A molti ha dato coraggio, la martire cristiana Beatrice Stöckli, assassinata da terroristi islamici in Mali. Per ricordare

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«Rallegriamoci e ringraziamo – esclama sant’Agostino rivolgendosi ai battezzati -: siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo (…). Stupite e gioite: Cristo siamo diventati!».

Dieci giorni fa ho postato sul mio diario Facebook questa notizia: “Gli islamisti in Mali hanno assassinato Beatrice Stöckli, la missionaria cristiana dalla Svizzera. Si farà fatica a trovarne notizia. Perché Beatrice non lavorava per una ong dell’immigrazione, ma per Neues Leben Ghana, una ong di idealisti evangelici tedeschi che aiuta gli africani a costruire una vita migliore. Non il singhiozzo dell’uomo bianco, ma il suo orgoglio. Beatrice non nascondeva la propria fede, in una terra dove è spesso una condanna a morte e in un tempo liquido a disagio, infastidito e intollerante verso una identità dura come la roccia” (Giulio Meotti).
Ho aspettato 10 giorni per trovare conferma e, infatti, ho cercato sui media italiani allineati al politicamente corretto, nonché cristianofobici, ma questa notizia del 9 ottobre non ho trovato proprio.

Ovviamente, non tutte sono cooperante di una ONG. Non tutte si convertano all’islam mentre vengono rapiti. Non tutte si allacciano l’hihab intorno al collo per coprire il capo e le spalle. Non tutte si infilano nella burqa e stanno silenti. Solo a queste che si convertano e accettano di spegnersi come donne, è dedicata l’attenzione di media e politica.

Quindi, oggi vogliamo ricordiamo questa martire cristiana evangelica, che si prendeva cura dei più poveri tra i poveri del Mali.

Ostaggio da quattro anni, la 59enne cittadina svizzera Beatrice Stöckli, attiva da anni come missionaria cristiana evangelica in Africa, finita due volte prigioniera dei jihadisti maliani era stata uccisa all’inizio di settembre circa dai sui rapinatori terroristi islamici in Mali. Lo ha annunciato la sera del 9 ottobre il Dipartimento federale degli affari esteri della Svizzera (DFAE). I responsabili del crimine sarebbero membri dell’organizzazione terroristica islamista JNIM-Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin (Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani), precisa una nota.

L’informazione era stata fornita nel pomeriggio dalle autorità francesi a quelle svizzere, aggiungeva il DFAE. “È con grande tristezza che ho appreso della morte della nostra concittadina”, ha affermato il consigliere federale Ignazio Cassis, citato nel comunicato. “Condanno questo atto crudele ed esprimo le mie più sentite condoglianze ai parenti della vittima”. Le circostanze esatte dell’assassinio non sono ancora chiare. Parigi è stata informata dell’esecuzione attraverso l’ostaggio franco-elvetico recentemente rilasciato, Sophie Pétronin. Il Mali ha annunciato inoltre la liberazione dell’ostaggio franco-svizzera Sophie Pétronin, così come degli italiani Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio.

Il JNIM è una milizia terrorista jihadista islamica nel Maghreb e nell’Africa occidentale, uno dei gruppi di combattenti più crudeli nel Sahel africano, nato il 2 marzo 2017 dalla fusione di Anṣār al-Dīn (Ausiliari della religione [islamica], un gruppo armato fondamentalista islamico dell’Africa nord-occidentale, guidato da Iyad al-Ghali, uno dei capi principali della rivolta tuareg del 1990-1995, apparso sulla scena nel marzo del 2012, tra le principali organizzazioni che hanno preso parte alla Guerra in Mali, unitamente al Movimento per l’Unicità e il Jihad nell’Africa Occidentale-MUJAO e al Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad-MNLA), del Fronte di Liberazione Macina (Fronte di liberazione Macina, gruppo jihadista legato ad Anṣār al-Dīn, specializzato in rapimenti di occidentali), delle cellule del Mali di al-Mourabitoun (un gruppo militante gihadista attivo nell’Africa Occidentale, formato nell’agosto 2013 dalla fusione tra altri due gruppi gihadisti, dopo che il capo, l’algerino Mokhtar Belmokhtar, ha giurato fedeltà alle direttive strategiche di Ayman al-Zawāhirī, il massimo esponente di al-Qāʿida dopo la morte di Osāma bin Lāden) e dei resti della branca ufficiale di al-Qāʿida nel Maghreb islamico AQMI. Tutte queste formazioni terroristiche armate combattono da anni in Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad contro cristiani e occidentali.

