La Resurrezione secondo Ratzinger

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“Gesù non è tornato in una normale vita umana di questo mondo, come era successo a Lazzaro e agli altri morti risuscitati da Gesù. Egli è uscito verso una vita diversa, nuova – verso la vastità di Dio e, partendo da lì, Egli si manifesta ai suoi”. Notte di Pasqua. Benedetto XVI è sceso fin sul sagrato della Basilica di San Pietro. Lì, ha benedetto il fuoco e l’acqua. Da lì è cominciata la celebrazione della notte più importante dell’anno: la notte della Resurrezione. Ed è stato il capitolo della Resurrezione quello cui Benedetto XVI, nel suo secondo volume di Gesù di Nazaret, ha dedicato più tempo. La resurrezione è la chiave del cristianesimo. È l’apertura verso una vita diversa, nuova, verso la vastità di Dio. Le parole di Joseph Ratzinger sulla Resurrezione sono tutte da leggere. Lì è condensato il pensiero di Joseph Ratzinger. Lì è condensato il pensiero della cristianità.

 

Una cristianità che non può che stupirsi di fronte a un qualcosa di completamente nuovo, come la Resurrezione. “Ciò – scrive Benedetto XVI – era anche per i discepoli una cosa del tutto inaspettata, di fronte alla quale ebbero bisogno di tempo per orientarsi. È vero che la fede giudaica conosceva la risurrezione dei morti alla fine dei tempi. La vita nuova era collegata con l’inizio di un mondo nuovo e in tale prospettiva era anche ben comprensibile: se c’è un mondo nuovo, allora lì esiste anche un modo nuovo di vita. Ma una risurrezione verso una condizione definitiva e differente, nel bel mezzo del mondo vecchio che continua ad esistere – questo non era previsto e pertanto inizialmente neanche comprensibile. Per questo la promessa della risurrezione era in un primo tempo rimasta inafferrabile per i discepoli”.

Con Gesù, tutto è nuovo. Nessuno aveva pensato ad un Messia crocifisso, e “il fatto era lì – scrive Ratzinger – e in base a tale  fatto occorreva leggere la scrittura in modo nuovo”. È il processo della fede che si è sviluppato in tutti i tempi. La teologia – e Ratzinger ne è consapevole – non è altro che il tentativo, sempre perfettibile, di raccontare il mistero di Gesù. Per questo, il Papa ha slegato il Gesù di Nazaret dal Magistero, e lo ha voluto firmare con il nome di Joseph Ratzinger.

È l’annuncio di questa novità del Vangelo che è uno dei temi fondanti del Magistero di Benedetto XVI. Perché la Scrittura si è dischiusa in modo nuovo partendo dall’inatteso. “La nuova lettura della Scrittura, ovviamente – scrive Ratzinger – poteva cominciare soltanto dopo la risurrezione, perché soltanto in virtù di essa Gesù era stato accreditato come inviato di Dio. Ora si dovevano individuare ambedue gli eventi – croce e risurrezione – nella Scrittura, comprenderli in modo nuovo e così giungere alla fede in Gesù come Figlio di Dio. Questo, peraltro, presuppone che per i discepoli la risurrezione fosse reale come la croce. Presuppone che essi fossero semplicemente sopraffatti dalla realtà; che dopo tutta la titubanza e la meraviglia iniziali non potessero più opporsi alla realtà: è veramente Lui; Egli vive e ci ha parlato, ci ha concesso di toccarlo, anche se non appartiene più al mondo di ciò che normalmente è toccabile”.

Si può rileggere non solo il Magistero papale di Benedetto XVI, ma la straordinaria avventura del teologo Joseph Ratzinger, come una ricerca della chiave per comprendere il mistero della Resurrezione e per calarla nei tempi, nelle persone, nella Chiesa di oggi. Sin dai tempi della sua tesi di dottorato su San Bonaventura (diventata un libro: San Bonaventura. La teologia della storia).

Era il tempo di Gioacchino da Fiore, del movimento dei francescani conventuali, all’interpretazione della storia come trinitaria che andava oltre la rivelazione dell’Antico Testamento e all’interpretazione della figura di Francesco, umile e intimamente unito alla Chiesa, come iniziatore dei temi nuovi, con il rischio che il messaggio di Francesco fosse frainteso. E Bonaventura risponde a questo moviment. Sa che la figura di Francesco, così diversa dal monachesimo precedente, necessitasse di una interpretazione nuova;  si rende conto che c’è a necessità pratica di avere un fondamento teologico perché le nuove  strutture fossero inserite nella realtà della Chiesa gerarchica, e della Chiesa reale; sa che non si deve perdere la novità della figura di Francesco, seppur con realismo.

E Bonaventura concilia le posizioni, ricorda che Gesù Cristo è l’ultima parola di Dio – in lui Cristo ha detto tutto, donando e dicendo se stesso – ma come allo stesso tempo la Chiesa non sia immobile, ha continue novità. Perché Cristo non è la fine della storia, ma il centro della storia.

Comincia da questa consapevolezza, da questo metodo che concilia il nuovo con Cristo, il rinnovamento con l’aderenza alla Chiesa, i padri della Chiesa con la modernità, comincia da qui lo sviluppo del pensiero di Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI.

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