La guerra dell’Azerbaigian contro l’Artsakh, con la Turchia e i mercenari jihadista islamici per proseguire il genocidio degli Armeni cristiani

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Lunedì 28 settembre eravamo tra i primissimi (e in Italia, poco ne hanno parlato) a scrivere dell’aggressione – iniziata la mattina di domenica 27 settembre – dell’Azerbaigian di cultura turca e islamico, armato dalla Turchia islamica con il sostegno dei mercenari tagliagole ammazzacristiani jihadisti islamici, contro l’Artsakh, a stragrande maggioranza cristiano armeno. La volontà della Turchia espansionista di Erdogan (il 2 ottobre ha dichiarato che Gerusalemme appartiene alla Turchia…) è di finire il genocidio degli Armeni consumato dall’Impero islamico Ottomano nel 1915-16, allora una situazione nuova e scioccante per l’opinione pubblica mondiale (almeno quella parte che ne sapeva qualcosa allora), che oggi rimane in silenzio come fu per il genocidio degli Ebrei consumato dal Terzo Reich (“non lo sapevamo”). Solo per fare – al compimento dell’opera di sterminio nazista – giornate alla memoria (e per gli Armeni neanche questo).

In fondo dell’articolo, il report di Paolo Crippa e Denise Morenghi sugli aspetti militare dell’attuale conflitto nel Nagorno-Karabakh.

Presidente Arayik Harutyunyan: non è l’Azerbaigian, è la Turchia che combatte contro l’Artsakh. Circa 4.000 jihadisti della Syria combattendo con i turchi dalla parte azera – 28 settembre 2020

Siamo tornato all’argomento martedì 6 ottobre, con le drammatiche notizie della ripresa dell’offensivo dell’Azerbaigian con i suoi mercenari: L’Azerbaigian oggi ha lanciato un attacco su larga scala nell’Artsakh e ha ripreso i bombardamenti di Stepanakert e Shushi – 6 ottobre 2020.

Oggi, giovedì 8 ottobre condivido l’opinione di Giulio Meotti e di Renato Farina, con due pezzi che seguono, dopo il video girato nella città siriana di Afrin, in cui si vede l’Imam invitare i presenti a partecipare alla guerra contro l’Artsakh da parte dell’Azerbaijan, come hanno fatto in Siria e in Libia.

Il video sui mercenari islamici reclutati ad Afrin per combattere l’Artsakh cristiano armeno.

«A un Occidente in cui nessuno sembra più aver voglia di combattere, in cui nessuno tiene più alle proprie tradizioni, in cui si sputa sulla propria storia e si cancella la propria cultura, in cui la terra non manda più alcun eco, gli armeni, piccoli, sparsi per il mondo, dimenticati e asserragliati, ora in guerra per il Nagorno, ci indicano una strada in cui non ci si lascia travolgere, dove non si dimentica di essere stati la prima nazione cristiana della storia e in cui si va fieri di tanta bellezza custodita nella propria terra. Di oggi la notizia che metà della popolazione del Nagorno, 75.000 persone, è stata sfollata a causa degli attacchi dell’Azerbaigian sostenuto dai turchi. Speriamo resistano. Ho appena letto una bellissima lettera che l’attore francese Simon Abkarian ha rivolto a Erdogan dalle pagine del Figaro: “Noi armeni combattiamo per il futuro dei nostri figli, ricordando i nostri morti che si rifiutano di morire una seconda volta. Nonostante le tue armi all’avanguardia, nonostante le tue vociferazioni religiose, nonostante i tuoi jihadisti a 2.000 dollari al mese, non vincerai. Prendi i tuoi morti e vattene, la terra degli Armeni è la terra della conoscenza, la terra del miele e delle rose. Non sapresti cosa farne. Qui le donne sono regine della gioia. E le ragazze non hanno alcun certificato da presentare a nessun uomo. Qui la musica e il vino sono rimedi indispensabili. Qui possiamo credere o non credere. Perché il nostro paese non è un paese, è un crocevia. E sai chi lo incrocia? Tutta l’umanità. Se pensi di massacrarci come agnelli, sappi che siamo cresciuti sotto il ventre di leonesse”. La tradizione biblica colloca in Armenia l’arca di Noè, che al termine del diluvio universale andò a posarsi sul monte Ararat. E in Armenia si trovava il Paradiso terrestre. È un po’ armeno il nostro sangue. Difendiamolo» (Giulio Meotti – Facebook, 7 ottobre 2020).

