Mediterraneo: variabilità stagionali più marcate nel clima futuro

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Un archivio naturale di 450 m di sedimenti sul fondo del Lago di Ocrida, al confine tra Albania e Macedonia, racconta i cambiamenti delle precipitazioni degli ultimi 1.400.000 anni nell’area mediterranea, fornendo importanti indicazioni su possibili scenari climatici, prevedendo estati più calde e asciutte e, al contempo, precipitazioni più abbondanti e intense in autunno e inverno nell’area mediterranea.

A dirlo, un team internazionale guidato dalle Università di Colonia e di Pisa con la partecipazione italiana del Consiglio nazionale delle ricerche – Istituti di geologia ambientale e geoingegneria (Cnr-Igag), per la dinamica dei processi ambientali (Cnr-Idpa), di geoscienze e georisorse (Cnr-Igg), dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e delle Università Sapienza di Roma, Bari, Firenze, Modena e Reggio Emilia.

Dallo studio, pubblicato su Nature, si sono ricavati risultati certi, come ha spiegato Biagio Giaccio, ricercatore Cnr-Igag: “Dall’analisi delle proprietà geochimiche dei sedimenti e della composizione della vegetazione fossile, desunta dai pollini intrappolati nei depositi è stato possibile ricavare preziose informazioni sul clima del passato che, grazie all’organizzazione nel tempo di antiche eruzioni dei vulcani italiani, ha creato un vero e proprio archivio paleoclimatico…

Le ceneri vulcaniche, una volta identificate, hanno permesso di datare e ordinare nel tempo le informazioni paleoclimatiche. Un approccio applicato con successo anche ad altri archivi climatici dell’area del Mediterraneo come i paleolaghi del Fucino e di Sulmona, fondamentali per comprendere la dinamica temporale di processi che hanno guidato la storia climatica dell’intero emisfero boreale”.

L’analisi dei sedimenti ha evidenziato che durante i periodi climatici caldi simili all’attuale, noti come interglaciali e ciclicamente alternati nel corso dell’ultimo milione di anni a periodi freddi detti glaciali, con alternanze di circa 100.000 anni, le precipitazioni nel mar Mediterraneo avevano una marcata stagionalità, con autunni e inverni particolarmente piovosi ed estati asciutte:

“Sebbene dovuti a fattori diversi (aumento dell’insolazione estiva dell’emisfero boreale guidato da fattori astronomici, nel caso degli antichi interglaciali; aumento della concentrazione dei gas serra legato all’attività umana, nel caso dell’attuale riscaldamento), gli effetti sulla quantità e distribuzione delle precipitazioni nel Mediterraneo, osservati nell’archivio fossile, potrebbero verificarsi anche come conseguenza dell’attuale tendenza di riscaldamento globale”.

I risultati del progetto sottolineano il valore dello studio combinato di archivi fossili e modelli climatici, dai quali è possibile estrarre importanti informazioni sulla dinamica del clima del passato, per una migliore comprensione dei cambiamenti in atto e definizione dei possibili futuri scenari.

E tornando all’attualità, con un salto storico a coronamento di eventi avvenuti milioni di anni fa, la Coldiretti nel rapporto ‘Sos Clima per l’agricoltura italiana’, diffuso al Villaggio contadino di Bologna con l’Arca di Noè ha denunciato che negli ultimi 20 anni è sparita quasi una pianta da frutto su quattro, fra mele, pere, pesche, arance, albicocche e altri frutti con un gravissimo danno produttivo ed ambientale per il ruolo che svolgono nella mitigazione del clima anche ripulendo l’aria dall’anidride carbonica e dalle sostanze inquinanti come le polveri PM10.

Un danno economico ed occupazionale rilevante per l’Italia, ma che colpisce anche l’ambiente, poiché con la scomparsa dei frutteti viene a mancare il prezioso ruolo di contrasto dell’inquinamento e del cambiamento climatico svolto proprio dalle piante, capaci di ripulire l’aria da migliaia di chili di anidride carbonica e sostanze inquinanti come le polveri PM10.

