Irak: si muore nel silenzio del mondo

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“Il dato sui numeri è incerto, ma il fenomeno è reale e grave. Da tempo case e proprietà cristiane sono vittime di espropri o occupazioni illegali è questo è ingiusto”, perché si va a sommare ‘alla tragedia’ della fuga o dell’emigrazione che hanno dovuto subire: così ad AsiaNews ha dichiarato mons. Shlemon Audish Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, commentando l’inchiesta del network irakeno al-Sumaria Tv che nelle scorse settimane ha denunciato la sottrazione illegale di almeno 350 abitazioni appartenenti a cristiani.

Gli espropri forzati o l’occupazione abusiva sono concentrati nella piana di Ninive, dove in passato migliaia di famiglie sono dovute fuggire in seguito all’avanzata dello Stato islamico: “La Chiesa ha cercato e cerca di affrontare il problema nel tentativo di ottenere la restituzione di case e proprietà ai cristiani. In alcuni casi il nostro intervento ha portato alla restituzione degli immobili, in altri non vi è stato nulla da fare. Ci siamo scontrati contro il malaffare di ‘signorotti e potenti locali’ di questo tempo”.

Inoltre secondo fonti dell’Unicef 4.000.000 bambini subiscono ogni giorno le conseguenze di terribili violenze in diverse aree del paese, soprattutto quelle di Ninive e di Al Anbar. Nei mesi scorsi almeno 270 bambini sono stati uccisi durante i combattimenti, come ha riferito Geert Cappelaere, direttore regionale dell’Unicef per il Medio oriente e l’Africa settentrionale:

“La povertà e il conflitto hanno interrotto il percorso scolastico di tre milioni di piccoli iracheni. Alcuni non sono mai entrati in una scuola. Oltre un quarto di tutti i bambini vive in povertà, in particolare quelli nelle aree meridionali e rurali, tra le più colpite negli ultimi anni”. L’Unicef chiede almeno $ 186.000.000 per rispondere ai bisogni dei bambini iracheni.

Ed a Torino il patriarca dei Caldei, card. Louis Raphael I Sako, è intervenuto a Torino nel convegno internazionale ‘La fine del Medio Oriente e il destino delle minoranze’, durante il quale ha affermato il ruolo dei cristiani in Irak:

“Nel corso della loro lunga storia, i cristiani iracheni hanno servito sempre e in modo encomiabile il loro paese a tutti i livelli: economico, culturale e sociale, convinti che questa sia la loro terra. Vorrebbero solo conseguire ciò che, in senso proprio, finora non hanno ancora ottenuto: pace, stabilità, uguaglianza politica, piena cittadinanza, libertà, dignità”.

Ed ha ricordato la situazione attuale dei cristiani: “Il numero dei cristiani iracheni nel periodo del regime precedente era di 1.730.000 (secondo le statistiche pubblicate). Dopo la caduta del regime nel 2003, il numero è calato drasticamente a 500.000 (questo numero è approssimativo, perché mancano statistiche ufficiali).

I cristiani iracheni fanno parte di 14 chiese ufficialmente riconosciute dallo Stato. I più numerosi sono i caldei, seguiti dai siro-cattolici e dai siro-ortodossi, mentre altri gruppi, quali gli assiri, gli armeni, i melchiti e i protestanti hanno pochi fedeli… Per completare il quadro, si aggiunga il dilagare della corruzione, l’alto tasso di disoccupazione, (22,6%), il deterioramento dei servizi pubblici, cominciando dall’elettricità e dall’acqua, per arrivare alla sanità e al sistema educativo.

Si noti, al riguardo, che la percentuale di analfabetismo è salita fino all’8,3%. Tutti questi fattori, insieme all’istigazione palese e complice su vari fronti, hanno spinto molti cristiani, ormai sfiduciati, ad emigrare, alla ricerca di un futuro sicuro per sé e per i propri figli. Sicché molti di loro si sono trasferiti in Libano, in Giordania, in Turchia, con la speranza di raggiungere l’Occidente”.

Però nel Paese esiste anche la divisione tra i cristiani: “Anche i rapporti fra le chiese hanno influenzato negativamente l’andamento della situazione generale. In realtà, le chiese non sono unite tra loro: manca una visione chiara e condivisa, non c’è lavoro di squadra, nonostante tutti gli sforzi del Patriarcato caldeo in questa direzione.

Forse, a causare il deterioramento dei rapporti sono stati anche il nazionalismo, in cui alcune chiese si sono trincerate, nonché il finanziamento da parte di alcune autorità, e la formazione sorpassata e non adeguata dei membri del clero. Il fatto è che quando una chiesa non si rinnova, è condannata a non essere feconda”.

Nonostante ciò il patriarca non ha nascosto speranze per un ‘futuro migliore’: “Le speranze sono piccoli punti di luce che si aprono in questo oscuro orizzonte. Sono punti reali, e noi dovremmo puntare su di essi, dovremmo aumentarne il numero, ingrandirli, diffonderli… Per noi cristiani c’è la libertà di costruire chiese, di pubblicare…

Francamente, notiamo oggi nella popolazione irachena una sensibilità più profonda (si pensi alle manifestazioni a Bassora, a Baghdad ed in altre città), una più marcata sete di pace, libertà, giustizia e riconciliazione; più forte è la percezione di valori quali il rispetto dei diritti umani, la democrazia, la tutela del pluralismo, la lotta al settarismo in favore dell’identità nazionale, e la costruzione di un vero e proprio Stato… Ci sono segni di speranza.

Noi, come Chiesa, abbiamo fatto grandi sforzi nell’accogliere 120.000 sfollati provenienti da Mosul e dalla Piana di Ninive, garantendo loro vitto e alloggio, e assicurando ai bambini l’accesso alla scuola. Tutto questo l’abbiamo fatto per più di tre anni, con la collaborazione di varie istituzioni ecclesiastiche in patria e all’estero. Abbiamo anche fatto degli sforzi enormi attraverso le nostre relazioni e il dialogo con le autorità religiose musulmane per difendere i diritti dei cristiani e per rassicurarli”.

Ed infine ha rivolto un appello all’Occidente per non abbandonare l’Irak: “I cristiani e le altre minoranze hanno bisogno di garanzie per poter rimanere nelle loro terre, per dare un seguito alla loro storia millenaria, per convivere con i loro connazionali. Vorrebbero che lo Stato li facesse sentire cittadini a tutti gli effetti, con diritti e doveri, come gli altri, senza distinzioni e discriminazioni. Ma questo finora non è stato realizzato e questo fatto lascia aperte molte domande.

I cristiani vorrebbero una presa di posizione chiara ed ufficiale, in cui si esprima il rispetto della loro peculiarità e delle loro zone, la protezione da qualsiasi aggressione e da qualsiasi legge che li opprime. Hanno bisogno di recuperare la fiducia nei loro vicini nelle aree liberate dal Daesh, tramite procedure concrete, quali la punizione dei criminali, il risarcimento dei danni a favore delle vittime, la restituzione delle proprietà ai proprietari originari, la rimozione delle mine dai campi, la ricostruzione delle loro abitazioni, il miglioramento dei servizi essenziali, l’offerta di opportunità di lavoro”.

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