vulneratus Curia, che l’amico e collega Marco Tosatti ha pubblicato tempestivamente sul suo blog Stilum Curiae, oggi), rendendola schiava del regime. Questo appare chiaro ai nostri occhi.
Adnkronos, di fatto, sta tenendo testa a L’Espresso, che di parte sua sta producendo sin dal 2 ottobre 2019 “carte interne autorizzate dal regime” e questo sta creando non pochi problemi all’Uomo che Veste di Bianco, mentre l’Adnkronos ha le carte e le informazioni, ma “non è autorizzata dal regime”. Questo appare evidente sotto nostra lente.
Per quanto riguarda Mons. Alberto Perlasca, lui è cittadino vaticano e rischia di andare a fare compagnia a Mons. Alberto Cappella che sta scontando la pena a 5 anni ed è tuttora detenuto in una cella della caserma del Corpo della Gendarmeria SCV, fatto confermato da molte fonti interne. Quindi, Perlasca ha tutto l’interesse di fare il pentito.
[1] Dagli Articoli 9, 22 e 23 del Trattato lateranense (Il Trattato fra la Santa Sede e l’Italia sottoscritto l’11 febbraio 1929, che fu pubblicato negli Acta Apostolicae Sedis n. 6 del 7 giugno 1929) si evince, che sono oggetto della giurisdizione dello Stato della Città del Vaticano solo le persone soggette alla giurisdizione della Santa Sede. Il fatto è davvero lapalissiano.
Art. 9 – In conformità alle norme del diritto internazionale sono soggette alla sovranità della Santa Sede tutte le persone aventi stabile residenza nella Città del Vaticano. Tale residenza non si perde per il semplice fatto di una temporanea dimora altrove, non accompagnata dalla perdita dell’abitazione nella Città stessa o da altre circostanze comprovanti l’abbandono di detta residenza.
Cessando di essere soggette alla sovranità della Santa Sede, le persone menzionate nel comma precedente, ove a termini della legge italiana, indipendentemente dalle circostanze di fatto, sopra previste, non siano da ritenere munite di altra cittadinanza, saranno in Italia considerate senz’altro cittadini italiani.
Alle persone stesse, mentre sono soggette alla sovranità della Santa Sede, saranno applicabili nel territorio del Regno d’Italia, anche nelle materie in cui deve essere osservata la legge personale (quando non siano regolate da norme emanate dalla Santa Sede), quelle della legislazione italiana, e ove si tratti di persona che sia da ritenere munita di altra cittadinanza, quelle dello Stato cui essa appartiene.
Art. 22 – A richiesta della Santa Sede e per delegazione che potrà essere data dalla medesima o nei singoli casi o in modo permanente, l’Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nella Città del Vaticano, salvo quando l’autore del delitto si sia rifugiato nel territorio italiano, nel qual caso si procederà senz’altro contro di lui a norma delle leggi italiane.
La Santa Sede consegnerà allo Stato italiano le persone, che si fossero rifugiate nella Città del Vaticano, imputate di atti, commessi nel territorio italiano, che siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati.
Analogamente si provvederà per le persone imputate di delitti, che si fossero rifugiate negli immobili dichiarati immuni nell’art. 15, a meno che i preposti ai detti immobili preferiscano invitare gli agenti italiani ad entrarvi per arrestarle.
Art. 23 – Per l’esecuzione nel Regno delle sentenze emanate dai tribunali della Città del Vaticano si applicheranno le norme del diritto internazionale.
Avranno invece senz’altro piena efficacia giuridica, anche a tutti gli effetti civili, in Italia le sentenze ed i provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche ed ufficialmente comunicati alle autorità civili, circa persone ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali o disciplinari.
[2] “Su sollecitazione dell’Autorità Giudiziaria dello Stato e successiva approvazione della Segreteria di Stato, lo Stato della Città del Vaticano ha aderito ad INTERPOL, l’Organizzazione Internazionale di Polizia Criminale. Si è trattato in particolar modo, per il Corpo della Gendarmeria, di un vero e proprio successo nell’esigenza quotidiana che questo Comando ha in materia di assunzione di informazioni sui fenomeni criminali, sull’individuazione delle migliori procedure operative per l’attività di contrasto alla criminalità organizzata ed alle associazioni sovversive, sulla diffusione delle esperienze investigative rivelatesi di maggiore efficacia, e, soprattutto, per quanto riguarda l’acquisizione di dati personali di soggetti già segnalati sul territorio internazionale, di fondamentale importanza per tutta l’attività info-investigativa” (Vaticanstate.va/Servizi/Direzione dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile/Corpo della Gendarmeria, 12 luglio 2018).
