Papa Francesco: la sussidiarietà per uno Stato di popoli

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Ricevendo i partecipanti alla riunione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali papa Francesco ha chiesto di rilanciare il multilateralismo; inoltre ha denunciato l’egoismo che deriva dai nazionalismi, chiedendo di superare i particolarismi e di dare maggiore valore giuridico all’equilibrio mondiale a conclusione della Sessione Plenaria sul tema ‘Verso una società partecipativa: nuove strade per l’integrazione sociale e culturale’.

Nel saluto al presidente, prof. Stefano Zamagni, il papa ha sottolineato lo ‘spirito’ che anima gli Stati: “Abbiamo, purtroppo, sotto gli occhi situazioni in cui alcuni Stati nazionali attuano le loro relazioni in uno spirito più di contrapposizione che di cooperazione. Inoltre, va constatato che le frontiere degli Stati non sempre coincidono con demarcazioni di popolazioni omogenee e che molte tensioni provengono da un’eccessiva rivendicazione di sovranità da parte degli Stati, spesso proprio in ambiti dove essi non sono più in grado di agire efficacemente per tutelare il bene comune”.

Richiamando l’enciclica sul creato ed il discorso al Corpo Diplomatico papa Francesco ha sottolineato le sfide a cui la comunità internazionale è chiamata a confrontarsi, quali lo sviluppo integrale, la pace, la cura della casa comune, il cambiamento climatico, la povertà, le guerre, le migrazioni, la tratta di persone, il traffico di organi, la tutela del bene comune, le nuove forme di schiavitù:

“La Chiesa ha sempre esortato all’amore del proprio popolo, della patria, al rispetto del tesoro delle varie espressioni culturali, degli usi e costumi e dei giusti modi di vivere radicati nei popoli. Nello stesso tempo, la Chiesa ha ammonito le persone, i popoli e i governi riguardo alle deviazioni di questo attaccamento quando verte in esclusione e odio altrui, quando diventa nazionalismo conflittuale che alza muri, anzi addirittura razzismo o antisemitismo”.

Per questo: “La Chiesa osserva con preoccupazione il riemergere, un po’ dovunque nel mondo, di correnti aggressive verso gli stranieri, specie gli immigrati, come pure quel crescente nazionalismo che tralascia il bene comune. Così si rischia di compromettere forme già consolidate di cooperazione internazionale, si insidiano gli scopi delle Organizzazioni internazionali come spazio di dialogo e di incontro per tutti i Paesi su un piano di reciproco rispetto, e si ostacola il conseguimento degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile approvati all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre del 2015”.

Ed ha posto alla loro attenzione la sfida della migrazione: “In questa ottica, ad esempio, il modo in cui una Nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana e del suo rapporto con l’umanità. Ogni persona umana è membro dell’umanità e ha la stessa dignità. Quando una persona o una famiglia è costretta a lasciare la propria terra va accolta con umanità. Ho detto più volte che i nostri obblighi verso i migranti si articolano attorno a quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Il migrante non è una minaccia alla cultura, ai costumi e ai valori della nazione che accoglie”.

D’altra parte ha sottolineato il ‘compito’ del migrante: “Anche lui ha un dovere, quello di integrarsi nella nazione che lo riceve. Integrare non vuol dire assimilare, ma condividere il genere di vita della sua nuova patria, pur rimanendo sé stesso come persona, portatore di una propria vicenda biografica. In questo modo, il migrante potrà presentarsi ed essere riconosciuto come un’opportunità per arricchire il popolo che lo integra”.

Richiamando la Dottrina Sociale della Chiesa ha ribadito il concetto di Stato: “E’ compito dell’autorità pubblica proteggere i migranti e regolare con la virtù della prudenza i flussi migratori, come pure promuovere l’accoglienza in modo che le popolazioni locali siano formate e incoraggiate a partecipare consapevolmente al processo integrativo dei migranti che vengono accolti. Anche la questione migratoria, che è un dato permanente della storia umana, ravviva la riflessione sulla natura dello Stato nazionale.

Tutte le nazioni sono frutto dell’integrazione di ondate successive di persone o di gruppi di migranti e tendono ad essere immagini della diversità dell’umanità pur essendo unite da valori, risorse culturali comuni e sani costumi. Uno Stato che suscitasse i sentimenti nazionalistici del proprio popolo contro altre nazioni o gruppi di persone verrebbe meno alla propria missione. Sappiamo dalla storia dove conducono simili deviazioni; penso all’Europa del secolo scorso”.

