L’idea che un governo vacilli sulla movida, segno della vacuità collettiva. L’uovo ha grandi poteri

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«L’idea che un governo vacilli sulla movida, non sulla recessione, non sul lavoro, non sul Mes, non su quel mercato di animali vivi in cui è stato trasformato il Csm, è la foto fedele di una vacuità collettiva che 50 mila morti, compresi i mal contati, non è riuscita a scalfire» (Gianfrancesco Turano [1]).

Allora parliamo di “movida” [2], iniziando con un testo (e la foto in copertina) dalla pagina Facebook di oggi 1° giugno 2020 del sociologo Alessandro Orsini [3] – che mi è stato segnalato da un amico di Benedetto del Tronto – e concludendo con “Diario del virus/72: movida” dal blog Ragù di capra di Gianfrancesco Turano su L’Espresso del 27 maggio 2020.

Movida a Milano.

Molti di voi non hanno la più pallida idea di che cosa sia la movida molesta del sabato notte e allora dovete darmi un secondo per spiegarvelo perché questa è questione di vita o di morte. Non sto parlando dei ventenni che parlano ad alta voce sotto il tuo palazzo mentre bevono il caffè. Sto parlando dell’inferno sulla Terra. Sto parlando di grida disumane da mezzanotte fino alle tre del mattino; sto parlando che queste grida disumane sono per lo più bestemmie violentissime contro Dio urlate talmente forte da coprire un raggio chilometrico; sto parlando di ragazzi in coma etilico; sto parlando di macchine danneggiate; sto parlando di resistenza a pubblico ufficiale e risse con coltelli. San Benedetto del Tronto è una delle città con la movida giovanile più molesta d’Italia. Da bravo sociologo, l’ho osservata, studiata, analizzata, e vi dico che non esiste alcuna possibilità di risolvere il problema. Il sindaco, Pasqualino Piunti, al quale esprimo la mia totale solidarietà, annuncia oggi una battaglia che perderà, per due ragioni. La prima è che i diciassettenni di oggi saranno i diciottenni cretini di domani. Il problema della movida si ripresenta ogni anno con l’arrivo dei nuovi maggiorenni autorizzati a bere. Se risolvi il problema nel 2020, ti si ripresenta uguale nel 2021. La seconda ragione è che i giovani cretini sono troppi, oltre a clonarsi ogni 12 mesi. Poliziotti e carabinieri, cui va la mia totale solidarietà, sono troppo pochi rispetto ai diciottenni bestemmianti e i luoghi della movida sono decine. Mi chiedete: e allora che cosa possiamo fare? Siamo condannati a subire prepotenza e danneggiamenti? La risposta è negli studi storici. Quando lo Stato non riesce a garantire la sicurezza, gli uomini si auto-organizzano.
Mi trovavo a Roma, zona centrale, dove c’è un piccolissimo locale che vende le bombe con la crema fino a notte fonda. Le urla erano DISUMANE. Io ero nel mezzo a osservare per porre a confronto tipi diversi di movida molesta nelle città italiane. A un certo punto, le ore 2 della notte circa, dalle grida infernali si è passati a un silenzio tombale. Un uovo era caduto nel mezzo della folla ubriaca e bestemmiante. I ragazzi atterriti hanno iniziato ad allontanarsi per paura di un secondo lancio mentre alzavano la testa alla ricerca di un nemico invisibile circondati da palazzi immensi di 700 piani. Ed io ho provato ammirazione per quell’umano con l’uovo in mano. Perché quell’umano ha condotto un’azione di guerriglia urbana in pieno stile militare. Ha calcolato:
1) la densità della popolazione nemica;
2) il tempo tra il lancio dell’uovo e l’impatto al suolo per potersi ritrarre dietro la finestra prima che si alzassero gli sguardi;
3) ha valutato che i palazzi circostanti sarebbero stati suoi complici omertosi in quei minuti di buio clandestino;
4) ha considerato che, se gli “insozzati” avessero chiamato la polizia, questa non avrebbe potuto fare niente contro l’umano con l’uovo in mano, ma sicuramente avrebbe fatto la multa a tutti quei motorini e a quelle macchine parcheggiate in ventesima fila e avrebbe anche identificato gli ubriachi di vent’anni bestemmianti e pure impasticcati.
Quell’umano con l’uovo in mano, dopo anni di abusi notturni, è andato alla riscossa sapendo che lo Stato italiano non può niente contro la movida giovanile molesta. Un uovo, un semplicissimo e bellissimo uovo, ha dischiuso una nuova alba radiosa per l’umanità.
Viva i carabinieri.
Abbasso i diciottenni ubriachi.
Alessandro Orsini
Facebook. 1° giugno 2020