“La Gendarmeria vaticana aderirà all’Interpol, l’Organizzazione che riunisce i Corpi di Polizia internazionali, nel corso del vertice in corso a San Pietroburgo. Già da due anni la Gendarmeria partecipa con un suo rappresentante ai lavori dell’Ocse, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Mentre è allo studio un accordo di cooperazione con la Polizia italiana. Sul territorio italiano, la protezione del Papa, è garantita in collaborazione con l’Ispettorato generale di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano. Fuori dall’Italia, la Gendarmeria collabora con la polizia dei vari Paesi che ospitano il Papa” (Adnkronos, 7 ottobre 2008).
La strana “intervista” a Bergoglio
Arriviamo adesso alla strana “intervista” a Bergoglio pubblicata da Adnkronos oggi 31 ottobre 2020, che facciamo precedere dal commento di Romana Vulneratus Curia, che l’amico e collega Marco Tosatti ha pubblicato tempestivamente sul suo blog Stilum Curiae, oggi 31 ottobre 2020, “che certamente è clarificatore, e illustra anche la situazione di difficoltà in cui si trova la Chiesa”:
«Dopo la prima rapida lettura, mi son chiesto cosa avevo capito. A prima lettura mi era apparso un Bergoglio irriconoscibile. Buono, gentile, modesto, umile ascetico, coraggioso, generoso, comprensivo, sofferente, sempre solo nelle sue battaglie contro il male, attorniato da cattivoni… ecc.
Ho dovuto rileggere ancora due volte. Alla terza volta finalmente appare un Bergoglio riconoscibilissimo, sempre lo stesso, sofisticatamente ipocrita, dolcemente (inconsapevolmente) falso, manifestamente confondente.
È evidente che sentiva di aver bisogno di immagine. Una immagine sempre più incrinata dopo le ultime vicende di crescita esponenziale delle corruzioni operate da persone da lui nominate, dopo le dichiarazioni cioccanti contenute in Fratelli Tutti, dopo l’atto criminale di Nizza operato da un clandestino islamico passato da Lampedusa, implicitamente grazie anche al suo sostegno agli immigrati clandestini ed all’Islam…
Ebbene è evidente che Bergoglio aveva bisogno di una intervista poetica che lo esaltasse. Ma poiché nessuno di noi crede che Bergoglio rilasci interviste senza che vengano rilette, stavolta posso supporre che Bergoglio si sia autointervistato. Con questa autointervista si assolve, si esalta, si glorifica. Potete constatarlo direttamente, leggete sotto.
Le prime righe dell’intervista lo pre-santificano. Le domande dell’intervista, costruite senza alcun dubbio su risposte pre confezionate [metodo di cui conosciamo l’inventore e l’indiscusso maestro… e non si chiama Bergoglio, V.v.B. ne è stato testimone come vengono “rilasciate”: “Ecco, queste sono le risposte. Alle domande pensate voi”], lo giustificano ed esaltano. Nella conclusione l’intervistatore arriva persino a vedere la luce che emana da Bergoglio, la luce che illumina l’oscurità del Virus e il buio del peccato. Un capolavoro! Bravi Tornielli-Spadaro! Ma stavolta i due hanno esagerato nella piaggeria e han fatto danni. Infatti stavolta è troppo evidente che hanno dovuto architettare una intervista di agenzia per cercare di fare un po’ di immagine ad un signore che più che immagine avrebbe bisogno di una visita di un esperto in psichiatria accompagnato da un bravo esorcista.
Romano Vulneratus Curiae».