Le emissioni inquinanti, se non verranno ridotte entro la fine del secolo, potrebbero causare un calo del 20% della produzione di grano, del 40% di quella della soia e addirittura del 50% di quella del mais, secondo uno studio pubblicato su Nature Communications:

“Ma i cambiamenti climatici, ha spiegato Coldiretti, hanno un impatto negativo anche sullo stesso valore dei terreni che, secondo il rapporto dell’Agenzia Ue per l’ambiente (Eea), potrebbero subire una perdita tra il 34 e il 60% nei prossimi decenni rispetto alle quotazioni attuali proprio a causa dell’innalzamento delle temperature, che minaccia anche i redditi agricoli e rischia di far aumentare la domanda di acqua per l’irrigazione dal 4 al 18%”.

Inoltre 2.000.000 di mucche, maiali, pecore e capre sono scomparsi dalle fattorie italiane negli ultimi 10 anni anche per effetto del surriscaldamento che ha inaridito i pascoli, ridotto la disponibilità di foraggio, tagliato la produzione di latte nelle stalle colpite dal moltiplicarsi dei colpi di calore estivi e aumentato i costi per garantire il benessere degli animali in condizioni climatiche più difficili. Con gli animali sono scomparsi anche i pascoli e i prati e il risultato è che negli ultimi 25 anni è andato perso oltre ¼ della superficie agricola (-28%) e, con esso, la capacità di assorbire le emissioni inquinanti.

In pericolo c’è inoltre la straordinaria biodiversità delle stalle italiane dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini. Ed un indicatore sensibile dello stato di salute dell’ambiente sono le api con la raccolta di miele in Italia che è praticamente dimezzata in Italia nel 2019 per effetto dell’andamento climatico anomalo che ha sconvolto la vita dei preziosi insetti:

“Vere e proprie sentinelle dell’equilibrio naturale globale e della biodiversità con l’alimentazione che dipende per oltre un terzo da coltivazioni impollinate attraverso il lavoro di insetti, al quale proprio le api concorrono per l’80%”. Insieme al rischio di scomparsa del miele, il surriscaldamento ha anche cambiato le condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l’affinamento dei formaggi o l’invecchiamento dei vini:

“Una situazione che di fatto mette in pericolo il patrimonio di prodotti tipici Made in Italy che devono le proprie specifiche caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori umani e proprio alla combinazione di questi. In gioco c’è il primato europeo nelle produzioni tipiche con 299 specialità Dop/Igp ed STG riconosciute a livello comunitario e 523 vini Doc/Docg e Igt”.

Quindi il cambiamento del clima spaventa un italiano su cinque (19%) e spinge ad adottare comportamenti per contribuire personalmente con uno stile di vita responsabile a fermarne gli effetti disastrosi. Secondo la Coldiretti con semplici accorgimenti nella spesa di tutti i giorni e nel consumo degli alimenti ogni famiglia italiana può tagliare i consumi di petrolio e ridurre le emissioni di gas ad effetto serra di oltre mille chilogrammi (CO2 equivalenti) all’anno.

In conclusione per tutelare l’ambiente la Coldiretti propone alle famiglie un decalogo: “Preferire l’acquisto di prodotti locali che non devono subire lunghi trasporti con mezzi inquinanti; Scegliere frutta e verdura di stagione che non consumano energia per la conservazione; Ridurre le intermediazioni fino a fare acquisti direttamente dal produttore, come nei mercati di campagna amica della Coldiretti, per evitare passaggi di mano del prodotto che spesso significano inutili trasporti;

privilegiare i prodotti sfusi che non consumano imballaggi come i distributori automatici di latte; acquistare confezioni formato famiglia rispetto a quelle monodose per ridurre il consumo di imballaggi per quantità di cibo consumato; fare acquisti di gruppo (anche in condominio) per ridurre i consumi di energia nei trasporti per fare la spesa; riutilizzare le borse per la spesa e servirsi di quelle fatte con materiali biodegradabili di origine agricola nazionale o di tela invece di quelle in plastica;

ottimizzare l’energia consumata nella preparazione e conservazione dei cibi con pentole e frigoriferi a basso impatto; Ridurre gli sprechi ottimizzando gli acquisti e riscoprendo la cucina degli avanzi per evitare che finiscano tra i rifiuti; Fare la raccolta differenziata per consentire il recupero di energia dai rifiuti prodotti”.

(Foto: CNR)

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