Torniamo ad occuparci della giustizia, con un’assoluzione e una condanna, di cui probabilmente leggeremo poco sui social

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Il prima articolo tratta della meritata assoluzione dall’accusa di corruzione a formula piena “perché il fatto non sussiste” di Roberto Formigoni, 73 anni, Governatore della Lombardia dal 1995 al 2013, in un processo uguale a quello per cui fu condannato alla prigione. Nel processo di Cremona, Formigoni e l’ex Direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Cremona, Simona Mariani Mariani erano accusati di corruzione e l’ex Direttore generale dell’Assessorato regionale alla Sanità, Carlo Lucchina di abuso d’ufficio, in relazione alla vicenda Vero, l’acceleratore lineare per le terapie oncologiche, che secondo l’accusa era stato acquistato ad un prezzo superiore a quello di mercato. Anche secondo il pubblico ministero il prezzo pagato – effettivamente superiore rispetto ai sei milioni pagati per il medesimo apparecchio dall’ospedale di Como – è giustificato. L’ospedale comasco godette infatti di un prezzo promozionale per essere stato il primo ad acquistarlo. Regolare. secondo il magistrato. anche aver effettuato l’acquisto con procedura negoziata e senza bando di gara.

Il secondo articolo tratta della condanna a 24 anni di reclusione meritatamente appioppati al delinquente senegalese Ousseynou Sy, terrorista islamico, dilettante dell’odio ma con la capacità di stragista, 47 anni, che il 20 marzo 2019 dirottò uno scuolabus e sequestrò 50 bambini. Si crede il vendicatore dei migranti e in aula l’africano tiene un comizio, attaccando Salvini: «I veri terroristi sono gli italiani che non ci accolgono».

Roberto Formigoni, assolto a formula piena dell’accusa di corruzione, “perché il fatto non sussiste”.

Lo strano caso dell’ex Governatore della Lombardia Formigoni: assolto in un processo uguale a quello per cui fu condannato alla prigione
Formigoni ottiene soddisfazione. Resta l’assurdità di due verdetti opposti nonostante accuse ed elementi fossero gli stessi
di Vittorio Feltri
Libero, 16 luglio 2020