Papa Francesco all’AdnKronos: “Covid, corruzione, Benedetto…”
di Gian Marco Chiocci
ADNKRONOS, 30 ottobre 2020
Città del Vaticano – Un filo di voce accompagnato dal sorriso. “Buongiorno, benvenuto…”. Il Santo Padre mi accoglie così nelle stanze vaticane dove ha acconsentito a rispondere agli interrogativi che tanto stanno scuotendo la Chiesa, preoccupando le porpore, angustiando i fedeli, dividendo gli addetti ai lavori che lo osannano o lo criticano a seconda della parrocchia d’appartenenza. Incontrare un Papa non è cosa di tutti giorni, regala emozioni rare, intense, fortissime anche se il padrone di casa fa di tutto per mettere l’ospite non solo a proprio agio ma – ed è davvero paradossale – sullo stesso piano. Parlare con Lui in una stanza spoglia, due sedie, un tavolo e un crocifisso, mentre fuori tracima l’apprensione per la pandemia, accresce quel desiderio di speranza e di fede difronte all’ignoto, fede che per alcuni starebbe venendo meno a causa degli scandali, degli sprechi, delle continue rivoluzioni di Francesco e financo del virus, e di questi temi il Papa parlerà nel colloquio con l’Adnkronos.
L’occasione è utile innanzitutto per mettere un punto e tirare la riga sull’annosa questione morale fra le mura al di là del Tevere che il Papa stesso non fatica a definire un “male antico che si tramanda e si trasforma nei secoli”, ma che ogni predecessore, chi più chi meno, ha cercato di debellare coi mezzi e le persone sulle quali in quel momento poteva contare. “Purtroppo la corruzione è una storia ciclica, si ripete, poi arriva qualcuno che pulisce e rassetta, ma poi si ricomincia in attesa che arrivi qualcun altro a metter fine a questa degenerazione”.
Certo, nella vita millenaria della Chiesa non si ricorda un Papa così, tanto coraggioso quanto incurante di inimicarsi la potente curia romana con il mondo affaristico che le scodinzola intorno: Francesco è deciso a fare piazza pulita di ecclesiastici propensi a mettere il denaro (“i primi padri lo chiamavano lo sterco del diavolo e pure San Francesco” dice) prima della Croce.
Coerente col suo dettame francescano il Vicario di Cristo fa quel che nessuno ha mai avuto la forza di fare per una Chiesa che sia davvero una casa di vetro, trasparente, com’era quella delle origini, votata agli ultimi, al popolo. In una Chiesa per i poveri, più missionaria, però – ed è questo il credo di Francesco – non c’è spazio per chi si arricchisce o fa arricchire il suo cerchio magico indossando indegnamente l’abito talare.
“La Chiesa è e resta forte ma il tema della corruzione è un problema profondo, che si perde nei secoli. All’inizio del mio pontificato andai a trovare Benedetto. Nel passare le consegne mi diede una scatola grande: “Qui dentro c’è tutto – disse -, ci sono gli atti con le situazioni più difficili, io sono arrivato fino a qua, sono intervenuto in questa situazione, ho allontanato queste persone e adesso…tocca a te”. Ecco, io non ho fatto altro che raccogliere il testimone di Papa Benedetto, ho continuato la sua opera”. Già, Benedetto XVI. Una narrazione tradizionalista e conservatrice racconta di un papa emerito perennemente in guerra con quello regnante, e viceversa: dissidi, dissapori, spigolosità, diversità di vedute su tutto e tutti, trame sotterranee e pettegolezzi.
C’è del vero? Il Santo Padre si prende qualche secondo e poi sorride: “Benedetto per me è un padre e un fratello, per lettera gli scrivo “filialmente e fraternamente”. Lo vado a trovare spesso lassù (con il dito indica la direzione del monastero Mater Ecclesiae proprio alle spalle di San Pietro, nda) e se recentemente lo vedo un po’ meno è solo perché non voglio affaticarlo. Il rapporto è davvero buono, molto buono, concordiamo sulle cose da fare. Benedetto è un uomo buono, è la santità fatta persona. Non ci sono problemi fra noi, poi ognuno può dire e pensare ciò che vuole. Pensi che sono riusciti perfino a raccontare che avevamo litigato, io e Benedetto, su quale tomba spettava a me e quale a lui”.
