Il volto e la maschera

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Nella vita di una persona ci sono eventi e momenti che colpiscono per la loro intensità. Alcuni di questi segnano l’animo per lungo tempo, ma poi si dimenticano; altri, invece, restano indelebili, tanto da diventare parte integrante della vita.

Ci sono momenti nei quali – come dice il salmista – la nostra lingua, incollata al palato, è come coccio arido incapace di cantare le lodi della gioia più incontenibile.

Ci sono giorni in cui non si ha nemmeno la forza di elevare lo sguardo all’orizzonte per scoprire la nube che, durante il cammino di marcia nelle aride steppe del Sinai, aveva protetto Israele dall’ardore del sole che tutto brucia e tutto dissecca.

Eppure, nel deserto dell’anima, Dio s’incontra con l’uomo e fa discendere le salubri stille di rugiada della sua consolante protezione per fare rivivere i divini fremiti dell’amore e così risvegliare la speranza nelle attese della vita.

 

 

Ci sono occasioni in cui, guardandoti attorno, ti domandi come mai un certo tipo di “credenti” possieda la deprecabile arte d’appiattire, con fredda prassi ”iperecclesiastica”, ciò che nel vissuto di nostro Signore è così vivo, così spontaneo, così umano: Intuitus… dilexit! Questo è lo stile degli incontri di Gesù con le persone che gli stavano intorno: sguardo interiore che, attraverso la luminosità degli occhi, legge le profondità del cuore instaurando quel vero rapporto d’amore espresso in tutte le sue naturali declinazioni.

L’esperienza insegna che, aldilà del ruolo di “fare il credente”, c’è lo stile di “essere credente”; ciò comporta due modi diversi di incontrarsi con gli altri. L’”essere credente” ti fa incontrare con gli altri manifestando il tuo volto, che è trasparenza di cuore. “Fare il credente” porta a manifestarti agli altri con la maschera, che è apparenza di ruolo.

La verità dell’incontro rimane indelebile quando si realizza con quello sguardo che è trasparenza del cuore. Soltanto quest’incontro rimane in te e diventa parte integrante della tua vita.

L’uomo sapiente sa che, in ciascuno di quelli che incontriamo, c’è il Dio sconosciuto che attende e che scopriamo affinché si possa manifestare. Esistono sguardi che rivelano limpida fede e dimostrano profondo amore. Occorre credere e amare per vedere e percepire bene. Talvolta, però, l’accecamento della routine quotidiana, non permette più di guardare o di essere guardati da quelli che abitualmente ci stanno intorno.

Chi non sa, può sempre imparare; chi crede di sapere, rimane sempre nell’ignoranza. Chi non crede, può convertirsi alla fede; chi crede di credere rischia di rimanere ateo. Quanti “credenti atei” s’incontrano giornalmente nei luoghi in cui si vive! Dai loro sguardi che fingono di non vederti, manifestano il loro stile di vita improntata da “fede” anti-evangelica. Nella sua Nazareth, Gesù non poté compiere nessun miracolo perché mancavano attenzione e ammirazione verso di Lui. Lì dove trovava sguardo fiducioso e apertura di cuore, l’incontro operava prodigi: ”La tua fede ti ha salvato”.

Per vivere lo stile di vita cristiana è necessario sradicare dal cuore quella malefica pianta che si chiama ipocrisia. Nel Vangelo, i farisei sono violentemente bollati dal Signore proprio perché vivono nell’ambiguità del comportamento. Fariseo significa separato. Il suo volto è maschera che divide e scomunica. La maschera è l’oggetto della “non visibilità”. Indossa la maschera soltanto chi fa teatro o chi partecipa al carnevale. Il volto, invece, è dono sublime di Dio che ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Chi indossa la maschera distrugge questo volto perché ha paura di essere fissato negli occhi e di farsi riconoscere, perché, attraverso lo sguardo, si legge nel cuore.

Intuitus…dilexit. Lo sguardo sarà chiaro se la lampada del Figlio dell’uomo renderà il tuo occhio limpido e luminoso. La vita spirituale veramente evangelica esige questa sincerità del cuore che si manifesta nella luminosità del volto.

Nell’incontro interpersonale, talvolta, certa tendenziale malefica schizofrenia insidia il limpido rapporto “cuore a cuore” che spesso degenera in una patologia cronica perversa, inquietante e distruttiva.

Intuitus… dilexit! Ogni forma d’ipocrisia è dissolta dallo sguardo luminoso del cuore capace d’intessere ogni vero rapporto d’amore profondo e fecondo.

Nel 1855, il beato Newman aveva colto questa frase in una lettera che san Francesco di Sales aveva scritto all’arcivescovo di Bourges:

Quantum vis ore dixerimus,

sane cor cordi loquitur,

lingua non nisi aures pulsat.

La sincerità del cuore e non l’abbondanza delle parole tocca il cuore degli uomini; la lingua fa vibrare soltanto i timpani.

Perché si possa realizzare il miracolo della concordia tra fratelli, figli dello stesso Padre, occorre praticare l’accoglienza della “simpatia” e vivere la fede nell’alveo di quell’amore agapico il cui maestro e modello rimane il nostro Signore Gesù.

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