Le forze di aggressione azere hanno colpito la chiesa di Ghazanchetsots, il simbolo di Shushi, ricostruita dopo la guerra negli anni ’90. Lo ripetiamo: questa è una guerra anticristiano, contro gli Armeni cristiani (Foto di David Ghahramayan).
Un reportage di France 24 da un villaggio di confine in Azerbaigian dimostra che le postazioni di artiglieria dell’esercito azero si trovano non lontano dall’insediamento, ha notato la BBC. Al 50’ del reportage, si sente una salva di un proiettile di artiglieria in uscita. L’operatore istintivamente si china, ma i locali sorridono, agitano le mani e gli gridano: “Non aver paura, va tutto bene!”. A giudicare dal suono della raffica, le postazioni di artiglieria dell’esercito azero si trovano non lontano da questo villaggio e i residenti locali ne sono consapevoli, osserva la BBC. La parte armena ha ripetutamente affermato e presentato prove del fatto che l’Azerbaigian dispiega le sue posizioni in prossimità degli insediamenti civili, utilizzando così la propria popolazione civile come scudo in caso di una possibile risposta da parte dell’Artsakh.
Dozzine di amici e membri della comunità armena dello Utah si sono riuniti vicino al campus dell’Università dello Utah prima del dibattito vicepresidenziale di mercoledì sera con un messaggio appassionato, riferisce ABC4 News. Con cartelli e bandiere hanno implorato i leader nazionali e statali di intervenire e contribuire a spegnere il conflitto tra Armenia e Azerbaigian nella regione montuosa del Nagorno-Karabakh. “Lo scopo del nostro raduno non è protestare, né è una manifestazione. Non è politico. È apolitico. È umanistario”, ha detto Narine Sarkissian, Presidente nello Utah dell’Assemblea armena d’America. “Chiediamo ai nostri rappresentanti del Congresso e dello Stato di firmare la Risoluzione della Camera 1165. Fermate gli aiuti alla Turchia e all’Azerbaigian. Quell’aiuto viene utilizzato per uccidere le persone”. H.R. 1165 è una risoluzione bipartisan sponsorizzata dal rappresentante della California Jackie Speier che “condanna l’offensiva coordinata dell’Azerbaigian in Nagorno-Karabakh e denuncia l’interferenza turca nel conflitto”.
Durante il fine settimana, migliaia di manifestanti si sono riuniti davanti agli edifici delle testate giornalistiche di Hollywood, tra cui CNN e KTLA, in un appello emotivo per la copertura dei media e il riconoscimento dell’escalation di violenza nella regione. I manifestanti che portavano bandiere armene hanno camminato sulle autostrade, bloccando il traffico come forma di protesta e un appello per fermare lo spargimento di sangue nella regione. “Gli Americani non dovrebbero mai tollerare l’uso di bombe a grappolo contro obiettivi civili e altri crimini di guerra che portano con sé gli echi del genocidio armeno”, ha detto lunedì il Consigliere comunale di Los Angeles Paul Krekorian. “Gli Americani non dovrebbero mai tollerare l’espansionismo turco fascista in questa parte del mondo.
Azerbaigian ha perso 4.069 soldati dall’inizio delle ostilità il 27 settembre, informa l’Armenian Unified Infocenter. Secondo l’ultimo aggiornamento, 145 droni azeri sono stati abbattuti; 16 elicotteri e 17 aerei sono stati distrutti. Un totale di 496 unità di veicoli corazzati e 4 sistemi TOS sono stati anche colpiti dalle forze dell’Artsakh. Armenian Unified Infocenter fornisce aggiornamenti sulle perdite dell’Azerbaigian ogni mattina.
L’Esercito di Difesa dell’Artsakh ha pubblicato i nomi e l’anno di nascita dei militari uccisi per respingere l’aggressione azera: Sanosyan Artyom Sargis (2001), Gharibyan Vazgen Vigen (2002), Sargsyan Abraham Ashot (2001), Margaryan Serzhik Artak (2000), Khemchyan Artak Norik (1982), Riservista Sargsyan Edgar Robert (1988), Alexander Samvel Hayrapetyan (1991), Mitichyan Gor Samvel (1991), Mkrtchyan Martun Mkrtich (1982), Simonyan Myasnik Karapet (1984), Petrosyan Alik Ishkhan (1982), Aghajanyan Sargis Henrik (1978), Hambaryan Leon Khoron (1992), Mkrtchyan Sergey Harutyun (1991), Sargsyan Hovhannes Vardges (1990), Sahakyan Khachik Hovhannes (2001), Ayvazyan Sarmen Samvel (2001), Gasparyan Karen Vram (2001), Alaverdyan Arman Arthur (2001), Osipyan David Vladimir (2002), Hakobyan Arthur Davit (1983), Abrahamyan Nairi Arayik (1998), Muradyan Arsen Vanik (2001), Babayan David Alberti (1998), Sahradyan Suren Hayk (1994), Riservista Karapetyan Edo Armen (1964), Riservista Sirekanyan Gagik Vahan (1959), Riservista Grigoryan Gagik Fridon (1961), Riservista Sargsyan Hamlet Rusvelt (1973), Riservista Mnoyan Mushegh Lavrent (1966).