Diario del virus/72: movida
di Gianfrancesco Turano
Ragù di capra 27 maggio 2020

Brutta la vecchiaia. Inizia dalla frase “io c’ero”. Quando entrò in uso il termine movida io c’ero: hay alguna movida, ci si chiedeva il giovedì, il venerdì e il sabato sera. Erano gli anni fra Ottanta e Novanta in Spagna quando, in effetti, si era già nella fase di transito dalla movida originale post-franchista dei primi film di Pedro Almodóvar alla sua degenerazione che fu definita del botellón. Consisteva in gruppi di studenti che si riunivano in piazze o giardini a consumare ingenti quantitativi di vino scadente, venduto appunto in bottiglioni, fino a raggiungere lo stato di ubriachezza nelle sue varie manifestazioni: molesta, ottusa, emetica e soprattutto comatosa fino a esiti letali.
Decenni dopo la movida resiste ed è diventato argomento di dibattito della Fase 2 in Italia fra chi minaccia l’intervento di un esercito da 60 mila effettivi spediti a controllare non si sa bene che cosa e chi dice son ragazzi, anche se è gente con cinquanta inverni sulla gobba.
L’aspetto più esilarante del dibattito è il suo inquadramento nell’antagonismo fra diritti civili e Stato oppressore ai tempi del Covid-19 con effetti sugli equilibri dell’esecutivo.
L’idea che un governo vacilli sulla movida, non sulla recessione, non sul lavoro, non sul Mes, non su quel mercato di animali vivi in cui è stato trasformato il Csm, è la foto fedele di una vacuità collettiva che 50 mila morti, compresi i mal contati, non è riuscita a scalfire.
Fra la scorsa domenica 24 maggio e il lunedì successivo le cronache hanno descritto il primo fine settimana di libertà con toni apocalittici: assembramenti umani, imbottigliamenti automobilistici, schiamazzi fino alle quattro di mattina, risse e l’occasionale coltellata al vicino di spritz.
Il tutto riferito al Sars-CoV-2 che, non per fare l’avvocato del virus, ma nell’amministrazione della movida non c’entra niente.
La vera domanda, come sempre tendenziosa, è la seguente. Quando si è fatta strada nella giurisprudenza l’idea che esista un diritto del cittadino, soprattutto se di marca forever young, di assembrarsi, imbottigliarsi, schiamazzare togliendo il sonno a quella categoria di imbecilli che si sveglia alle cinque per lavorare?
I migliori giuristi consultati da RdC rispondono che la movida è diventata una norma consuetudinaria prevalente sugli articoli del codice e dei regolamenti municipali. La ragione di fondo è economicistica. La movida è un pilastro del commercio, del turismo e di una serie di transazioni monetarie che, in larga parte, avvengono al riparo dal prelievo fiscale cioè esentasse. Questo flusso di denaro alimenta il bacino del cosiddetto sommerso, che è enorme e consente a una fetta di italiani un tenore di vita non giustificato dal bilancio entrate-uscite ufficiale.
Sul calcolo dell’economia in nero si sono avventurati in molti e nessuno è mai sceso sotto le decine di miliardi all’anno per l’Italia che, andando a memoria, è considerata il paese Ue con la maggiore quota di sommerso in percentuale dopo la Grecia (stessa faccia, stessa razza).
Ma la movida non è solo economia. È anche antropologia ed etologia. Negli anni della fine del franchismo, la gioventù dell’Europa democratica di destra o di sinistra era unita sull’idea che l’aperitivo fosse una cosa da vecchi, con un salto di due generazioni. Mio nonno prendeva l’aperitivo, o il suo equivalente dolciario. Mio padre, no.
I baby-boomer in fase adolescenziale lo avrebbero considerato degradante, anche al netto di una disponibilità di spesa media molto bassa.
Il Nord Europa presentava eccezioni. Il Regno Unito, specialmente, praticava il culto del pub dall’ora di uscita degli uffici alla fatidica campanella di chiusura h2300. Ma il Regno Unito, al tempo, non era ancora comunità europea così come non è più nell’Ue adesso.
L’idea che la movida vada repressa perché esiste il Covid-19, e non perché produca un flusso stabile di reati minori e a volte maggiori, non è mai affiorata in questi anni da parte di nessuna forza politica. Criticare la movida non significa soltanto mettersi contro i commercianti, che è già abbastanza grave, ma essere identificati con i regimi religiosi più soffocanti messi nell’elenco dei “piagnoni” di Savonarola.
Ci sarebbe un ampio spazio intermedio fra caos etilico e polizia religiosa dove regna quello strano animale chiamato autocontrollo. È un po’ quello che un padre di baby boomer disse al figlio nei ruggenti anni Settanta: «Non mi interessa se ti ubriachi. Ma se ti vedo ubriaco, ti stacco la testa». Ipocrisia essere-apparire? No. Addestramento a tenere imbrigliato mister Hide.
PS
Domenica 24 maggio nella zona del Lago d’Iseo è morto cadendo con il parapendio un cinquantottenne. Il 13 maggio era morto sotto una valanga in Valtellina un alpinista di 38 anni, molto bravo ed esperto.
La propensione al rischio è il vantaggio competitivo della specie umana su tutte le altre anche quando i motivi del rischio sembrano futili e, a parere di molti, completamente stupidi.
La movida non sembra essere parte di questa propensione, anche se comporta un rischio. Sulla stupidità è questione di gusti.
PPS
Per il povero alpinista si è letto che è stato ucciso da una valanga. Non per fare l’avvocato della valanga o il cattivo vicepreside, ma vorrei dire ai colleghi che la valanga può fare solo una cosa nella sua breve esistenza: cadere. L’omicidio non è nelle sue corde.

