Etica, onore, vergogna. Il valore di un gesto. “Solo la vittoria conta”… ne siamo sicuri?

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I tempi che viviamo sono caratterizzati principalmente dalla perdita dei valori e dalla mancanza del senso di vergogna. Visto che i valori vengono trasmessi lentamente, di generazione in generazione, possono essere perduti velocemente, in una generazione. In questi tempi, in cui sembra che figure istituzionali, leader politici e influencer sui social non provano alcuna vergogna, dobbiamo tutti chiederci: quali sono nostri valori, quale è nostro rapporto con l’etica, con l’onore… e con la vergogna? Ma soprattutto, ci impegniamo – ognuno nelle sue condizioni e con le sue possibilità – di non lasciare che i valori si perdano, con la testimonianza della propria vita? E cosa abbiamo fatto per insegnare questi valori ai nostri figli? Lo sport può aiutare in questo, spiegando ai figli, che lo sport non è solo quello che vedono in televisione.

Il ponte di Burlada.

Si sa che l’atletica è uno sport strettamente correlato con la prestazione e soprattutto con la posizione in una classifica finale. Si dice sempre che il nome del primo arrivato in una gara olimpica rimane nella storia, come anche quello del primo arrivato di una gara di paese. E così capita che già il secondo arrivato, conclusa la cerimonia di premiazione, cada nell’oblio e nel dimenticatoio, avendo conquistato una medaglia ma non di oro, anche se la sua prestazione certamente non aveva meno valore del primo.

Un esempio di cosa significa “onore” abbiamo avuto il 2 dicembre 2012, nella corsa campestre “Cross de Navarra de Burlada” nei pressi di Pamplona in Spagna, quando l’atleta basco Iván Fernández Anaya si è distinto per il suo secondo posto, per non aver vinto pur potendolo fare. Il suo era un gesto “semplice”, spontaneo e ricco di significato, che in tanti hanno saputo apprezzare (anche se non tutti…). L’ha raccontato Carlo Cantales il 22 gennaio 2013 su Atleticaleggera.org e Carlos Arribas su El País del 24 febbraio 2013.

Dopo una gara piuttosto impegnativa, giunti all’interno della pista di atletica nella quale era previsto l’arrivo della corsa, il keniano Abel Mutai, medaglia d’argento sui 3000 siepi ai Giochi Olimpici di Londra, si apprestava a vincere in scioltezza e solitudine. Al termine della curva era posizionato un arco gonfiabile, passato il quale l’atleta keniota pensava di aver completato il percorso, mentre invece, aveva ancora 100m da percorrere sino al seguente arco, quello dell’arrivo effettivo.

Proseguendo in una corsetta da simil-jogging nel corridoio transennato in cui si trovava, appariva alle sue spalle il secondo in gara, Iván Fernández Anaya. Entrati in dirittura d’arrivo, il basco vide il keniano rallentarsi prima del traguardo, pensando di aver già attraversato la linea. Fernández, giunto praticamente a pochi centimetri dal suo avversario, invece di sfruttare l’errore di Mutai ed accelerare il passo per di superarlo a pochi passi dal traguardo, lo incitava a riprendere a correre, indicandogli la linea d’arrivo, rallentando per transitare su di essa alle spalle di Mutai.

Un gesto davvero nobile, che merita più che mai di essere definito “sportivo” (aggettivo oggigiorno usato spesso a sproposito, anche da chi si occupa di allenamento e di comunicazione sportiva, e ha visto nel gesto di Fernández un fallimento, dal presupposto che “sportivo” vuol dire “vincere” con tutti i mezzi legittimi a disposizione).

Fernández è allenato a Vitoria dall’ex corridore spagnolo Martín Fiz nello stesso posto, il Parco del Prado, dove ha accumulato chilometri e chilometri di allenamento per diventare campione europeo della maratona nel 1994 e campione mondiale della maratona nel 1995. “È stato un ottimo gesto di onestà”, ha affermato Fiz. “Un gesto del tipo che non viene più realizzato. O meglio, del tipo che non è mai stato realizzato. Un gesto che io stesso non avrei fatto. Avrei approfittato dell’errore per vincere”. Fiz ha detto che l’azione del suo allievo gli fa credito in termini umani, se non atletici. “Il gesto lo ha reso una persona migliore, ma non un atleta migliore. Ha perso un’occasione. Vincere ti rende sempre più un atleta. Devi uscire per vincere”. Fiz ha ricordato che ai Campionati del mondo di Atene del 1997 fu seguito per tutta la corsa dal suo connazionale Abel Antón. Negli ultimi metri Antón ha attaccato e vinto facilmente la gara, sfruttando tutto il duro lavoro di Fiz. “Sapevo che sarebbe successo. Ma la concorrenza è così. Non sarebbe stato logico per Antón farmi vincere”.

Il video del finale della gara.

A fine gara del “Cross de Navarra de Burlada” un giornalista chiese a Fernández: ” Perché l’hai fatto?”.
Fernández rispose: “Il mio sogno è che un giorno potremo avere una specie di vita comunitaria”.
Il giornalista insistette: “Ma perché hai lasciato vincere il Kenya?”.
Fernández rispose: “Non l’ho lasciato vincere, lui stava per vincere”.
Il giornalista continuò ad insistere: “Ma avresti potuto vincere!”.
Fernández lo guardò negli occhi e tagliò corto: “Ma quale sarebbe il merito della mia vittoria? Quale sarebbe l’onore di questa medaglia? Cosa penserebbe mia madre? Anche se mi avessero detto che la vittoria mi avrebbe garantito un posto nella squadra spagnola per i campionati europei, non l’avrei fatto neanche. Naturalmente, sarebbe un’altra cosa se ci fosse in gioco una medaglia mondiale o europea. Quindi, penso che, sì, lo avrei sfruttato per vincere… Ma penso anche che avrei guadagnato più di un nome avendo fatto quello che ho fatto che se avessi vinto. E questo è molto importante, perché oggi, con il modo in cui vanno le cose in tutti gli ambienti: nel calcio, nella società, nella politica, in cui sembra che tutto sia permesso, un gesto di onestà è anche più importante”.

Una lezione magistrale cosa significano principi come valori, etica, onore… e vergogna.

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