La guerra per il Nagorno-Karabakh
La Turchia vuole l’Armenia per proseguire il genocidio
Il progetto espansionista di Erdogan punta a rifare l’Impero islamico ottomano e a spazzare via i cristiani. Per questo arma l’esercito dell’Azerbajgian invasore
di Renato Farina
Libero, 8 ottobre 2020

In questo momento, proprio adesso, si sta ripetendo un vecchio esperimento: il genocidio degli armeni, popolo che ha il torto di essere cristiano in una maniera che gli italiani neppure si sognano. I turchi stanno sostenendo militarmente l’Azerbaijan, in nome della comune discendenza di sangue e di religione, per riconquistare il Nagorno-Karabakh, abitato dagli armeni ma rivendicato dagli azeri.

Come ha denunciato Emmanuel Macron, che ha prove fornite dai suoi servizi segreti, i tagliagole jihadisti ammazzacristiani sono stati trasferiti dalla Siria, in particolare da Afrin, a sostenere con i loro metodi brutali l’assalto alla enclave caucasica da millenni cristiana. Macron almeno ha parlato, ha chiesto alla Turchia di non internazionalizzare il conflitto. Ma è parlare al vento. Per i turchi è una questione interna al loro risorgente impero. E l’Europa? E la Nato? Ah già, la Turchia è ancora candidata ad entrare nell’Ue, ed è parte integrante della Nato. E dunque Bruxelles ha rifiutato di condannare Erdogan, nonostante di fatto stia dando guerra a Cipro e alla Grecia, impossessandosi manu militari dei loro mari.

