La Siria nel decimo anno di guerra nel racconto di Asmae Dachan

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Sono 5 i casi confermati di pazienti positivi al tampone in Siria dove il timore è la situazione in cui versa il sistema sanitario siriano. Nel frattempo la guerra è entrata nel suo decimo anno, ed il conflitto ha causato oltre 400.000 morti: è il più gran numero di profughi dalla Seconda guerra mondiale, con più della metà della popolazione costretta a spostarsi all’interno del Paese o a fuggire oltre frontiera. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha diffuso cifre che dipingono un quadro drammatico.

Secondo l’Unicef, 4.800.000 bambini sono nati sotto le bombe da quando il conflitto è iniziato ed un altro milione sono nati come rifugiati nei Paesi vicini e continuano ad affrontare le devastanti conseguenze di una guerra brutale. Inoltre secondo il fondo dell’Onu per l’infanzia, 7.500.000 milioni bambini hanno bisogno di aiuto urgente.

Inoltre secondo i dati verificati dal 2014 al 2019, più di 9000 bambini sono stati uccisi o feriti nel conflitto; quasi 5000 bambini, alcuni anche piccolissimi, sono stati reclutati nei combattimenti; quasi 1000 strutture scolastiche e mediche sono state attaccate.

Oltre 2.800.000 bambini non frequentano la scuola in Siria e nei Paesi vicini; oltre due terzi dei bambini con disabilità fisiche o mentali richiedono servizi specializzati che non sono disponibili nella loro zona; quasi 20.000 bambini sotto i 5 anni sono colpiti da malnutrizione acuta grave e in serio pericolo di vita; un terzo delle madri in stato di gravidanza o in allattamento nel nord-ovest della Siria sono anemiche.

Davanti a queste cifre il papa durante le udienze generali ha più volte lanciato appelli a favore della popolazione siriana, chiamandola ‘amata e martoriata Siria sanguina da anni’.

Per comprendere meglio la situazione siriana abbiamo contattato la giornalista e Cavaliere della Repubblica, Asmae Dachan, di origine siriana e residente nelle Marche, chiedendo perché il papa è difficilmente ascoltato negli appelli per la pace in Siria:

“In questi lunghi e difficili anni di guerra, quella di Papa Francesco è stata una delle poche voci tra quelle dei leader mondiali ad elevarsi continuamente per invocare la pace in Siria. Sin dalla sua elezione il Pontefice si è dimostrato vicino ai civili di ogni etnia e religione, rivolgendo diversi appelli per la fine delle ostilità e per l’unità della Siria, non ultimo quello per Idlib.        

 Le sue parole hanno sempre accarezzato i cuori di tutti i civili sofferenti, ma evidentemente sono scivolate nell’indifferenza di chi poteva decidere.  E’ difficile dare una risposta, anche perché il Papa si esprime con spirito costruttivo, inclusivo, condannando le violenze e gli abusi di tutte le parti coinvolte e le sue parole sono quelle che ogni persona vorrebbe ascoltare. In Siria, purtroppo, invece di tutelare i diritti umani, si procede per accordi di natura strategica, economica, geo-politica. Il rischio, dopo oltre nove anni, è che si consegnino i morti all’oblio e prevalgano logiche di potere”.

Quale è la situazione in Siria a 10 anni dall’inizio del conflitto?

“E’ una situazione complessa. La maggior parte del territorio siriano è tornato sotto il controllo del governo centrale; una parte del nord est è controllata dai Curdi, mentre alle forze di opposizione, sostenute dal governo turco, resta ormai solo la città di Idlib. Qui sono giunti da ogni parte della Siria circa 3.000.000 di sfollati che volevano attraversare la frontiera ma sono rimasti intrappolati lì in condizioni di grave precarietà”.

Dopo 10 anni esiste la speranza per la pace?

“In questi anni i siriani hanno subito una violenta repressione, bombardamenti indiscriminati, azioni terroristiche. La popolazione ha conosciuto la paura, l’assedio, la persecuzione, subendo privazioni e abusi di ogni genere. Diversi rapporti hanno documentato il ricorso alla tortura e alla violenza di genere come armi di guerra. Un’intera generazione è stata privata del diritto all’infanzia, all’istruzione, alla cura. La popolazione siriana esce da questi nove anni distrutta, divisa, provata. Oltre 6.000.000i di siriani sono profughi fuori dalla Siria; altrettanti sono gli sfollati interni. Quando l’Onu ha smesso di contare le vittime, queste erano oltre 500.000.       

La Siria, un tempo emblema della convivenza tra diverse etnie e confessioni, oggi è un Paese ridotto in macerie. Le città verranno ricostruite, ci sono già appalti miliardari che sono stati assegnati, ma quello che richiederà più tempo sarà la ricostruzione del tessuto sociale siriano. Bisognerà assicurare i criminali di guerra alla giustizia e poi lavorare tutti insieme per risanare le ferite, ridando speranza alle nuove generazioni e facilitando la riconciliazione. Queste sono le premesse su cui potrà fiorire il seme della pace”.

Come è vista la guerra in Siria in Occidente?

“L’Occidente ha guardato alla Siria distrattamente, senza mai promuovere un’iniziativa di pace concreta che non venisse stroncata in sede Onu dai veti di Russia e Cina. Anche i Paesi arabi, che pure hanno avuto un coinvolgimento diretto negli eventi bellici, non si sono mai assunto la responsabilità di un progetto di pace. In questi nove anni di violenze sulla Siria si è discusso molto in termini di geopolitica, ma poco in termini di diritti umani”.

Quale è la posizione dell’Europa nei confronti dei profughi siriani?

“L’Europa ha accolto molti profughi siriani, che sono stati generalmente ben inseriti. Germania e Svezia, sono i Paesi con il numero più alto di siriani, arrivati in particolare tra il 2013 e il 2015 attraverso la cosiddetta rotta balcanica. Poi sono stati costruiti muri e innalzato filo spinato e molte persone sono rimaste intrappolate sulle isole greche in condizioni disumane. Di loro la politica non si cura minimamente.

Ci sono sforzi notevoli di Ong che provvedono a fornire assistenza medica e sostegno alle famiglie accampate nelle diverse tendopoli. Molti profughi sono arrivati in Italia via mare e, dopo aver attraversato il Paese, hanno poi raggiunto il nord Europa.

Altri, invece, sono arrivati legalmente e in sicurezza grazie ai ponti aerei organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Chiesa Valdese, che hanno attivato corridoi umanitari, permettendo a molte famiglie siriane di iniziare qui una nuova vita. Possiamo dire che ogni Paese ha agito da solo e che la mancanza di una politica europea comune si è sentita. Oggi se ne vedono le conseguenze drammatiche in Grecia”.

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