Papa ai giovani giapponesi: salite la montagna

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La penultima giornata del papa in Giappone è stata dedicata ad incontrare i giovani, iniziata in forma privata con 20 giovani appartenenti al programma ‘Scholas Occurrentes’ e terminata con la celebrazione eucaristica a Tokyo Dame.

Incontrando i ragazzi giapponesi coinvolti nelle iniziative di ‘Scholas Occurrentes’ il papa ha ascoltato i racconti del loro impegno nello studio, che vivono come missione perché il mondo sia più giusto e senza guerra, e dell’incontro con gente di culture diverse. Dopo un breve saluto di José Maria del Corral, presidente di ‘Scholas Occurrentes’, il papa ha rivolto alcune parole, ringraziando per la testimonianza e per la creatività:

“Saggezza non è avere idee, ma esprimersi con tre linguaggi: quello della mente, le idee, quello del cuore, ciò che sento, e quello delle mani, ciò che faccio: nel vostro dipinto avete usato i tre linguaggi; quando si usano armonicamente i tre linguaggi, uno è veramente creativo”.

Nella messa che ha concluso la giornata papa Francesco ha invitato i giovani a riconsiderare le scelte quotidiane per non restare intrappolati o isolati nella ricerca del successo ad ogni costo, sulla base evangelica del ‘discorso della montagna’:

“La montagna è il luogo dove Dio si manifesta e si fa conoscere: ‘Sali verso di me’, disse a Mosè. Una montagna la cui cima non si raggiunge col volontarismo o il carrierismo, ma solo con l’attento, paziente e delicato ascolto del Maestro in mezzo ai crocevia del cammino. La cima si trasforma in pianura per regalarci una prospettiva sempre nuova su tutto quello che ci circonda, centrata sulla compassione del Padre.

In Gesù troviamo il culmine di ciò che significa l’umano e ci indica la via che ci conduce alla pienezza capace di sorpassare tutti i calcoli conosciuti; in Lui troviamo una vita nuova, nella quale sperimentare la libertà di saperci figli amati”.

Ha quindi richiamato le testimonianze dei giovani nell’incontro precedente: “Qui in Giappone, in una società con un’economia molto sviluppata, mi facevano notare i giovani questa mattina, nell’incontro che ho avuto con loro, che non sono poche le persone socialmente isolate, che restano ai margini, incapaci di comprendere il significato della vita e della propria esistenza.

Casa, scuola e comunità, destinate ad essere luoghi dove ognuno sostiene e aiuta gli altri, si stanno sempre più deteriorando a causa dell’eccesiva competizione nella ricerca del guadagno e dell’efficienza. Molte persone si sentono confuse e inquiete, sono oppresse dalle troppe esigenze e preoccupazioni che tolgono loro la pace e l’equilibrio”.

Nell’omelia il papa ha invitato i giovani a vedere le cose essenziali: “Il Signore non ci dice che le necessità di base, come il cibo e i vestiti, non siano importanti; ci invita, piuttosto, a riconsiderare le nostre scelte quotidiane per non restare intrappolati o isolati nella ricerca del successo ad ogni costo, anche a costo della vita.

Gli atteggiamenti mondani, che cercano e perseguono solo il proprio tornaconto o beneficio in questo mondo, e l’egoismo che pretende la felicità individuale, in realtà ci rendono solo sottilmente infelici e schiavi, oltre ad ostacolare lo sviluppo di una società veramente armoniosa e umana”.

Al termine dell’omelia ha invitato i giovani ad essere ‘ospedale da campo’: “Di fronte a questa realtà, siamo invitati come comunità cristiana a proteggere ogni vita e a testimoniare con sapienza e coraggio uno stile segnato dalla gratuità e dalla compassione, dalla generosità e dall’ascolto semplice, uno stile capace di abbracciare e di ricevere la vita così come si presenta ‘con tutta la sua fragilità e piccolezza e molte volte persino con tutte le sue contraddizioni e mancanze di senso’…

L’annuncio del Vangelo della Vita ci spinge ed esige da noi, come comunità, che diventiamo un ospedale da campo, preparato per curare le ferite e offrire sempre un cammino di riconciliazione e di perdono. Perché per il cristiano l’unica misura possibile con cui giudicare ogni persona e ogni situazione è quella della compassione del Padre per tutti i suoi figli”.

Nel mezzo è avvenuto l’incontro nella cattedrale ‘Santa Maria’, aperto dalle testimonianze di tre giovani, un cattolico, un buddista ed un migrante. Miki Kobayashi ha illustrato al papa il funzionamento della società giapponese: “La società giapponese sottolinea la produttività, quindi ritengo che il Giappone sia un paese molto impegnato nel lavoro.