L’ America? Zitta e quieta, non può e neppure vuole inimicarsi il Sultano, se lo tiene stretto, tanto più che l’Armenia è da sempre sotto la tutela dell’esercito di Putin, e non dispiace a Washington che tocchi allo Zar Vladimir beccarsi questa rogna. Erdogan con supremo cinismo gli sta buttando tra i piedi cadaveri armeni come forma di provocazione. E Putin morde il freno, cerca di svegliare gli occidentali denunciando la tragedia.  Ma dinanzi alle stragi di civili e alla fuga su camion e mezzi di fortuna di donne e bambini sta anche lui fermo, si accontenta per ora di presidiare i confini tra Armenia e Turchia con i suoi carri armati, ma non può invadere l’Azerbaijan per fermare l’assalto alla enclave cristiana, salvo creare un precedente che finirebbe per giustificare un ingresso di truppe baltiche e polacche in Bielorussia. Erdogan lo sa, e osa.

È a questo punto che dovrebbe esserci una iniziativa europea. Ma come si fa? Erdogan è padrone della Libia occidentale (Tripolitania), ricatta la Germania trattenendo i profughi siriani a caro prezzo (anche coi nostri soldi).

SANZIONI IMPROPONIBILI

Viene in mente il paragone con il 1999. L’Ulivo mondiale (Clinton, Blair, D’Alema) scatenò l’inferno della Nato contro i serbi ortodossi, bombardando crudelmente Belgrado (lo so, c’ero), per evitare un (inesistente) rischio di genocidio contro i musulmani del Kosovo, territorio storicamente serbo. In realtà non c’era nulla di umanitario, si trattava di indebolire l’alleanza pan-slava guidata dai russi. Senza muovere missili, qualcosa si potrebbe fare! Abbiamo adottato contro Mosca sanzioni severissime per la secessione della Crimea. Oggi, flebili proteste. Mentre il bastone turco spacca le ossa agli armeni in Caucaso, la polizia dell’Unione europea spazza via con gli idranti gli armeni in Europa.

Bello, vero? E dire che ieri è stato l’anniversario di Lepanto [Santa Maria della Vittoria, Lepanto 7 ottobre 1571. Oggi, 7 ottobre Memoria della beata Maria Vergine del Rosario], allorché nel 1571 la flotta guidata da Venezia sconfisse le armate del Sultano ottomano: avessero vinto le scimitarre oggi saremmo qui tutti a fare salamelecchi prostrati verso la Mecca. Noi non avremmo resistito, non abbiamo mai avuto la tempra degli armeni. I quali si sono fatti ammazzare cento volte da mongoli, arabi e infine turchi, nell’inerte vigliaccheria occidentale, mai rinnegando sé stessi.

L’Armenia – convertitasi al cristianesimo prima di Roma, nel 303, dieci anni prima dell’editto di Milano – non ha mai girato le spalle alla Croce, anzi vi è stata inchiodata ad ogni svolta della storia. La Croce armena però è rappresentata come fiorita. Ed è di pietra, non di legno. Eppure misteriosamente getta fiori da ogni angolo di questo Paese cosparso di questi simboli, in un territorio aspro di sassi e dolce di acque rare ma azzurrissime. Un secolo fa (il 1915) gli armeni sono stati oggetto di un genocidio ad opera del governo turco. Un milione e mezzo di cittadini armeni dell’impero ottomano furono sterminati. La diaspora dei sopravvissuti ha inondato il mondo di intelligenza e musica. Charles Aznavour ne è stato l’emblema.

TERRITORIO CONTESO

L’Armenia attuale è solo una piccola porzione di quella storica. Diventata repubblica sovietica si è nel 1991 proclamata indipendente: ora ha tre milioni circa di abitanti, sostenuti da altri dieci milioni di connazionali presenti nel mondo. La Chiesa armena non è ortodossa, nel senso dottrinale, ma è orientale nel senso della profondità estetica e caratteriale. Mancata al concilio di Nicea causa una delle solite invasioni non ebbe modo di sposare un dogma trinitario. Di recente, come segno di comunione piena, Francesco ha qualificato San Gregorio di Narek “dottore della Chiesa” (cattolica). Venezia è armena nel proprio cuore, e gli armeni sono veneziani.

