P. Raniero Cantalamessa presenta l’umiltà cristiana

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Nel terzo venerdì quaresimale, svoltosi nella Cappella ‘Redemptoris Mater’, il Predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa ha tenuto la predica di Quaresima, incentrandola sull’umiltà cristiana, come è stata descritta da san Paolo nell’esortazione alla carità:

“Non si tratta di raccomandazioni spicciole alla moderazione e alla modestia; attraverso queste poche parole la parenesi apostolica ci apre dinanzi tutto il vasto orizzonte dell’umiltà. Accanto alla carità, san Paolo individua nell’umiltà il secondo valore fondamentale, la seconda direzione in cui si deve lavorare per rinnovare, nello Spirito, la propria vita ed edificare la comunità”.

Secondo l’Apostolo delle genti l’umiltà cristiana è paragonabile alla sobrietà: “Nella parenesi della Lettera ai Romani, san Paolo applica alla vita della comunità cristiana l’insegnamento biblico tradizionale sull’umiltà che si esprime costantemente attraverso la metafora spaziale dell’ ‘innalzarsi’ e dell’ ‘abbassarsi’, del tendere all’alto e del tendere al basso.

Si può ‘aspirare a cose troppo alte’ o con la propria intelligenza, con un indagare smodato che non tiene conto del proprio limite di fronte al mistero, oppure con la volontà, ambendo a posizioni e mansioni di prestigio. L’Apostolo ha di mira entrambe queste due possibilità e, in ogni caso, le sue parole colpiscono l’una e l’altra cosa insieme: sia la presunzione della mente che l’ambizione della volontà”.

A differenza delle filosofie san Paolo fonda il concetto di umiltà sulla verità: “Il concetto decisivo che san Paolo introduce nel discorso intorno all’umiltà è il concetto di verità. Dio ama l’umile perché l’umile è nella verità; è un uomo vero, autentico. Egli punisce la superbia, perché la superbia, prima ancora che arroganza, è menzogna. Tutto ciò infatti che, nell’uomo, non è umiltà è menzogna…

Abbassandosi, l’uomo si avvicina alla verità. ‘Dio è luce’, dice san Giovanni, è verità, e non può incontrare l’uomo se non nella verità. Egli dà la sua grazia all’umile perché solo l’umile è capace di riconoscere la grazia; non dice: ‘Il mio braccio, o la mia mente, ha fatto questo!’.

Santa Teresa d’Avila ha scritto: ‘Mi domandavo un giorno per quale motivo il Signore ama tanto l’umiltà e mi venne in mente d’improvviso, senza alcuna mia riflessione, che ciò deve essere perché egli è somma Verità e l’umiltà è verità’”.

Secondo il predicatore della Casa Pontificia san Paolo introduce il concetto di ‘giusta valutazione’: “La ‘giusta valutazione’ di se stessi è, dunque, questa: riconoscere il nostro nulla! Questo è quel terreno solido, a cui tende l’umiltà! La perla preziosa è proprio la sincera e pacifica persuasione che, per noi stessi, noi non siamo nulla, non possiamo pensare nulla, non possiamo fare nulla. Senza di me non potete ‘fare’ nulla dice Gesù e l’Apostolo aggiunge: ‘Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa…’.

Noi possiamo, all’occasione, usare l’una o l’altra di queste parole per troncare una tentazione, un pensiero, una compiacenza, come una vera ‘spada dello Spirito’: ‘Che cos’hai che non hai ricevuto?’. L’efficacia della parola di Dio si sperimenta soprattutto in questo caso: quando la si usa su di sé, più che quando la si usa sugli altri. In tal modo siamo avviati a scoprire la vera natura del nostro nulla, che non è un nulla puro e semplice, un ‘innocente nonnulla’.

Intravediamo il traguardo ultimo a cui la parola di Dio ci vuole condurre che è di riconoscere quello che veramente siamo: un nulla superbo!”

Citando sant’Angela da Foligno, p. Cantalamessa ha invitato a riconoscersi peccatori: “Al termine del nostro cammino di discesa, non scopriamo, dunque, in noi l’umiltà, ma la superbia. Ma proprio questo scoprire che siamo radicalmente superbi e che lo siamo per colpa nostra, non di Dio, perché lo siamo diventati facendo cattivo uso della nostra libertà, proprio questo è l’umiltà, perché questo è la verità.

Aver scoperto questo traguardo, o anche soltanto l’averlo intravisto come da lontano, attraverso la parola di Dio, è una grazia grande. Dà una pace nuova. Come chi, in tempo di guerra, ha scoperto che possiede sotto la sua stessa casa, senza neppure dover uscire fuori, un rifugio sicuro contro i bombardamenti, assolutamente irraggiungibile. Una grande maestra di spirito, santa Angela da Foligno, vicina a morire, esclamò:

‘O nulla sconosciuto, o nulla sconosciuto! L’anima non può avere migliore visione in questo mondo che contemplare il proprio nulla e abitare in esso come nella cella di un carcere’. La stessa Santa esortava i suoi figli spirituali a fare il possibile per rientrare subito in quella cella, appena, per qualsiasi motivo, ne fossero usciti fuori. Bisogna fare come certe bestiole molto pavide che non si allontanano mai dal buco della loro tana tanto da non potervi rientrare subito, alla prima avvisaglia di pericolo”.

Quindi, ha concluso, che l’umiltà è necessaria soprattutto per il buon andamento della vita sociale: “L’umiltà non è solo importante per il progresso personale nella via della santità; è essenziale anche per il buon funzionamento della vita di comunità, per l’edificazione della Chiesa. Io dico che l’umiltà è l’isolante nella vita della Chiesa. L

’isolante è importantissimo e vitale per il progresso nel campo dell’elettricità. Più, infatti, è alta la tensione e potente la corrente elettrica che passa attraverso un filo, più deve essere resistente l’isolante che impedisce alla corrente di scaricarsi al suolo o di provocare corti circuiti.

Al progresso nel campo dell’elettricità deve corrispondere un analogo progresso nella tecnica dell’isolante. L’umiltà è, nella vita spirituale, il grande isolante che permette alla corrente divina della grazia di passare attraverso una persona senza dissiparsi, o, peggio, provocare fiammate di orgoglio e di rivalità”.

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