Da Gerusalemme le radici della speranza pasquale

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Da Gerusalemme l’amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, ha ‘lanciato’ un messaggio di pace per i conflitti nel Medio Oriente, a conclusione della Settimana Santa:

“Ora siamo di nuovo qui, davanti a questo Sepolcro vuoto, siamo giunti ancora una volta, come Maria di Magdala, come i discepoli Pietro e Giovanni del Vangelo appena proclamato. Maria va al Sepolcro perché non ha altro luogo dove andare, se non dove c’è ancora qualcosa di quell’uomo che le ha ridonato la vita. Pietro e Giovanni corrono increduli alle parole di Maria, ma anch’essi non trovano ciò che si aspettano di trovare, cioè la morte: il sepolcro è vuoto, e le bende stanno lì a dire che la morte non tiene più in potere il Signore; Lui ha lasciato la morte”.

La Pasqua è un inno alla vita e quindi occorre ritornare alle radici: “Come ogni anno, ci chiediamo allora che significato ha questa Pasqua per noi. Che ci dice ora, oggi, il Cristo, morto e risorto. Davvero abbiamo bisogno di tornare qui, di portare in questo Luogo la nostra attesa e desiderio di vita, per rafforzare la nostra fede nel ‘si’ definitivo di Dio all’uomo, una fede ferita spesso dalle tante esperienze di morte dentro e attorno a noi, da indurci a credere che la morte ci tenga in pugno. Abbiamo bisogno di tornare qui per dare concretezza alla Speranza che qui, in questo Luogo, affonda le sue radici”.

Le radici cristiane però hanno bisogno di speranza: “Nella situazione tragica che stiamo vivendo, è questa speranza che viene in soccorso ad una fede che si scontra tutti i giorni con una violenza così grande, che davvero ci pare la vittoria del Male. E’ questa speranza che ogni giorno ci spinge ad operare la carità, anche se vediamo bene che è una goccia d’acqua nel deserto.

E’ la speranza di un mondo diverso, secondo il cuore di Dio, che ci aiuta a camminare verso un futuro per noi imprevedibile. La Speranza, infatti, non è attesa di in futuro improbabile, ma consapevolezza di un dono che accompagna il presente. E’ il buon terreno su cui la fede si fonda, su cui la carità diventa testimonianza; senza la speranza la fede muore, e la carità non trova forza per agire”.

L’alimento alla speranza è l’entrata nel ‘Sepolcro’: “E portiamo qui, davanti a questo Sepolcro vuoto, non solo la nostra esperienza di morte e risurrezione, non solo le nostre personali attese, ma anche quelle della nostra comunità, della nostra Chiesa, della nostra gente, e di quelle dei pellegrini e penitenti che sono giunti qui da tutto il mondo”.

Ha chiesto ai fedeli di ‘sognare’ la libertà: “Sogniamo la libertà, anziché conquistarla. Parlo, qui, della libertà che nasce dalla propria decisione interiore, prima ancora che dalle condizioni esterne di vita. Libertà di dire ogni giorno di si a Dio, quasi ricominciando tutto da capo, con lo stesso entusiasmo, valutando la sconfitta di ieri come partenza per l’impegno di oggi e di sempre. Libertà di scegliere ogni giorno da che parte stare, operando il bene secondo il cuore di Dio”.

Ed al termine dell’omelia pasquale mons. Pizzaballa ha chiesto di cercare un ‘cuore’ che sappia scorgere segni della gioia divina: “Chiediamo qui la grazia e il dono di un cuore capace di scorgere i segni del risorto, del Vivente in mezzo a noi, di una presenza concreta, consolante, tenera. Solo l’amore può vincere la morte e superare i confini del tempo.

Chiediamo perciò il dono di saper scorgere nella vita della nostra comunità quell’amore che in questi giorni della Settimana Santa abbiamo celebrato nella liturgia, ma che sappiamo si celebra quotidianamente anche nella vita domestica delle nostre famiglie, nelle nostre case di riposo, nei servizi ai poveri e ai piccoli, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nella gioia di tanti che, qui in mezzo a noi, continuano a dare la propria vita agli altri. Laddove qualcuno dona parte di sé, li si celebra il Vivente. Dove si scommette sulla fiducia, li trionfa il Risorto”.

Mentre nella notte pasquale ha ricordato i ‘simboli’ del passaggio che culmina nel pane: “L’Eucarestia è il segno conclusivo, per eccellenza, quello che li racchiude tutti. Essa è sacrificio, dono, lode, banchetto, condivisione, festa… Ma non abbiamo solo bisogno del pane per il corpo. Abbiamo bisogno anche del pane dello spirito, che sazia il nostro desiderio di senso, la nostra fame di giustizia, di uguaglianza, di diritti, di una vita bella e degna”.

Infine ha chiesto ai fedeli di essere ‘pane’: “Siamo noi ora il pane. Questa notte Gesù si è fatto pane perché quello che ha fatto lui, lo facciamo anche noi. Questa notte noi vogliamo diventare pane spezzato, perché la vita che abbiamo ricevuto da Gesù Pane di Vita, allievi ogni fame di pane per il corpo, di giustizia e di vita per lo spirito. Non saremo noi a operare questo miracolo. Eccola qui, di fronte a noi. E’ da quella tomba vuota, da li, che tutto ciò è diventato possibile”.

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