Azione Cattolica: fratelli nelle città

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L’intervento del presidente nazionale, Matteo Truffelli, ha concluso domenica 5 maggio i lavori del Convegno nazionale delle Presidenze diocesane di Azione cattolica dal titolo ‘Un popolo per tutti. Riscoprirsi fratelli nella città’, svoltosi a Chianciano Terme, a cui hanno partecipato mons. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, Claudia Fiaschi, portavoce del Forum del Terzo Settore, Giuseppina Paterniti, direttrice del TG3- Rai, mons. Gualtiero Sigismondi, assistente generale Ac e vescovo di Foligno, mons. Stefano Manetti, vescovo di Montepulciano-Chiusi-Chianciano, Carlo Fornari, responsabile relazioni Fondazione Telethon, Massimo Pallotino, campagna ‘Chiudiamo la forbice’, Nunzia De Capite, ‘Alleanza contro la povertà’, don Armando Zappolini, campagna ‘Mettiamoci in gioco’, Laila Simoncelli, campagna ‘Ministero della Pace’.

Dopo la riflessione teologica e pastorale del convegno del 2018, i presidenti si sono soffermati sul tema della fraternità come categoria unificante, attraverso la quale l’Ac intende declinare il tema del popolo ‘civile’, poiché ‘il primo nome di cristiani è fratelli’. Nella relazione conclusiva il presidente nazionale di Azione Cattolica ha sottolineato che la fraternità è ‘la nuova frontiera del cristianesimo’:

“In questo senso, l’immagine della nuova frontiera è l’immagine che guida chi sa stare nel proprio tempo con i piedi piantati per terra ma con lo sguardo alto verso il futuro, chi sa guardare alle condizioni del proprio tempo gettando il cuore oltre l’ostacolo: non nascondendo le difficoltà e i limiti della realtà in cui siamo immersi, ma sapendo vedere dentro quelle condizioni e quei limiti le ragioni e l’opportunità per aprire percorsi nuovi, diversi, di speranza”.

E’ stata questa la lezione consegnata dai padri dell’Europa nella serata dedicata ad Antonio Megalizzi: “Oggi ci è chiesto, come cittadini, come credenti, come associazione di laici, di prendere esempio dalla lungimiranza e dal coraggio di quegli uomini e quelle donne e fare altrettanto: la nostra nuova frontiera, la nostra luna da raggiungere è la promozione e la condivisione di una cultura della fraternità, affinché essa possa smettere i panni di ‘promessa mancata della modernità’ (come la chiama Francesco) e divenire il terreno comune su cui progettare il futuro: pace, giustizia, solidarietà, legalità non sono ideali astratti, illusori: sono i punti cardinali con cui orientare il nostro stare nel mondo”.

Quindi se la fraternità si impara in famiglia, nella famiglia associativa, la si vive e la si testimonia nel mondo: “La fraternità autentica si nutre di desiderio di incontro, di ospitalità. E’ un incontro con chi è altro da noi. E’ un andare verso che richiede innanzitutto un fare spazio. E proprio per questo è un incontro che non può essere praticato per convocazione, ma per immersione: non possiamo, evidentemente, attendere che il mondo, la città, i suoi abitanti entrino in associazione. Dobbiamo essere noi a farci trovare lì dove le persone abitano, lavorano, studiano, giocano, soffrono, lì dove la città vive, si pensa, si trasforma”.

Perciò il prof. Truffelli ha proposto di adottare la ‘filosofia della prossimità’, portata avanti dal filosofo spagnolo Josep Maria Esquirol: “Prossimità non è il contrario di distanza, il suo contrario è l’indifferenza. Esattamente quello che ci insegna la parabola del samaritano, che era l’uomo più distante, culturalmente e anche politicamente, dal malcapitato vittima dei briganti, ma era anche colui che si dimostra capace di colmare la distanza superando la propria indifferenza, che invece avvolgeva il levita e il sacerdote.

L’indifferenza è il germe della disgregazione, della frattura, e quindi della violenza. Al contrario la prossimità è la forza che ci tiene insieme, che ci lega gli uni agli altri”. Quindi la prossimità si manifesta nel popolo: “Ricomprendiamo allora anche in questa chiave il significato e l’importanza di essere popolo.

E’ quello stesso popolo di cui si parla nelle esortazioni ‘Evangelii gaudium’ e ‘Gaudete et exultate’, e su cui abbiamo riflettuto a lungo nel Convegno delle presidenze dell’anno scorso: un popolo formato da una trama di relazioni interpersonali. Un popolo la cui identità comune prende forma nella fraternità consapevolmente vissuta e perseguita.

Un’identità che si rigenera continuamente attorno a una trama di relazioni che si radicano nel tempo, dentro la storia, e nello spazio, dentro i territori, nelle strade, nei quartieri, nelle associazioni, in tutti quelli che chiamiamo corpi intermedi, la cui importanza, non a caso, è sempre stata sottolineata con particolare convinzione dentro la cultura politica a cui noi apparteniamo, a partire dalla Dottrina sociale della Chiesa”.

Ed ha invitato l’Azione Cattolica a percorrere “con sempre maggior convinzione la via delle alleanze come via maestra per stare dentro la realtà delle nostre città. Perché siamo convinti che mettere insieme le differenze, le energie e le esperienze, i diversi punti di vista e le diverse attese di bene sia l’unico modo per progettare insieme un futuro condiviso. Crediamo nel valore delle formazioni sociali, in una società capace di generare nel suo grembo straordinarie risorse pubbliche”.

Ha concluso sottolineando che “il populismo ha bisogno di un nemico, perché si alimenta del senso di paura. Ha bisogno di farci sentire il bisogno di chiuderci all’interno di recinti e palizzate erette a difesa di una supposta identità. E in questo, purtroppo, trova sempre più spesso risonanza in un malinteso senso religioso, più o meno consapevolmente ridotto a collante identitario, disancorato dal cuore dell’annuncio evangelico”.

In questo senso l’arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Zuppi, che compito che compito dei cristiani è essere per tutti, “incarnare la dimensione di Chiesa, che è l’essere ‘in uscita’, sempre e comunque, fuggendo la tentazione del rinchiudersi nella comoda e sicura frequentazione dei nostri; con gli stessi riti di sempre e lo stesso grigio orizzonte ogni mattina”.

Quindi mons. Zuppi non ha offerto modelli da seguire: per i cristiani, “la missione è una bussola sicura per il cammino della vita, ma non è un navigatore, che mostra in anticipo tutto il percorso. Che ti mette al sicuro da errori e pericoli. Il laico cristiano deve cercare da sé la strada che conduce alla meta, la propria dimensione, senza timore di sbagliare, senza timore di sporcarsi le mani, senza paura di incontrare chiunque sulla propria strada”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Claudia Fiaschi, portavoce del Forum del Terzo Settore, che ha richiamato l’importanza di essere comunità: “Una comunità che si costruisce ogni volta che riusciamo a mettere le persone in condizione di esercitare il dono che hanno ricevuto. La fraternità in questo senso è il lubrificante delle relazioni sociali e se questa viene a mancare la comunità cessa di esistere”. Per questo, “non si deve cedere alla paura. Una paura che nasce dalla diffidenza e dalla mancanza di connessione tra generazioni. Le differenze stanno diventando progressivamente diseguaglianze e non un dono da esercitare per arricchirsi”.

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