Sfortunatamente, in tale società, ci sono poche persone che pensano che sia prezioso prendersi del tempo per fare una pausa e riflettere su sé stessi e semplicemente pregare… In Giappone solo una minoranza crede in Dio e i giovani potrebbero non essere in grado di scoprire il significato della fede se non vedendo altre persone che vivono grazie alla loro fede. E’ triste che non sia facile trovare i modelli o gli esempi di fede viva che i giovani cercano”.

Mentre Leonardo Cachuela, giovane migrante filippino, ha raccontato la sua storia: “E’ stato molto difficile per noi vivere in un altro paese. Non sapevamo parlare la lingua e c’erano differenze nella cultura e nei costumi. Ma il problema che mi faceva soffrire di più era il bullismo. Quando ero uno studente delle scuole elementari e medie, io ero vittima di bullismo da parte di un ragazzo della stessa classe…

Tuttavia sono stato tante volte salvato dalle persone della parrocchia e ascoltando la parola di Gesù. C’erano volte in cui andavo in Chiesa la domenica e mi sentivo davvero a mio agio… Il bullismo è ora un grosso problema non solo in Giappone, ma anche in tante altre parti del mondo. Inoltre, i luoghi in cui si verifica il bullismo si stanno espandendo dalle scuole a internet. Ci sono tante persone che vogliono solo vivere felici, ma in realtà sopravvivono”.

Nel dialogo il papa ha preso spunto proprio dalla testimonianza di Leonardo per ribadire la necessità di testimonianza, infondendo coraggio: “Chi fa bullismo è un pauroso, e la paura è sempre nemica del bene, per questo è nemica dell’amore e della pace. Le grandi religioni (tutte le religioni che ognuno di noi pratica) insegnano tolleranza, insegnano armonia, insegnano misericordia; le religioni non insegnano paura, divisione e conflitto…

Per molti di noi guardare alla vita di Gesù ci permette di trovare conforto, perché Gesù stesso sapeva cosa significa essere disprezzato e respinto, persino fino al punto di essere crocifisso. Sapeva anche cosa significa essere uno straniero, un migrante, uno ‘diverso’. In un certo senso Gesù è stato il più ‘emarginato’, un emarginato pieno di Vita da donare.

Leonardo, possiamo sempre guardare a tutto ciò che ci manca, ma possiamo anche scoprire la vita che siamo in grado di dare e di donare. Il mondo ha bisogno di te, non dimenticarlo mai; il Signore ha bisogno di te perché tu possa dare coraggio a tanti che oggi chiedono una mano, per aiutarli a rialzarsi”.

Riprendendo una frase di Madre Teresa sulla solitudine il papa ha invitato i giovani a sognare: “Ci sono giovani che non sognano più. E’ terribile un giovane che non sogna, un giovane che non fa spazio al sogno, per far entrare Dio, per far entrare i desideri ed essere fecondo nella vita. Ci sono uomini e donne che non sanno più ridere, che non giocano, che non conoscono il senso della meraviglia e della sorpresa.

Uomini e donne che vivono come zombi, il loro cuore ha smesso di battere. Perché? A causa dell’incapacità di celebrare la vita con gli altri. Ascoltate questo: voi sarete felici, sarete fecondi se conservate la capacità di festeggiare la vita con gli altri. Quanta gente nel mondo è materialmente ricca, ma vive come schiava di una solitudine senza eguali!” 

Concludendo l’incontro il papa ha invitato i giovani ad ascoltare Dio attraverso l’esercizio della preghiera: “Una riflessione che può aiutarci: per mantenerci fisicamente vivi, dobbiamo respirare, è un’azione che eseguiamo senza accorgercene, tutti respiriamo automaticamente.

Per rimanere vivi nel senso pieno e ampio della parola, dobbiamo anche imparare a respirare spiritualmente, attraverso la preghiera, la meditazione, in un movimento interno, attraverso il quale possiamo ascoltare Dio, che ci parla nel profondo del nostro cuore.

Ed abbiamo anche bisogno di un movimento esterno, col quale ci avviciniamo agli altri con atti di amore, con atti di servizio. Questo doppio movimento ci permette di crescere e di riconoscere non solo che Dio ci ha amato, ma che ha affidato a ciascuno di noi una missione, una vocazione unica e che scopriremo nella misura in cui ci doniamo agli altri, a persone concrete”.

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