Davide Rondoni ed il ‘naufragar’ leopardiano

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“E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare”.

Davide Rondoni, poeta e scrittore nonché fondatore del Centro di poesia contemporanea di Bologna, ha voluto celebrare i 200 anni dalla nascita del poema leopardiano più noto, ‘L’infinito’, attraverso un’analisi appassionata e attualizzante nel libro ‘E come il vento, L’infinito, lo strano bacio del poeta al mondo’.

Con questo testo il poeta romagnolo invita a salire su di un treno che viaggia su un duplice binario; quello, concreto, della penisola italiana e quello altrettanto concreto dei versi del poema leopardiano, che continua a incantare anche a 200 anni dalla sua prima apparizione.

Il viaggio è reale, perché Rondoni crede fermamente nell’azione concreta della poesia che, attraverso il suo linguaggio, il suo soprannominare la realtà, mette a fuoco ciò che è una visione miope per tutti gli altri; è come se il poeta avesse un paio di occhiali speciali per guardare il mondo, la realtà che lo circonda, con una visuale più dettagliata e attraverso le sue parole potesse rendere partecipi gli altri di ciò che vede e sente.

La poesia, ribadisce l’autore, non abita in un altrove lontano e misterioso. L’autore utilizza parole scelte con una cura meticolosa; l’aggettivo ‘caro’ che utilizza per definire il colle insieme con l’avverbio ‘sempre’ danno un senso di familiarità assoluta. Al contempo però tale aggettivo si ritrova come vacillante tra due precipizi, il ‘sempre’ che dà il senso della continuità e il ‘fu’, che spezza ogni possibilità di persistenza nell’oggi. Ancora la siepe, che al contempo definisce e rende reale l’infinito.

Come bisogna affrontare la lettura del poema leopardiano?
“Ciò che avvertiamo sin dal principio è che questa ricerca non parte da mete astratte e lontane, bensì dalla quotidianità, dal dolore, dai confini. Proprio come la poesia leopardiana, la riflessione sull’infinito parte dal limite. Ogni cosa, per essere conoscibile, ha bisogno di essere definita e dunque di essere chiusa entro confini tangibili.

L’analisi passa dall’infinito matematico a quello relativo al linguaggio, per arrivare ai tentativi di definizione dei filosofi. L’infinito risiede nell’essere in un qualche modo sospeso, nella possibilità sempre varia degli avvenimenti quotidiani, nonché nella nostra continua ricerca e nei nostri interminabili interrogativi”.

Perché un libro sul vento, partendo da un verso di Leopardi?
“Il titolo del libro, ‘Come il vento’, è un verso de L’infinito leopardiano. In questa poesia c’è uno snodo importante, notato da pochi, che è la presenza del vento, ma deriva dalla lettura che il poeta recanatese aveva fatto dalla Bibbia ed è il segno visibile nel libro di Isaia che Leopardi usa per paragonare il visibile con l’invisibile. La presenza del vento rende possibile l’infinito”.

La presenza del vento può essere definita come ricerca di Dio?
“Leopardi può immaginarsi l’infinito e non ce la fa: il cuore si spaura. Invece Dio si fa presente con un segno; il vento è un segno sottile con cui Dio si fa presente e può succedere che, come dice la poesia, ‘sovviene l’eterno’, perché l’infinito è l’eterno. Questa esperienza di ‘dolce naufragio’ avviene nel momento in cui il vento manifesta la possibilità di mettersi in contatto con l’infinito”.

In questo senso il naufragio diventa dolce?
“Certo! Perché a metà della poesia uno ‘spaura’, che è un verbo di terrore, ed al termine naufraga dolcemente. Tutto ciò accade perché avviene nel segno del vento, cioè l’infinito mi si fa conoscere attraverso un segno ed allora mi ci posso abbandonare dolcemente”.

Allora, concludendo, cosa è ‘L’Infinito’?
“Molti pensano che l’idillio leopardiano sia una poesia di pura estasi o quasi di geniale rimbambimento, qualcosa come un’istantanea fotografica, un lineare momento di rapimento e naufragio. Invece succedono un sacco di cose nel corpo e nel senso di questa poesia. La poesia non cambia nulla nel mondo, apparentemente. Se non la materia più dura e difficile: la nostra vita”.

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