In questo senso il compito dello Stato è quello di dare spazio al ‘bene comune’: “Lo Stato nazionale non può essere considerato come un assoluto, come un’isola rispetto al contesto circostante. Nell’attuale situazione di globalizzazione non solo dell’economia ma anche degli scambi tecnologici e culturali, lo Stato nazionale non è più in grado di procurare da solo il bene comune alle sue popolazioni.

Il bene comune è diventato mondiale e le nazioni devono associarsi per il proprio beneficio. Quando un bene comune sopranazionale è chiaramente identificato, occorre un’apposita autorità legalmente e concordemente costituita capace di agevolare la sua attuazione. Pensiamo alle grandi sfide contemporanee del cambiamento climatico, delle nuove schiavitù e della pace”.

Lo Stato può esistere solo se mette in atto il principio di sussidiarietà aprendosi alla cooperazione: “Mentre, secondo il principio di sussidiarietà, alle singole nazioni dev’essere riconosciuta la facoltà di operare per quanto esse possono raggiungere, d’altra parte, gruppi di nazioni vicine possono rafforzare la propria cooperazione attribuendo l’esercizio di alcune funzioni e servizi ad istituzioni intergovernative che gestiscano i loro interessi comuni”.

Quindi ad esempio ha citato l’Europa e l’America Latina: “E’ da auspicare che, ad esempio, non si perda in Europa la consapevolezza dei benefici apportati da questo cammino di avvicinamento e concordia tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra. In America Latina, invece, Simón Bolivar spinse i leader del suo tempo a forgiare il sogno di una Patria Grande, che sappia e possa accogliere, rispettare, abbracciare e sviluppare la ricchezza di ogni popolo. Questa visione cooperativa fra le nazioni può muovere la storia rilanciando il multilateralismo, opposto sia alle nuove spinte nazionalistiche, sia a una politica egemonica”.

Perciò la globalizzazione deve essere ‘poliedrica’ e ‘multilaterale’: “Le istanze multilaterali sono state create nella speranza di poter sostituire la logica della vendetta, la logica del dominio, della sopraffazione e del conflitto con quella del dialogo, della mediazione, del compromesso, della concordia e della consapevolezza di appartenere alla stessa umanità nella casa comune.

Certo, bisogna che tali organismi assicurino che gli Stati siano effettivamente rappresentati, a pari diritti e doveri, onde evitare la crescente egemonia di poteri e gruppi di interesse che impongono le proprie visioni e idee, nonché nuove forme di colonizzazione ideologica, non di rado irrispettose dell’identità, degli usi e dei costumi, della dignità e della sensibilità dei popoli interessati.
L’emergere di tali tendenze sta indebolendo il sistema multilaterale, con l’esito di una scarsa credibilità nella politica internazionale e di una progressiva emarginazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle nazioni”.

All’interno di questi meccanismi democratici lo Stato è chiamato ad agire responsabilmente, non trascurando l’identità del popolo: “Lo Stato è chiamato, pertanto, ad una maggiore responsabilità. Pur mantenendo le caratteristiche di indipendenza e di sovranità e continuando a perseguire il bene della propria popolazione, oggi è suo compito partecipare all’edificazione del bene comune dell’umanità, elemento necessario ed essenziale per l’equilibrio mondiale.

Tale bene comune universale, a sua volta, deve acquistare una valenza giuridica più accentuata a livello internazionale. Non penso certo a un universalismo o un internazionalismo generico che trascura l’identità dei singoli popoli: questa, infatti, va sempre valorizzata come apporto unico e indispensabile nel disegno armonico più grande”.

Nel documento finale i partecipanti hanno sostenuto che occorre dar vita ad una ‘società partecipativa’: “In sostanza, una società partecipativa è quella che valorizza i beni relazionali, a partire da amicizia, fraternità e famiglia, e promuove i diritti umani, nella consapevolezza che la legislazione sui diritti umani non può realizzare alcun progetto utopico di trasformazione sociale, ma solo creare le condizioni positive entro cui le persone e i gruppi sociali possono agire in modo etico, cioè avere le opportunità per dedicarsi al bene reciproco l’uno dell’altro nella comunità, e sviluppare nuove iniziative sociali generative di maggiore inclusione sociale. Il ruolo della legislazione e della regolamentazione nazionale è essenziale nel promuovere una società partecipativa e per incoraggiare la buona prassi”.

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