Paronetto: mons. Bello vescovo dell’avvento

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Mancano pochi giorni alla visita pastorale di papa Francesco ad Alessano e Molfetta, città natale e sede episcopale, per ricordare i 25 anni della morte di mons. Tonino Bello. E per scoprire la bellezza delle parole di questo vescovo, che è stato presidente di Pax Christi è stato editato un volume, ‘Un’eredità che viene dal futuro: don Tonino Bello’, di Sergio Paronetto, che è un piacere leggere, come ha scritto nella prefazione il vescovo di Bologna, mons. Matteo Zuppi:

“Si tratta di pagine che costituiscono «un invito a lasciarci conquistare il cuore dalla ferma risolutezza di questo profeta, dal suo coraggio per vincere il nemico dell’uomo, dalla sua poesia che aiuta a vedere e toccare il prossimo, dalla sua contemplazione che ci permette di scegliere per non restare indifferenti e per aprire gli occhi sulle realtà di Dio, quelle del cielo e quelle della terra”.

Secondo Paronetto l’eredità che mons. Bello ha lasciato riguarda la società con le scelte della pace e della nonviolenza, dell’evangelizzazione e della costruzione della civiltà del diritto, dell’incontro personale con i poveri e i più deboli: “Poeta e profeta, amico dei poveri, educatore e maestro di nonviolenza, martire della pace, cantore della vita, credente credibile, testimone del Vangelo, contemplativo nell’azione. Per tutti noi è seme, segno e sogno”.

Mons. Bello ha sempre manifestato una coerenza straordinaria ad un Vangelo da vivere alla lettera, in una Chiesa disarmata e samaritana, capace di farsi povera non accontentandosi di un po’ di volontariato, pronta ad abbandonare i segni del potere, a tessere la convivialità delle differenze, a rinunciare a privilegi e alle gratificazioni, come pure alle tentazioni della tiepidezza e dell’indifferenza.

Ed ecco nel libro l’esortazione a ‘spalancare la finestra del futuro, progettando insieme, osando insieme’, e l’intreccio con personaggi che hanno creduto nella pace: Primo Mazzolari, Aldo Capitini, Lanza del Vasto, Giorgio La Pira, Giovanni XXIII, Lorenzo Milani, Martin Luther King, David Maria Turoldo, Ernesto Balducci, Oscar Romero, Marianela Garcia, Hildegard Mayr, Alexander Langer, Giovanni Paolo II, Luigi Bettazzi, segnati dal ‘sogno maturo e realista della pace’.

Infatti don Tonino Bello sapeva che ‘la nonviolenza è una cultura ancora debole’, ma era consapevole che ‘la pace è un’arte che si impara’. Da presidente di Pax Christi partecipa e promuove le mobilitazioni contro i missili a Comiso; gli incontri contro i mercanti di morte all’Arena di Verona; le marce della Perugia-Assisi; i convegni sull’obiezione di coscienza, la legalità, i nuovi stili di vita, l’attenzione alle povertà; e pochi mesi prima di morire la marcia a Sarajevo nel dicembre 1992, come scrive l’autore:

“Il viaggio a Sarajevo, vissuto come segno ‘francescano’ e come anticipazione di una ‘Onu dei popoli’, costituisce per don Tonino l’occasione di un approfondimento della tematica nonviolenta (con grande interesse di Alexander Langer e di Carlo Maria Martini). Durante il viaggio, la richiesta croata di armi (unita all’indifferenza o all’irrisione di molti in Italia) suscita in don Tonino un intenso dolore.

Capisce che chi vive sempre nella violenza fatica a immaginare strade nuove e che c’è bisogno di un nuovo inizio. Il bagno di realismo è utile per riaffermare la necessità di un’azione nonviolenta ampia e profonda, più coinvolgente e credibile di quella tradizionale”.

L’idea di Dio che ‘viene dal futuro’ è una riflessione del servizio pastorale di mons. Bello: “C’è nella storia, una continuità secondo ragione, che è il futurum. E’ la continuità di ciò che si incastra armonicamente, secondo la logica del prima e del poi. Secondo le categorie di causa ed effetto.

Secondo gli schemi dei bilanci, in cui, alle voci di uscita, si cercano i riscontri corrispondenti nelle voci di entrata: finche tutto non quadra. E c’è una continuità secondo lo Spirito, che è l’adventus. E’ il totalmente nuovo, il futuro che viene come mutamento imprevedibile, il sopraggiungere gaudioso e repentino di ciò che non si aveva neppure il coraggio di attendere…

Promuovere l’avvento, allora, è optare per l’inedito, accogliere la diversità come gemma di un fiore nuovo. Cantare, accennandolo appena, il ritornello di una canzone che non è stata ancora scritta, ma che si sa rimarrà per sempre in testa all’hit-parade della storia. Mettere al centro delle attenzioni pastorali il povero, è avvento. E’ avvento, per una madre, amare il figlio handicappato più di ogni altro.

E’ avvento, per una coppia felice e con figli, mettere in forse la propria tranquillità, avventurandosi in operazioni di ‘affidamento’, con tutte le incertezze che tale ulteriore fecondità si porta dietro, anzi, si porta avanti.

E’ avvento, per un giovane, affidare il futuro alla non garanzia di un volontariato, alla non copertura di un impegno sociale in terre lontane, alla gratuità e ‘inutilità’ della preghiera perché la sua testimonianza sia forte in questi tempi di confusione.

E’ avvento, per una comunità, condividere l’esistenza del terzo mondiale e sfidare i benpensanti che si chiudono davanti al diverso, per non permettere infiltrazioni inquinanti al proprio patrimonio culturale e religioso”.

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