Il Pontefice riannoda le fila del discorso partito da lontano, ripensa a quando arrivò al soglio di Pietro e di cosa pensava allora dei mali materiali della Chiesa, nulla rispetto a quel che poi ritroverà affondando le mani nella gestione opaca delle finanze vaticane, l’obolo di San Pietro, l’imprudenza di certi investimenti all’estero, l’attivismo poco caritatevole di pastori d’anime trasformatisi in lupi di rendite.
Bergoglio si rifà a Sant’Ambrogio, vescovo, teologo e santo romano, per sintetizzare la sua linea guida: “La Chiesa è stata sempre una casta meretrix, una peccatrice. Diciamo meglio: una parte di essa, perché la stragrande maggioranza va in senso contrario, persegue la giusta via. Però è innegabile che personaggi di vario tipo e spessore, ecclesiastici e tanti finti amici laici della Chiesa, hanno contribuito a dissipare il patrimonio mobile e immobile non del Vaticano ma dei fedeli. A me colpisce il Vangelo quando il Signore chiede di scegliere: o segui Dio o segui il denaro. Lo ha detto Gesù, non è possibile andare dietro a entrambi”.
Da Sant’Ambrogio il Papa passa alla nonna dispensatrice di buoni consigli: “Lei, che certo non era una teologa, a noi bambini diceva sempre che il diavolo entra dalle tasche. Aveva ragione”. Come aveva ragione quella vecchina incontrata in una sterminata baraccopoli di Buenos Aires il giorno in cui morì Giovanni Paolo II: “Mi trovavo in un autobus – ricorda Francesco – stavo andando in una favela, quando venni raggiunto dalla notizia che stava facendo il giro del mondo. Durante la messa, chiesi di pregare per il papa defunto. Finita la celebrazione mi si avvicinò una donna poverissima, chiese informazioni su come si eleggeva il papa, le raccontai della fumata bianca, dei cardinali, del conclave. Al che lei mi interruppe e disse: senta Bergoglio, quando diventerà papa per prima cosa si ricordi di comprare un cagnolino. Le risposi che difficilmente lo sarei diventato, e se nel caso perché avrei dovuto prendere il cane. “Perché ogni volta che si troverà a mangiare – fu la sua risposta – ne dia un pezzettino prima a lui, se lui sta bene allora continui pure a mangiare”.
Questo pensa la gente del Vaticano? Che la situazione è fuori controllo che può succedere di tutto? “Era ovviamente una esagerazione” taglia corto il Santo Padre. “Ma dava conto dell’idea che il popolo di Dio, i poveri fra i più poveri al mondo, aveva della Casa del Signore attraversata da ferite profonde, lotte intestine e malversazioni”.
La lotta pubblica e senza sconti al malaffare vaticano di questi tempi regala l’immagine di un pontefice molto concreto, deciso, risoluto, un eroe solitario osannato dalle folle ma osteggiato da un nemico invisibile. Un Papa che appare solo nei palazzi del piccolo stato, ma che solo non è avendo dalla sua la quasi totalità degli osservanti e dei devoti. Francesco inarca le sopracciglia, allarga lentamente le braccia cercando al contempo lo sguardo del suo ospite. Sono secondi interminabili.
“Sarà quel che il Signore vuole che sia. Se sono solo? Ci ho pensato. E sono arrivato alla conclusione che esistono due livelli di solitudine: uno può dire, mi sento solo perché chi dovrebbe collaborare non collabora, perché chi si dovrebbe sporcare le mani per il prossimo non lo fa, perché non seguono la mia linea o cose così, e questa è una solitudine diciamo… funzionale. Poi c’è una solitudine sostanziale, che non provo, perché ho trovato tantissima gente che rischia per me, mette la sua vita in gioco, che si batte con convinzione perché sa che siamo nel giusto e che la strada intrapresa, pur fra mille ostacoli e naturali resistenze, è quella giusta. Ci sono stati esempi di malaffare, di tradimenti, che feriscono chi crede nella Chiesa. Queste persone non sono certo suore di clausura”.
Sua Santità ammette di non sapere se vincerà o meno la battaglia. Ma con amorevole risolutezza si dice certo di una cosa: “So che devo farla, sono stato chiamato a farla, poi sarà il Signore a dire se ho fatto bene o se ho fatto male. Sinceramente non sono molto ottimista (sorride, ndr) però confido in Dio e negli uomini fedeli a Dio. Ricordo di quand’ero a Cordoba, pregavo, confessavo, scrivevo, un giorno vado in biblioteca a cercare un libro e mi imbatto in sei-sette volumi sulla storia dei Papi, e anche tra i miei antichissimi predecessori ho trovato qualche esempio non proprio edificante”.