[1] Gianfrancesco Turano (Reggio Calabria, 1962). Prima di lavorare all’Espresso a Roma (novembre 2009) ha vissuto a Milano. Lì ha incominciato a lavorare a 18 anni come venditore porta a porta di enciclopedie di cui sconsigliava l’acquisto. Essendo riuscito nell’intento di non piazzarne neanche una, si è laureato in greco antico, ha fatto il traduttore, il drammaturgo e ha insegnato inglese in un istituto per parrucchieri. Ha pubblicato inchieste su corruzione, riciclaggio, finanza offshore e altre realtà propulsive per lo sviluppo economico. Ama il jazz per eredità di famiglia e gioca a calcio da centravanti incompreso. Ha scritto due saggi (Tutto il calcio miliardo per miliardo, 2007, Fuorigioco, 2012) e quattro romanzi: Ragù di capra, appunto (2005), Catenaccio (2006), L’ultima bionda (2007) e Remedia amoris (2009). Il quinto romanzo si intitola Contrada Armacà ed è uscito nel maggio 2014 con Chiarelettere.

[2] Movida, sostantivo femminile, partecipe passato del verbo spagnolo “mover” (muovere), quindi mossa, movimento e dall’aggettivo “movido” (movimentato). In particolare, dalla fine degli anni settanta, complesso processo di rinascita culturale della Spagna postfranchista, da poco ritornata alla democrazia, caratterizzata da grande vivacità culturale, economica, sociale e da una frizzante ripresa della vita mondana, fino agli anni novanta. Il termine ha poi via via perso tale connotazione culturale e socio-artistica, ed è tuttora utilizzato per estensione, come denominazione per lo più scherzoso del “divertimento” della vita mondana, culturale e artistica particolarmente ricca e vivace, specialmente serale e notturna di una città, con riferimento speciale a quella delle città spagnole, note per la loro animazione nelle ore tarde.
Con la pandemia di coronavirus, la movida è diventato per definizione l’insieme di comportamenti scellerati – di giovani e non – alla ricerca della tanta agognata “normalità”, con il rischio di una possibile risalita della curva del contagio. Strette di mano, abbracci, baci, spritz e vodka condivisi e nessuna distanza di sicurezza. Mascherine al mento, al collo, in mano, in tasca, come un oggetto superfluo, perché la morta da coronavirus è “solo roba da vecchi”. Segno di irresponsabilità, perché in queste condizioni, la movida può costare la vita ai propri cari. È la negazione della realtà, che la “normalità” non tornerà mai come prima, ma sarà caratterizzata da distanze di sicurezza e dispositivi di protezione individuali, per preservare chi a perdere la vita in terapia intensiva, sarà chi è più debole, di chi già sta lottando da tempo e di chi allo spritz e alla vodka distillata nelle fogne non si è dato. Questa è la verità, che neanche un certo terrorismo medico, che dichiara che il coronavirus è clinicamente irrilevante, può negare.

[3] Alessandro Orsini (Napoli, 1975). Professore Associato di Sociologia del terrorismo e Direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS presso Luiss Guido Carli, giornalista pubblicista. È stato membro della commissione per lo studio della radicalizzazione jihadista istituita dal governo italiano e dal 2011 è Research Affiliate al MIT (Massachusetts Institute of Technology) Center for International Studies di Boston. I suoi libri sono stati pubblicati dalla Cornell University di New York, tra le maggiori università americane, e i suoi articoli, tradotti in più lingue, sono apparsi sulle più importanti riviste scientifiche specializzate in studi sul terrorismo. È spesso ospite delle principali trasmissioni televisive e radiofoniche. Cura la rubrica domenicale Atlante per “Il Messaggero”. Tra i suoi libri: “Anatomia delle Brigate rosse” (Rubbettino 2009; Premio Acqui 2010; tradotto da Cornell University e selezionato tra i libri più importanti apparsi negli Stati Uniti nel 2011 dalla rivista “Foreign Affairs”; “Isis: i terroristi più fortunati del mondo e tutto ciò che è stato fatto per favorirli” (Rizzoli 2016; Premio Cimitile 2016); “L’Isis non è morto. Ha solo cambiato pelle” (Rizzoli 2018).

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