E cosa succede ora in questa terra caucasica? Il Nagorno-Karabakh, uno dei luoghi più belli che sia dato ammirare a un uomo, pur essendo di fede cristiano-armena fu incluso, per malvagio calcolo sovietico, nella repubblica dell’Azerbaijan, di cultura turca e islamica. Alla dissoluzione dell’impero dell’Urss il Nagorno-Karabakh si proclamò indipendente rispetto a Baku e allo stato azero, il referendum ebbe esito chiaro come il sole. Niente da fare. Gli azeri diedero nel 1992 guerra, la persero. C’è un corridoio che da allora tiene unita l’Armenia e la repubblica che in armeno è detta Artsakh (150mila abitanti). Ci fu un armistizio nel 1994. Il fatto dirompente è Erdogan e la sua politica di espansione: in nome della fratellanza turca e islamica appoggia le rivendicazioni dell’Azerbaijan, che aizza per procura contro Erevan (capitale antica della Repubblica Armena). Ma soprattutto dove sarà il cuore di questa Italia e dell’Europa? Ci tocca sperare nella Russia. Anzi non nella Russia, nella grazia indomita che Dio ha concesso a questo popolo, di versare sangue e di fiorire. Ma davvero lasceremo alla Turchia di piantare le tende del Sultano tra i monasteri sopravvissuti allo scempio prima delle stragi ottomane e poi dell’ateismo comunista sovietico? Non è una questione estera, o di equilibri dell’ordine mondiale, ma interna, più che interna: intima.

Il monastero di Tatev nella regione di Syunik in Armenia sudorientale su un’alta scogliera che domina la profonda gola del fiume Vorotan. Fu costruito tra il IX e il X secolo ed è considerato la perla dell’architettura medievale armena. Un tempo era il principale centro spirituale e culturale dell’Armenia.

Il Ministro degli Affari Esteri della Grecia Nikos Dendias ha richiamato l’Ambasciatore greco in Azerbaigian Nikolaos Piperigos per consultazioni, ha detto in una Nota ieri il Ministero. In un rapido deterioramento delle relazioni bilaterali, Atene afferma di aver consegnato una “severa iniziativa” martedì all’Ambasciatore azero presso il Ministero degli Affari Esteri. “A seguito delle accuse del tutto infondate e offensive formulate dal governo dell’Azerbaigian riguardo alla presunta tolleranza da parte dello Stato greco per la preparazione di azioni terroristiche, gli sforzi per reclutare combattenti terroristi e gli attacchi informatici dal territorio greco all’Azerbaigian, nel contesto del conflitto nel Nagorno-Karabakh, ieri è stata consegnata una severa iniziativa all’Ambasciatore azero presso il Ministero degli Affari Esteri”, si legge nella Nota.


GLI ASPETTI MILITARI DELL’ATTUALE CONFLITTO NEL NAGORNO-KARABAKHDI
di Paolo Crippa e Denise Morenghi

Nonostante gli innumerevoli appelli al cessate il fuoco da parte della Comunità Internazionale, il confronto armato tra Armenia e Azerbaijan nella contesa regione del Nagorno-Karabakh, iniziato la mattina dello scorso 27 settembre, prosegue tutt’ora e col passare dei giorni assume sempre più le dimensioni di un vero e proprio conflitto ad alta intensità. La regione, appartenente al territorio azero ma de-facto controllata da forze armene dal 1994, nonostante sia da tempo teatro di scontri tra i due Paesi, non ultimo quello avvenuto tra il 2 e il 5 aprile 2016, non ha mai sperimentato offensive militari su larga scala, secondo la consuetudine dei cosiddetti ‘conflitti congelati’. La configurazione che stanno assumendo attualmente le ostilità, nonché l’utilizzo di determinati sistemi d’arma da entrambe le parti, impone una serie di riflessioni sulla condotta e sull’evoluzione dei conflitti moderni.

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Foto di copertina: bandiera della Repubblica dell’Artsakh.

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