Oggi la miglior difesa dei nemici giurati del Papa è l’attacco a Francesco attraverso i continui richiami a quel che presto, sperano, verrà dopo di lui. Una sorta di liberazione e di resurrezione per un pontificato dato già per archiviato perché troppo divisivo, politicamente scorretto, ideologicamente schierato da una parte sola.
Sul toto-papa che impazza nei passaparola, Bergoglio la prende con ironia: “Anche io ci penso a quel che sarà dopo di me, ne parlo io per primo. Recentemente, nello stesso giorno, mi sono sottoposto a degli esami medici di routine, i medici mi hanno detto che uno di questi si poteva fare ogni cinque anni oppure ogni anno, loro propendevano per il quinquennio io ho detto facciamolo anno per anno, non si sa mai (il sorriso stavolta si fa più generoso, nda)”.
Papa Bergoglio ascolta con attenzione l’elenco delle critiche che gli sono state rivolte nel tempo, non fa trasparire insofferenza sulla sortita del cardinal Ruini (“criticare il Papa non significa essergli contro”) sembra segnarsele a mente una per una le contestazioni, dalle unioni civili all’accordo con la Cina. Ci pensa su una decina di secondi e infine consegna un pensiero a tutto tondo: “Non direi il vero, e farei torto alla sua intelligenza se le dicessi che le critiche ti lasciano bene. A nessuno piacciono, specie quando sono schiaffi in faccia, quando fanno male se dette in malafede e con malignità. Con altrettanta convinzione però dico che le critiche possono essere costruttive, e allora io me le prendo tutte perché la critica porta a esaminarmi, a fare un esame di coscienza, a chiedermi se ho sbagliato, dove e perché ho sbagliato, se ho fatto bene, se ho fatto male, se potevo fare meglio. Il Papa le critiche le ascolta tutte dopodiché esercita il discernimento, capire cosa è a fin di bene e cosa no. Discernimento che è la linea guida del mio percorso, su tutto, su tutti. E qui – continua Papa Francesco – sarebbe importante una comunicazione onesta per raccontare la verità su quel che sta succedendo all’interno della Chiesa. È vero che poi se nella critica devo trovare ispirazione per fare meglio non posso certo lasciarmi trascinare da ogni cosa che di poco positivo scrivono sul Papa”.
Il tempo di elaborare la domanda successiva e il Santo Padre anticipa ancor di più la risposta: “Non credo possa esserci una sola persona, dentro e fuori di qui, contraria ad estirpare la malapianta della corruzione. Non ci sono strategie particolari, lo schema è banale, semplice, andare avanti e non fermarsi, bisogna fare passi piccoli ma concreti. Per arrivare ai risultati di oggi siamo partiti da una riunione di cinque anni fa su come aggiornare il sistema giudiziario, poi con le prime indagini ho dovuto rimuovere posizioni e resistenze, si è andati a scavare nelle finanze, abbiamo nuovi vertici allo Ior, insomma ho dovuto cambiare tante cose e tante molto presto cambieranno”.
Fatta salva la presunzione di innocenza per chiunque sia finito o finirà nel mirino della magistratura vaticana, è sotto gli occhi di tutti quanto di buono stia facendo Francesco camminando sul filo del dirupo dell’immoralità diffusa in settori precisi della Chiesa. Ci chiediamo, e con un po’ di timidezza chiediamo al Santo Padre: ma il Papa ha paura? La replica stavolta è più ponderata. Il silenzio sembra non finire mai, sembra in attesa di trovare le parole giuste. Sembra. “E perché dovrei averne?” si domanda e ci domanda il Santo Padre. “Non temo conseguenze contro di me, non temo nulla, agisco in nome e per conto di nostro Signore. Sono un incosciente? Difetto di un po’ di prudenza? Non saprei cosa dire, mi guida l’istinto e lo Spirito Santo, mi guida l’amore del mio meraviglioso popolo che segue Gesù Cristo. E poi prego, prego tanto, tutti noi in questo momento difficile dobbiamo pregare tanto per quanto sta accadendo nel mondo”.