Il Tribunale di Cremona ha assolto Roberto Formigoni dall’accusa di corruzione. La formula è la più piena che esista «Per non aver commesso il fatto». Persino il pubblico ministero ha chiesto di dichiararlo innocente. L’inconsistenza delle imputazioni era a tal punto evidente che la camera di consiglio è durata meno di un’ora. Questa sentenza è la conclusione di un processo che è la fotocopia perfetta di quello che ha sbattuto nel febbraio dello scorso anno prima in carcere e poi agli arresti domiciliari (condanna a 6 anni) l’ex governatore della Lombardia. Com’è possibile che gli stessi addendi portino a risultati opposti Tribunali applicanti la medesima legge? Un’idea, nel caso specifico, ce l’ho. Ed è la stessa suppongo – specie dopo le rivelazioni orrende del giudice defunto Amedeo Franco e di quello (per ora) vivente Luca Palamara – di tante persone. Prima però, c’è un’altra notizia: il plotone di esecuzione, organizzato nel corso degli anni dalla stampa militarizzata per dare una mano al boia, si è sparpagliato fischiettando, avendo altro da fare che provvedere a risarcire un pochino Formigoni delle lesioni inflitte alla sua reputazione. il Corriere e Repubblica, a questo clamoroso dietrofront della magistratura, hanno dedicato due righe in cronaca milanese. il Fatto, che è sì il trombettiere delle Procure ma solo quando agitano le manette, ha proprio evitato di informarne i lettori.
RITO AMBROSIANO
Non ci stupiamo di questo esercizio di occultamento di quel che è sgradito alla Procura più potente d’Italia insieme a quella di Roma, piuttosto siamo increduli dinanzi al coraggio di un piccolo Palazzo di Giustizia. E proprio vero che non bisogna fare in nessuna categoria di ogni erba un fascio. La sentenza di colpevolezza era arrivata nella città sul Po dalla metropoli dei Navigli già pronta e confezionata La condanna doveva essere una formalità, essendo un’appendice discendente come oro colato dalla sentenza milanese. Era infatti una continuazione acclarata – secondo i pm di rito ambrosiano – della corruzione originaria, con identico ambito (la sanità), modalità (favore dato ad amici), prezzo della corruzione (vacanze imperiali, regali, cene e pure contanti, 900mila euro). Incredibile, ma a Cremona la locale Procura, invece che dormire sul cuscino milanese, ha voluto lavorare sulla realtà piuttosto che sulle dicerie. Non ha creduto al valore criminale di una foto in costume da bagno, ma si è inchinata all’inesistenza di una-prova-una della corruzione. il Tribunale, avendo assistito in aula allo sciogliersi inesorabile delle imputazioni, ne ha preso semplicemente atto. Assolto lui, assolti i suoi collaboratori, assolta la dirigente dell’ospedale di Cremona, la dottoressa Simona Mariani, che (non) ha truccato una gara in cambio di un braccialetto per far vincere la ditta amica di Formigoni. Per la verità, è proprio grazie a questa presunta e non accaduta corruzione della Mariani che il giudizio è traslocato a Cremona, in quanto sede del (non) delitto.
È andata così. Il processo contro Formigoni per il caso Malgeri-Daccò era alle prime battute. il governatore era ancora in sella L’impianto dell’accusa benché noto va ricordato. Gli organi di controllo e la giunta regionale avevano assegnato alla Fondazione pavese decine di milioni, e lo fecero legittimamente (nessuna condanna), però tutto questo sarebbe accaduto per la personale e solitaria corruzione di Formigoni, il quale in cambio avrebbe goduto dell”‘utilità” di uno yacht e di alcune vacanze caraibiche. La Procura sostiene ci fossero anche molti denari, ma non se n’è trovata traccia in alcuna parte del mondo.
GIUSTIZIA IDEOLOGICA
A questo punto si procedette oltre. La tesi della Procura – e del coro giornalistico – era molto semplice: Formigoni praticava questo metodo marcio in ogni settore della sanità lombarda Dovunque spediva amici suoi a fare affari, e ne ricavava una vita da nababbo. E siamo alla vicenda di Cremona, e al caso di alcuni macchinari medici che sarebbero stati piazzati da un agente di commercio con regolari appalti, però – accidenti – amico di Formigoni, in quanto ex consigliere regionale di centrodestra: Massimo Gianluca Guarischi.
In quel momento però la Procura chiede e ottiene il processo e la condanna a 5 anni solo per costui. Lasciò in bianco il nome del corrotto sconosciuto. Fu evocato «un altissimo funzionario», indovina chi? Scrivevano i giornali di Guarischi: è «il collettore delle mazzette che trascorreva le vacanze col “Celeste”». Stesso schema marcio del caso Malgeri-Daccò.
A Guarischi condannato, escono i nomi dei personaggi corrotti, e la palla passa per ragioni tecniche a Cremona. Carta canta, condanna ovvia. Il risultato è invece quello che abbiamo annunciato all’inizio. Le prove che hanno portato alla condanna definitiva di Guarischi (è stato in carcere ed ora è recluso in casa) sono state ridicolizzate in pubblico dibattimento, non attraverso giochi dialettici e anatemi moralistici. Immoralità pubblica non sono le pessime vacanze in barca di Formigoni; del resto le ha fatte Gentiloni sullo yacht di De Benedetti, e giustamente nessuno lo ha processato, anche se l’Ingegnere non ha certo potuto lamentarsi per il trattamento riservato ai debiti di Surgenia da parte del govemo Gentiloni nel caso Monte dei Paschi. Immoralità pubblica è piuttosto amministrare la giustizia su base ideologica, costruendo prove con la bava degli invidiosi.
Ora qualcuno dirà: questo era un altro processo. In realtà hanno capito tutti che sono cambiate le figurine ma la partita era la stessa. Soltanto erano diversi i magistrati, e non era più schierato scimitarra alla mano, visto forse come andava il dibattimento, il commando di giannizzeri dei poteri forti., con molte pertinenze nei quartieri alti e – Palamara dixit – politicamente compromessi della giustizia.
Guarischi avrà la revisione del processo. Per Formigoni, conoscendo l’attenzione alla malagiustizia del Quirinale, mi aspetto qualcosa da lassù.

Ousseynou Sy, il senegalese riconosciuto colpevole, indossa una mascherina che ne afferma l’identità africana.