Le autorità svizzere, sotto la direzione del DFAE, hanno annunciato di fare tutto il possibile per accertare le circostanze esatte del crimine e il luogo in cui si trova il corpo della martire cristiana. Berna tenterà in ogni modo di rimpatriarlo, precisa il DFAE, che intende rivolgersi al nuovo governo di transizione del Mali.

In collaborazione con le autorità di Timbuktu e con altri partner, Berna aveva lavorato negli ultimi quattro anni per fare in modo che Beatrice Stöckli venisse rilasciata e potesse ritrovare la sua famiglia, afferma il DFAE, aggiungendo che i membri del Consiglio federale hanno ripetutamente esercitato pressioni sulle autorità maliane per chiederne la liberazione. Nella nota si ricorda infine che a tale scopo è stata istituita una task force interdipartimentale sotto la direzione del DFAE, composta da rappresentanti dello stesso dipartimento, dell’Ufficio federale di polizia (FEDPOL), del Servizio federale di informazione (SIF) e del Procuratore federale (MPC). Anche le autorità svizzere sono state in costante contatto con la famiglia della martire cristiana.

Beatrice Stöckli arrivò per la prima volta a Timbuktu, la città oasi di capitale della Repubblica del Mali, nel Sahara meridionale, con il gruppo missionario tedesco “Neues Leben Ghana” (Nuova Vita Ghana), guidato dal pastore cristiano evangelico Jörn André. Qualche anno dopo ha deciso di lavorare da sola “insegnando ai bambini a leggere e scrivere, usando favole e racconti per bambini e brani del Corano che parlano di Gesù”, riporta il sito di notizie svizzero Livenet.

Beatrice Stöckli dopo la sua liberazione nel 2012, al suo arrivo nella base aerea di Ouagadougou il 24 aprile 2012 (Foto di Ahmed Ouoba/AFP).

Beatrice Stöckli fu rapita per la prima volta in aprile del 2012 dal gruppo jihadista Ansar Dine. Un predicatore della vicina moschea l’aveva denunciata come missionaria, tanto che i terroristi islamici l’hanno trascinata nel deserto, dove Stöckli è stata torturata e minacciata con la morte per la prima volta, per costringerla a rinnegare Gesù e convertirsi all’Islam. Grazie alla mediazione del governo del Burkina Faso, dopo nove giorni fu rilasciata, a condizione di non tornare. Invito al quale però non diede seguito e decise di tornare a Timbuktu, per continuare il suo lavoro missionario, nonostante le minacce. Quindi, tornò nel 2016 per finire nuovamente nelle mani dei terroristi islamisti, perché accusata di convertire i musulmani al cristianesimo. Allora apparse in un video del gruppo jihadista in cui veniva chiesta la liberazione dei terroristi islamici dalle carceri malesi, in contropartita alla liberazione della missionaria evangelica elvetica.

Beatrice Stöckli dopo la sua liberazione nel 2012, al suo arrivo nella base aerea di Ouagadougou il 24 aprile 2012 (Foto di Ahmed Ouoba/AFP).

Fu rapita di nuovo il 7 gennaio 2016 a Timbuktu, insieme a degli ostaggi di Francia, Italia e Mali, recentemente liberati. Quattro anni fa “uomini armati hanno bussato alla sua porta, lei ha aperto e sono partiti con lei”, ha informato Agence France Presse nel gennaio 2016. Negli oltre quattro anni del suo rapimento, Beatrice Stöckli è apparsa in diversi video confezionati dai suoi rapinatori islamici, facendo appello al suo governo per il suo rilascio e per la liberazione dei combattenti jihadisti della filiale al-Qaeda AQMI incarcerati in Mali.

“Beatrice Stöckli è una suora che ha dichiarato guerra all’Islam”, dice un uomo mascherato in un video e afferma: “Voleva convertire i musulmani al cristianesimo”. Poi viene mostrata l’ostaggio, indossando un hijab nero. “Mi chiamo Beatrice Stöckli, sono svizzera”, inizia, spiegando di essere stata rapita dal ‘“Emirato del Sahara”, un gruppo vicino ad al-Qaeda nel Maghreb. Dice anche – volontariamente o meno, non possiamo saperlo – che è venuta per predicare la parola di Dio e convertire i musulmani al cristianesimo.

