A Cracovia il card Becciu beatifica Giedroyc: un modello di umiltà

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A Cracovia  il prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, il card. Giovanni Angelo Becciu, ha pronunciato l’omelia nella santa Messa per la Beatificazione equipollente (il papa estende precettivamente a tutta la Chiesa il culto di un servo di Dio non ancora canonizzato, mediante l’inserimento della sua festa, con messa e ufficio, nel Calendario della Chiesa universale) del lituano Michele Giedroyc, laico professo dell’Ordine di Sant’Agostino.

Era nato intorno al 1420 a Giedrojcie, non lontano da Vilnius, in Lituania, in una famiglia appartenente alla nobiltà locale. Ricevuta una solida formazione religiosa e culturale, nutrì una grande devozione a Cristo Crocifisso. Purtroppo, da piccolo venne colpito da frequenti malattie che gli impedirono di raggiungere una statura normale e che gli causarono i disturbi a una gamba.

Ciò gli impedì sia di avere successi mondani, sia di intraprendere qualsiasi professione. Nacque da qui la sua scelta di vivere appartato, in solitudine e in preghiera. Il grave limite fisico, invece di scoraggiarlo, lo unì intensamente alla Passione del Signore e costituì per lui la strada che lo condusse alla vita religiosa.

Nemmeno la decisione di entrare in convento fu per lui facile, perché date le menomazioni fisiche non poteva aspirare a incarichi di governo. Dopo aver emesso la professione religiosa, svolse l’incarico di sacrestano, edificando sia i confratelli che i fedeli. L’accettazione della sua disabilità si trasformò in una vita di intensa preghiera e penitenza.

Fu sistemato in una piccola cella, accanto all’ingresso della chiesa del convento, dove trascorreva lungo tempo in preghiera davanti a un grande Crocifisso, sia di giorno che di notte. Questa lontananza dalle altre celle dei confratelli non lo isolò, ma lo fece diventare un padre per tutti quanti ricorrevano a lui.. La sua carità lo spingeva a diffondere il Regno di Dio tra i fratelli e a condividere con i poveri ciò che riceveva in elemosina. Il nascondimento e l’umiltà lo rendevano felice, nella consapevolezza di essere amato da Dio.

Carità verso Dio e il prossimo, amore al Crocifisso e a Maria, contemplata ai piedi della croce, furono le colonne della sua vita interiore, alimentata da ore di adorazione e da penitenze. Il rigore della sua vita ascetica e austera esaurì anticipatamente il suo fisico, tanto che lentamente la sua salute peggiorò. Colpito da una febbre violenta, il 4 maggio 1485 morì in ginocchio, dopo aver ricevuto l’Eucaristia. Nel V centenario della morte, nel 1985, san Giovanni Paolo II auspicò ‘l’atto di adempimento della beatificazione’.

Nell’omelia il card. Becciu ha ripreso le parole di san Giovanni Paolo II, che disse che ‘Dio è amore’: “Con queste parole della Prima Lettera di San Giovanni, che Michele Giedroyc, chiamato beato, si è rivolto dal letto della morte ai suoi confratelli, desidero recarmi spiritualmente alla sua tomba per… venerare questo umile servo che si è aperto alla santità del Signore ed è diventato un suo segno eloquente tra la gente”.

Quindi dopo 34 anni si compie la beatificazione, ha sottolineato il card. Becciu: “L’odierna celebrazione di ringraziamento vede riuniti insieme i Vescovi della Polonia e della Lituania, due nazioni legate al nostro Beato, che di tutto cuore saluto, unendomi ben volentieri al vostro canto di lode e di gratitudine al Signore per il dono del Beato Michele.

In questa circostanza, desidero richiamare soprattutto le parole di san Giovanni apostolo sull’amore: esse costituiscono la testimonianza di vita e il testamento spirituale del nostro beato, frate agostiniano. Egli ha corrisposto in modo esemplare alla fede in Dio-Amore, perché in questo amore di Dio ritrovava la luce della vita e la serenità del cuore”.

Questa beatificazione esorta i cristiani ad operare grandi cose pur restando ‘piccoli’: “Il beato Michele ci esorta a iscriverci anche noi, come fece lui, tra i piccoli che hanno accolto e vissuto questo amore. Egli fa parte di quella lunga schiera di discepoli di Cristo che come un filo rosso attraversa la storia della Chiesa; la preferenza di Dio per i semplici e i deboli.

Il Signore gli ha concesso il dono della conoscenza dei misteri del suo Regno, di cui il nostro Beato viveva e che custodiva, diventandone convinto testimone con la propria vita. Pur provenendo da una famiglia nobile, Michele svolgeva la funzione di sacrestano che gli era stata affidata nella comunità religiosa. Curava l’ordine nella chiesa di san Marco, lodava ininterrottamente il Signore, eseguiva docilmente i lavori che gli venivano richiesti, con coraggio sopportava le angherie e le contrarietà”.

Quindi anche nella quotidianità si mostra la grandezza di Dio: “E’ lo zelo e l’amore che rendono grandi le nostre azioni e mansioni, anche quelle più semplici. La sua testimonianza di vita, caratterizzata dall’accettazione dei propri limiti fisici e dall’unione della propria sofferenza a Cristo Crocifisso, oggi diventa una buona notizia per tutti coloro che, come lui, sono spesso relegati ai margini della società a motivo della loro inefficienza fisica, dell’età avanzata o di altri limiti. Egli è una buona notizia per tutti coloro che si sentono colpiti dalle esperienze negative della vita, infelici, delusi, scartati, coloro che hanno perso il senso del proprio valore.

A loro indica, con il proprio esempio di vita, la fonte della vera felicità, cioè la fiducia in Dio e la profonda fede in Lui che aiuta ad accettare le proprie croci quotidiane”.

Ed ha concluso l’omelia invitando polacchi e lituani alla collaborazione anche nella memoria di santa Edvige: “La misteriosa fantasia della Provvidenza divina, attraverso il beato Michele e la santa Edvige, invita oggi i polacchi e i lituani a rinnovare, ad approfondire e a rinsaldare gli storici legami, forti della fede in colui che è Via, Verità e Vita. Questo è il messaggio che il beato Michele Giedroyc e santa Edvige oggi ci indicano: la grandezza dei santi sta anche nella loro capacità di superare gli stretti confini delle nazioni e diventare ‘tutto in tutti’, come diceva di se stesso san Paolo”.

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