Terrorista islamico dirottò un bus: prende 24 anni e attacca Salvini
Comizio in aula dell’africano che aveva sequestrato 50 bambini: «I veri terroristi sono gli italiani che non ci accolgono». Si crede il vendicatore dei migranti
di Renato Farina
Libero, 16 luglio 2020

Con un colpo di mano tipico da terrorista musulmano, il delinquente che nel marzo del 2019 cercò di bruciare vivi 50 ragazzini di San Donato Milanese, ha trasformato il processo contro la sua infame vigliaccheria in una parata accusatoria contro Matteo Salvini e contro l’Italia intera. Quegli studentelli gli erano stati affidati in quanto autista di scuola bus. Aveva caricato taniche di benzina e si era diretto verso Linate dove ambiva volare verso il paradiso dei martiri con circa 63 vergini. Si chiama Ousseynou Sy, 47 anni, e gli sono stati appioppati 24 anni di reclusione.
Ci ricordiamo tutti come i ragazzi poterono scamparla (foto di copertina: lo scuolabus in famme il 20 marzo 2019). Un paio di loro riuscirono, con molto sangue freddo, a nascondersi e poi a telefonare ai carabinieri, che bloccarono con una manovra rapidissima e perfetta il terrorista. La parola sembrava in effetti troppo grande per un simile dilettante dell’odio, solo perché dimentichiamo come gli attentati mortali in Francia, e quelli più recenti in Gran Bretagna abbiano avuto per protagonisti personaggi inconsistenti, a cui nessuno aveva attribuito capacità di stragista.
GUERRA POCO SANTA
Non ci vuole intelligenza, non siamo davanti ai “demoni” di Dostoevksij o agli anarchici di Conrad, filosofi praticanti del nichilismo assassino, ma a praticanti mediocri che vedono nei bambini (degli altri) fantoccetti che si possono gettare in un rogo.
La difesa pronunciata da Sy è sembrata la riproduzione neanche peggiore dal punto di vista sintattico delle accuse che si è soliti sentire e leggere da parte della sinistra comunista, dei grillini e persino di vescovi. Se lui ha agito è per legittima difesa di una umanità calpestata dai sovranisti e in generale dall’Occidente, ma soprattutto dalla lega e da Salvini nei panni di mistero dell’Intemo, quale era in effetti quando Sy tentò la strage.
Il terrorista della mutua, esibendosi ieri nell’aula bunker con una mascherina nera con la scritta «L’Africa non morirà mai», si è eletto vendicatore dei profughi maltrattati. Egli voleva e vuole «giustizia per tutte le famiglie che hanno visto i loro figli e i loro parenti lasciati morire davanti alle nostre coste». Con retorica da martire che si offre in olocausto ha dichiarato: «Se volete condannarmi fate pure, ma ricordatevi che il mio gesto aveva solo lo scopo di salvare vite umane, perché non se ne poteva più. Tutti i giorni vedevo orrori».
Si rivolge agli italiani, ma soprattutto lo fa per la platea del milione e mezzo di musulmani sul nostro territorio, e per farsi proteggere in carcere e nei successivi gradi di giudizio dalla vasta comunità degli islamici umiliati dal campione del male. Chi, secondo voi? «II piccolo duce, Matteo Salvini». Ha detto quello che ripetono ogni giorno le sinistre nelle sue varie componenti, e proprio ieri l’Arcivescovo Lorefice di Palermo [*].
Il movente dell’attentato insomma è stato fornito – a nostro sommesso avviso – non dagli atti di Salvini, ma dal giudizio sul blocco dei porti espresso dagli awersari politici del centrodestra, che hanno fornito irresponsabilmente alibi al terrorismo islamista.
ISPIRATO DA SAVIANO
Secondo lui la magistratura non ha fatto abbastanza (forse non ha letto le intercettazioni della chat di Palamara dove spingeva il procuratore di Agrigento a incriminare Salvini) per le persone della nave Gregoretti, «rimaste per giorni in mare». Ha detto: «il decreto Salvini uccide deliberatamente. Il fatto che siano rimasti in silenzio li ha resi complici, perché il silenzio uccide», ha spiegato citando quasi testualmente Roberto Saviano. Alla fine, Sy ha detto una cosa sensata quando ha definito «abnorme e ingiusta» la richiesta della condanna a 24 anni proposta dall’accusa e poi confermata dalla Corte d’Assise. Anche a noi sembra esagerata. Ma assai più «abnorme e ingiusto», e che nessuno in Italia osa chiamare con il suo nome, cioè puro tritolo ideologico ad uso di menti deboli, è il materiale di odio che ha ispirato la violenza di Sy e che tra noi circola non nei postriboli dell’orrore ma su giornali riveriti e in salotti televisivi luccicanti.

[*] L’Arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, nel discorso alla città in occasione del Festino di Santa Rosalia: “Come se il nostro malessere fosse una scusa buona per chiudere la porta in faccia a quanti, ancora una volta da noi, hanno ricevuto, dopo secoli di soprusi e di rapine, anche il virus che si trova sui barconi”.

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