L’appello dell’Avis: donate sangue

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E’ iniziata con l’estate la prima ondata di ‘secca’ sul fronte del sangue, peraltro in anticipo rispetto agli anni precedenti. Gli appelli di regioni storicamente autosufficienti, quali la Toscana e l’Emilia Romagna, già nei primi giorni di giugno, hanno allertato il sistema che è corso ai ripari per gestire la compensazione interregionale.

Con un migliaio di unità di sangue alla settimana in più già potremmo respirare, il doppio ci permetterebbe di essere sereni” – aveva affermato Grazzini dopo l’emergenza che costrinse ospedali come il Careggi di Firenze, il Sant’Orsola di Bologna e il Niguarda di Milano, a sospendere a scopo cautelativo gli interventi programmati, per garantire le urgenze.

Le mille unità rappresentano un piccolo aumento percentuale sulle 46 mila unità donate adesso settimanalmente, ma permetterebbero al Sistema Sanitario Nazionale di evitare di posporre interventi di chirurgia d’elezione, nei quali a seconda della complessità si utilizzano, da 2 a 10 sacche, in casi eccezionali anche venti. Tra le Regioni in crisi che sostenevano con le loro eccedenze il sistema sangue, prima ancora che la rete nazionale fosse disciplinata attraverso la Legge 219/2005, si trova l’Emilia Romagna, il cui indice di produzione è il più alto d’Italia (58,6/1000 ab.).

Una situazione contingente che tende però a diventare strutturale, perché crescono gli utilizzi. “I progressi in campo medico-scientifico giocano un ruolo importante – dichiara Paolo Zucchelli, Responsabile del Centro di Coordinamento di Medicina Trasfusionale della Regione Emilia Romagna- se si pensa per esempio, che un fegato da trapiantare può essere suddiviso in due e quindi essere impiantato in due pazienti, si comprende che il bisogno di sangue raddoppia.

Per non parlare dell’allungamento della vita media e del bisogno di trasfusioni dei grandi anziani che più facilmente vanno incontro a malattie degenerative del midollo osseo, o hanno bisogno di artroprotesi d’anca o di cure oncologiche. Altro aspetto da non sottovalutare è che oggi si affacciano alla donazione i giovani che sono nati nei periodi di contrazione demografica, per cui manca ricambio pure per un evidente deficit numerico”.

Al riguardo, occorre sottolineare che l’attuale indice di donazione di globuli rossi per donatore è pari a circa 1,6 ( ogni donatore effettua, mediamente 1,6 donazioni l’anno sulle 4 consentite per l’uomo e 2 per la donna) , uno dei più bassi europei a tenore socio-economico comparabile a quello italiano. Esiste la consapevolezza, da parte delle autorità sanitarie italiane che, ferma restando l’assoluta necessità di reclutare in continuo nuovi donatori, soprattutto nella fascia giovanile, e di gestire con la massima appropriatezza l’utilizzo clinico del sangue, un incremento dell’indice di donazione dei donatori periodici già attivi di solo 0,05 (da 1,6 a 1,65) produrrebbe la disponibilità, su base annua, di circa 75.000 unità in più.

Intanto, l’Avis del Lazio ha fatto appello anche agli extracomunitari per donare il sangue: “Il sangue è uguale per tutti (questo lo slogan dell’iniziativa promossa da Avis Lazio), perché non chiederlo anche agli immigrati che vivono sul nostro territorio? D’altra parte, l’integrazione non si fa solo lavorando e pagando le tasse”, spiega il vice-presidente della sezione laziale, Riccardo Mauri. Anche la Lombardia cerca di coinvolgere gli extracomunitari; a riguardo Silvia Pollari afferma: “Non sappiamo quanti sono i nostri donatori stranieri perché, pur facendo campagne mirate, non li sottoponiamo a trattamenti (nemmeno statistici) diversi dagli altri”. Insomma anche gli extracomunitari partecipano alla nostra salute.

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