Torino: per mons. Nosiglia la vicenda del Moi è una opportunità

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Nei giorni scorsi è stato completato lo sgombero di due palazzine del Moi di Torino, l’ex villaggio olimpico occupato da anni da famiglie di migranti. Un’operazione definita ‘dolce’ dalla prefettura perché avvenuta in accordo con le famiglie. All’interno dell’edificio risiedevano complessivamente circa 350 persone, di cui 143 nella palazzina grigia e 198 in quella arancione.

Le nazionalità prevalenti sono Somalia, Nigeria, Mali, Niger, Costa d’Avorio, Guinea, Gambia, Ghana, Etiopia, Senegal. Secondo il Viminale, “in questo modo si porta ad esecuzione una fase importante del protocollo d’intesa tra la città di Torino, la prefettura di Torino, la Città metropolitana, la regione Piemonte, la diocesi di Torino e la Compagnia di San Paolo”.

Il neo-vicesindaco di Torino, Sonia Schellino ha assicurato che “la struttura sarà messa in sicurezza e in autunno dovrebbe partire il cantiere. L’obiettivo è creare un mix tra social housing, studentati, alloggi temporanei, evitando in questo modo di creare ghetti… Le persone sono pronte e contente di andarsene, ora avranno una collocazione e offerte lavorative“.

Invece per Valentina Reale, rappresentante di Medici Senza Frontiere: “Siamo profondamente preoccupati per la decisione di accelerare le operazioni di sgombero delle ultime due palazzine dove, al momento, non c’è alcuna emergenza sanitaria che renda necessaria un’evacuazione d’urgenza. Si rischiano di vanificare tutti gli sforzi degli ultimi mesi”.

E durante una conferenza stampa l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia ha sottolineato che la vicenda è stata una sfida per l’integrazione: “La vicenda del Moi l’abbiamo vissuta (come diocesi e come Migrantes in particolare) come una sfida e una opportunità che poteva segnare la vita della nostra Città e costituire anche un modello per l’intero Paese.

C’è voluto del tempo: fin dall’inizio abbiamo deciso di non procedere allo sgombro forzato, ma di accompagnare le persone perché potessero comprendere quanto il progetto che avevamo stabilito fosse vantaggioso per dare dignità e speranza in un futuro migliore alle numerose persone coinvolte”.

Inoltre l’arcivescovo ha sottolineato la collaborazione tra le istituzioni: “La scelta vincente è stata senza dubbio l’impegno congiunto e collaborativo tra i 5 soggetti istituzionali: Comune, Prefettura, Regione, Compagnia di S. Paolo e Diocesi. Si è così attuato il metodo dell’Agorà che abbiamo promosso in questi anni, quello, cioè, di programmare insieme, agire insieme, sostenere uniti progetti di inclusione e di integrazione di valore umano, civile, lavorativo, abitativo e sociale”.

Per l’arcivescovo il progetto “contempla uno spostamento degli abitanti delle palazzine in strutture più umane e dignitose per tutti, in appartamenti o locali non affollati, con un percorso che tiene conto di ogni singola persona e delle sue esigenze e potenzialità, li qualifica con un cammino di formazione (lingua, cultura, mestiere..), un lavoro e un accompagnamento sostenuto da persone qualificate e preparate”.

Ricordando gli incontri con le persone l’arcivescovo ha ripercorso le tappe del percorso: “In questi ultimi mesi si è andata sempre più consolidando la convinzione che era necessario terminare tutto entro l’estate.

Questo per motivi validi e concreti dovuti al crescente degrado degli stabili e delle condizioni di vita dei loro abitanti, a un numero di persone con particolari condizioni socio-sanitarie sia sul piano psichico sia di fragilità.

Abbiamo avuto, per questo, un supplemento di risorse finanziarie date dal Ministero, dalla Regione e dalla stessa Compagnia di San Paolo. Inoltre ci si siamo resi conto che più si prolungava nel tempo la situazione, più aumentavano gli ospiti che, forse per poter usufruire del progetto, si aggiungevano a quelli già esistenti.

E’ vero che la scelta di affrontare insieme le ultime due palazzine ha suscitato qualche perplessità e preoccupazioni in particolare nelle persone coinvolte. E’ stata comunque una scelta fatta insieme, come tavolo istituzionale, e con la disponibilità di tutte le componenti a sostenerla nel migliore dei modi garantendo ad ogni persona un sostegno e presa in carico delle sue specifiche problematiche e necessità”.

Quindi ha spiegato i criteri che la diocesi ha proposto alle istituzioni: “la centralità di ogni singola persona, l’attenzione a quelle più fragili e che necessitano di cure e accompagnamento particolari, la conferma del progetto per tutti anche se per alcuni mesi alcuni andranno in strutture offerte da Comuni vicini.

Poi, dopo il bando del comune di Torino in autunno, saranno ricollocati in appartamenti come gli altri, avranno una adeguata qualificazione, un lavoro, e un accompagnamento personalizzato; è previsto anche, per chi lo desidera liberamente, il ritorno al proprio Paese con un appropriato sostegno”.

Ed infine una speranza: “Mi auguro che questa esperienza possa rappresentare un modello anche per altri ambiti di particolare criticità e precarietà, nella nostra città, come sono la situazione dei campi rom, dei senza dimora, della accoglienza nei dormitori e in genere, della situazione di famiglie e giovani circa il lavoro e la casa”.

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