I terroristi islamici del “Emirato del Sahara” mostrano Beatrice Stöckli in un video.

Secondo quanto riferito, Beatrice Stöckli è stata uccisa con una palottala dai suoi rapitori, secondo Sophie Pétronin, parlando dei suoi oltre 1.300 giorni di prigionia nel sito di Médiapart. L’ex ostaggio francese racconta che dopo l’ennesimo conflitto tra Stöckli e i jihadisti, la missionaria è stata portata in una fossa dietro una duna. Dopo uno sparo, non è ricomparsa. L’evocazione di questa relazione conflittuale tra i rapitori e la missionaria farebbe pensare le autorità svizzere che Stöckli durante i quattro anni del rapimento non abbia rinnegata la sua fede cristiana.

Beatrice Stöckli in una scuola a Timbuktu.

“Beatrice Stöckli era molto popolare tra le donne di Timbuktu. In loco dal 2002, viveva come una donna locale. Più e più volte ho sentito che fu apprezzato enormemente. Ha portato dignità, amore, fiducia e prospettiva alle donne locali. Ma era una spina nel fianco degli islamisti – che privano la regione di ogni speranza per il futuro – perché rappresenta l’odiato Occidente”, ha detto l’esperto di strategia Albert A. Stahel a Blick. “Per loro, i missionari non sono il vero male. Molto più decisivo è l’odio degli europei e dell’Occidente [con la sua cultura giudea-cristiana]. Tutti noi siamo un ostacolo alla loro visione del mondo fondamentalista”.

A Blick Jörn André ha riferito che Beatrice faceva molto per i bambini e le donne: “Raccoglieva i bambini che chiedevano l’elemosina e li dava da mangiare. Suonava e cantava con loro, raccontava storie della Bibbia. Qui la chiameresti Kinderstunde (l’ora dei bambini). Ha anche difeso le donne, ha insegnato loro a cucire e si è presa cura dei loro problemi. Lì le donne non possono non possono spifferare una parola, solo camminare velate. Beatrice ha cercato di dare loro autostima”.

Beatrice Stöckli, a destra, e il capo della spedizione e fotografo Andrea Vogel, con bambini locali nel 2008.

Nei giorni in cui Beatrice Stöckli era ancora rapita, 20 Minuten citava il capo della spedizione e fotografo svizzero Andrea Vogel, che ha vissuto nella stessa città di Beatrice Stöckli e la conosceva bene: “Era una donna molto riservata e modesta che ha agito per profonda convinzione e ha cercato di ottenere qualcosa con mezzi semplici. Viveva da sola in periferia e leggeva storie ai bambini del vicinato. Non è mai apparsa come una missionaria invadente. Sono sicuro che questo funzionerà positivamente per Beatrice”. Però, purtroppo non è finito così.

20 Minuten ha fatto eco anche alle parole di una lettrice, secondo la quale “ha rinunciato a tutto in Svizzera per vivere a Timbuktu. È chiaro che non lascerà il paese in questo momento difficile. Tutti a Timbuktu la conoscono e apprezzano ciò che fa per la gente”.

Mentre Beatrice rimase a Timbuktu, “Neues Leben Ghana” aveva temporaneamente trasferito per motivi di sicurezza i suoi collaboratori in zone più sicure del Mali. Appena possibile la sua squadra tornerà, ha dichiarato Jörn Andre, guardando al futuro. “Un missionario sa dalla sua chiamata che accetta questo rischio”. Non accetta la critica che più persone potrebbero essere rapite e osserva che vengono rapiti anche turisti e persone con altre professioni.

Leader cristiani hanno espresso le loro condoglianze. “Siamo in pensiero e preghiera con i parenti della missionaria Beatrice Stöckli di Basel, uccisa in Mali”, ha sottolineato su Facebook Peter Schneeberger, Presidente dell’Associazione delle Chiese libere della Svizzera.

Foto di copertina: Beatrice Stöckli dopo la sua liberazione nel 2012, al suo arrivo nella base aerea di Ouagadougou il 24 aprile 2012 (Foto di Ahmed Ouoba/AFP).

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