Il coronavirus è tornato fra noi [non se ne è mai andato, V.v.B,], si trascina dietro inquietudine, morti e paura. Il Sommo Pontefice si prende la parola e non la lascia più, e parla quasi tenendoti per mano, come non ti aspetteresti mai dal pastore in terra della chiesa universale. “Sono giorni di grande incertezza, prego tanto, sono tanto, tanto, tanto vicino a chi soffre, sono con la preghiera a chi aiuta le persone che soffrono per motivi di salute e non solo”. Il riferimento va ai famosi eroi, i “santi della porta accanto” come ebbe a definirli due settimane dopo l’appuntamento globale del 27 marzo, quand’era solo in piazza San Pietro, sotto la pioggia, in preghiera per la fine della pandemia ai piedi del crocifisso inondato dalle lacrime piovute dal cielo. Padre Santo, gli chiediamo, si prospettano nuovi lockdown, si riparla di restrizioni per il culto, c’è un rischio di ripercussioni per la Chiesa?
“Non voglio entrare nelle decisioni politiche del governo italiano ma le racconto una storia che mi ha dato un dispiacere: ho saputo di un vescovo che ha affermato che con questa pandemia la gente si è “disabituata” – ha detto proprio così – ad andare in chiesa, che non tornerà più a inginocchiarsi davanti a un crocifisso o a ricevere il corpo di Cristo. Io dico che se questa “gente”, come la chiama il vescovo, veniva in chiesa per abitudine allora è meglio che resti pure a casa. E’ lo Spirito Santo che chiama la gente. Forse dopo questa dura prova, con queste nuove difficoltà, con la sofferenza che entra nelle case, i fedeli saranno più veri, più autentici, Mi creda, sarà così”.
L’incontro termina qui, il commiato è semplice e commovente più del benvenuto. Diceva San Francesco che un solo raggio di sole è sufficiente a cancellare milioni di ombre. Nella stanza improvvisamente vuota la luce di speranza dell’unico papa che ha preso il nome dal fraticello d’Assisi resta incredibilmente accesa. E per un istante con l’oscurità del virus si spegne anche il buio del peccato dei consacrati del Signore.
La postilla
Adnkronos, le due facce della stessa medaglia
È chiaro che Adnkronos sta dando fastidio in questo periodo. O, per lo meno, ha lavorato talmente bene da destare l’attenzione dell’Uomo che Veste di Bianco. Ha destato talmente l’attenzione, che non è neanche arrivata la telefonata di rito. Stavolta è arrivata proprio “la bussata di porta”, come nei migliori paesini calabresi tanto cari a Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, autori del libro “Fratelli di Sangue. Storie, boss e affari della n’drangheta, la mafia più potente del mondo” (Mondadori 2006). Lì ogni “bussata di porta” è studiata a tavolino dalla locale di n’drangheta, che le intimidazioni e le minacce di morte le consegna con il sorriso e un vassoio di paste, chiedendo addirittura permesso e invitando i fratelli tutti a sedersi alla mensa.
Adnkronos negli ultimi anni non ci era sembrata più quella di un tempo, ma nell’ultimissimo periodo è tornata a stare “sul pezzo”, come pochi. Tanto da tenere testa a testate dedite allo scandalo pontificio. Proprio dopo i giorni caldi di 60SA. Adnkronos è tornata nel suo splendore e non può essere un caso (il caso non esiste).
Seguendo le parole del bravo, saggio, preparato e lungimirante amico e collega Marco Tosatti diamo questa lettura a questa autointervista, che l’Uomo che Veste di Bianco si fa da solo, invadendo la laicità di una testata giornalistica come fosse un presidio dello Stato Pontificio d’antan (come dicono i francesi), del tempo che fu.
Le cose sono due: o Adnkronos fa davvero paura al regime oppure Adnkronos con questa intervista si allineerà alla manovalanza di bassa lega di questo regime.
Delle due facce l’una, scopriremo presto la vera faccia di Adnkronos. Il meglio deve ancora avvenire. Fate attenzione alla porta di casa. Da oggi non basta più staccare il telefono, perché il fratello di tutti, il fratello di sangue sa dove abiti.