Le differenze tra cristiani sono un problema o una ricchezza?

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Nel periodo estivo aumentano i numeri dei pellegrini a Taizé. Oltre al numero vi è pure un aumento della diversità. Tra i giovani venuti da lontano, ci sono coloro venuti dalla Tailandia, Cina, Israele m anche dall’Iran, Afganistan e Pakistan. Numerosi volontari dell’Africa, Asia, America del Sud e del Nord, dall’Oceania e dall’Europa. Questi giovani si fermano a Taizé per qualche settimana o diversi mesi. Alcuni responsabili delle chiese hanno visitato la comunità: il pastore ganese Setri Nyomi, segretario generale della Comunione Mondiale delle Chiese Riformate, Mons. Minnerath, arcivescovo di Digione, diversi vescovi cattolici e anglicani dall’Inghilterra, Italia, Porto Rico, una professoressa ortodossa di Tessalonica, e P. Quicke del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. E frère Alois ha svolto i suoi incontri con i giovani sul tema dell’unità dei cristiani con una domanda molto importante sulla ‘nuova solidarietà: “Dobbiamo riconoscere che noi cristiani spesso offuschiamo questo messaggio di Cristo. In particolare, come possiamo irradiare la pace rimanendo divisi fra di noi?”

 

 

Il priore di Taizè ha analizzato la società attuale: “Il mondo di oggi assume l’individuo come punto di partenza. I nostri contemporanei hanno un forte senso di uguaglianza, vedi somiglianza, fra tutti gli umani, e sono impazienti con tutte le distinzioni naturali o culturali. Ognuno dovrebbe essere potenzialmente in grado di fare tutto, essere libero di inventare la propria esistenza. Un tale atteggiamento conduce, nella vita reale, ad una esaltazione della diversità. L’identità tra tutti sembra ovvia, ma in realtà è la pluralità che vince”. Questa visione non favorisce la comunione, tanto che frère Alois si domanda qual è il ‘collante’ in grado di connettere tutte le unità identiche e separate; lo stesso accade nella vita della Chiesa e l’unità rimane teorica: “Ecco alcuni cercano, per reazione, d’imporre un’uniformità e di escludere ciò che non entra nello stesso stampo. La visione biblica può risolvere questa situazione di stallo.

Essa non parte dal singolo, ma da un Dio di amore che chiama gli esseri all’esistenza. E non li chiama uno per uno, ma proprio per un progetto comune. È Cristo Gesù che ci rivela questo progetto: che l’umanità accoglie la vita stessa di Dio, fonte di amicizia universale, per formare un solo corpo. In questa prospettiva, ogni persona ha un ruolo unico da giocare, dei doni unici da far fruttificare, ma sempre all’interno di una comunione inglobante. Non devo fare tutto, avere tutto, dal momento che gli altri suppliscono alle mie mancanze. Ho anche bisogno di loro perché da solo non riuscirei a cavarmela. Allo stesso tempo, il mio contributo è essenziale per il progresso del tutto”.

Ma quale è il compito del cristiano? Frère Alois ricorre all’immagine del corpo e le membra di san Paolo: “Questa metafora collega una grande diversità a una forte unità. Se la mano volesse ad ogni costo essere la testa o il cuore il piede, l’intero corpo non funzionerebbe più. E anche i membri che sembrano più insignificanti hanno una funzione assolutamente necessaria. In realtà, non si deve neanche parlare di un membro più grande o più piccolo, perché non si tratta di una competizione, ma di una sola vita condivisa. Un cristiano non deve aver paura dei propri limiti o negare le differenze che lo costituiscono. Sapendo che non crea la propria vita da zero, tocca a lui scoprire i doni specifici datigli da Dio per farli crescere. Egli deve mettere questi doni al servizio di tutto il Corpo. Lo stesso vale, inoltre, per le varie comunità cristiane. Il loro ‘diritto alla differenza’ ha senso solo all’interno del progetto globale di Dio di ‘ricondurre al Cristo tutte le cose’. Se perdiamo di vista questa comunione universale, le differenze possono anche essere un problema. All’interno di questo progetto, al contrario, esse sono una ricchezza, riflesso della ‘multiforme grazia di Dio’…

La parola ekklesia appare più di duecento volte nella Bibbia greca che leggevano la maggior parte dei cristiani dei primi secoli. Ciò che può sorprenderci, è che si trova nell’Antico quasi tante volte come nel Nuovo Testamento. Nella versione greca dell’Antico Testamento, ekklesia designa in generale l’assemblea del popolo di Dio. Nel Nuovo Testamento, ekklesia designa sia un’assemblea locale sia l’insieme dei cristiani. Tuttavia ci sono delle eccezioni interessanti. Luca, autore di un vangelo e degli Atti degli Apostoli, l’utilizza anche per l’assemblea di una città. Ekklesia non era dunque riservato a un uso religioso. Il termine evocava la vita delle città greche con le loro assemblee, dove si discutevano gli affari pubblici”. E dopo un excursus biblico frère Alois chiude la riflessione le lettere di Clemente, vescovo di Roma, e d’Ignazio, vescovo d’Antiochia: “I cristiani formano delle comunità concrete. Però per Ignazio come per Paolo, il più bel termine è ‘chiesa’. Infatti in questa parola l’accento non va sull’intendenza di una comunità, ma sulla chiamata universale del vangelo di Cristo. E l’attributo ‘cattolica’ sottolinea che un solo e medesimo vangelo, in ogni luogo e in ogni tempo, chiama all’unica comunione di Cristo”.

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