L’Italia in Niger: era necessario?

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A metà gennaio la Camera dei Deputati ha approvato il decreto ‘missioni’ che contiene il via libera all’intervento in Niger, che non prevede solo l’impegno in Niger, ma anche la conferma per il 2018 delle missioni in Afghanistan, Libano, Balcani, Somalia e l’appoggio alle missioni Nato in Lettonia e Turchia.

L’intervento in Niger si inserisce nel quadro delle iniziative di coordinamento con l’Unione europea per favorire le condizioni di sicurezza nel Paese e negli Stati del cosiddetto G5 del Sahel. Missione, di cui l’Italia ha chiesto di essere ‘membro osservatore’, nata dalla richiesta giunta nel novembre scorso dal Paese africano. Quindi non sarà una missione ‘combat’, ma di addestramento, ha chiarito il ministro della Difesa Roberta Pinotti, intervenuta insieme al ministro degli Esteri Angelino Alfano.

Però il decreto interviene anche a rimodulare tutto il nostro impegno sulle missioni, riducendo gradatamente le presenze italiane in altri scenari (in Iraq saranno dimezzati gli attuali 1.500 militari presenti, mentre in Afghanistan si passerà da 900 a 700) e rafforzando quelle nel continente africano. In Libia si passa dalle attuali 370 a 400 unità e 470 sono quelle previste, ora, per questo impegno in Niger: 120 nel primo semestre per poi raggiungere il numero massimo entro fine anno; saranno inviati anche 130 mezzi terrestri e due aerei con una spesa prevista per l’operazione è € 49.500.000 per tutto l’anno.

Complessivamente nell’arco dell’anno saranno 6.698 i militari impegnati in teatri internazionali, per una spesa di € 1.500.000.000. In Niger non è previsto un pattugliamento dei confini, in quanto il Paese africano vuole mantenere il controllo diretto degli stessi, anche se ha chiesto all’Italia un’attività di supporto di tipo formativo e informativo.

Nella Libia saranno accorpati, invece, in una nuova missione i compiti dei due attuali interventi (Operazione Ippocrate con ospedale da campo a Misurata ed il supporto alla Guardia costiera libica) e ci saranno nuove attività, anche in questo caso soprattutto di addestramento e favore delle forze di sicurezza locali, nonché ripristino infrastrutture.

I 400 militari si avvarranno di 130 mezzi terrestri, mentre aerei e navi saranno dirottati dall’operazione ‘Mare Sicuro’. Secondo Andrea de Georgio, giornalista dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) la militarizzazione del Niger, con i contingenti francesi, americani e tedeschi attivi nella lotta al terrorismo con soldati, basi e droni armati, si concentra soprattutto ad Agadez, crocevia regionale dove l’attività di molte persone dipendeva, fino a poco tempo fa, dal transito dei migranti.

L’applicazione di una legge che criminalizza il traffico di esseri umani ha contribuito al contrasto dei gruppi criminali ma ha reso il viaggio verso la Libia più pericoloso, lungo e costoso. Secondo diverse associazioni nigerine, come primo effetto della chiusura di Agadez, sono infatti aumentate drasticamente le morti di migranti nel deserto, già stimate fra due e tre volte superiori a quelle nel Mediterraneo:

“Se è facile capire le ragioni strategiche dell’ex madrepatria coloniale nel Sahel e in particolare in un paese come il Niger, in cui esistono importanti giacimenti di uranio, petrolio, gas naturali e oro e dove il colosso francese Areva estrae il 30% dell’uranio utilizzato nelle centrali nucleari di Francia, non paiono invece ancora chiari gli interessi economici italiani che si celano dietro un impegno militare corposo, costoso e pericoloso come quello che sta per cominciare a Niamey e Madama”.

Di tutt’altro avviso l’analisi di Arturo Varvelli, ricercatore sempre dell’ISPI, che ha considerato il risultato di un processo di collaborazione competitiva con la Francia, in quanto i due Paesi si sono trovati su posizioni divergenti relativamente alla stabilizzazione della Libia e alle politiche di gestione della questione migratoria.

Tuttavia nell’ultimo periodo sembrano aver trovato un comune denominatore basato sulla collaborazione nel controllo del problema migratorio al quale entrambi i paesi sono esposti. Per l’Italia, agire in Niger, e in particolare al confine con la Libia, è più vantaggioso e opportuno che collocare truppe nel Sud della Libia, un’area profondamente insicura:

“La storia di sollecitazioni sulla questione migratoria è reciproca e lunga almeno tre anni. Se osserviamo come il focus del problema si sia geograficamente spostato dal confine italo-francese (Ventimiglia-Mentone) a Lampedusa, sino alle coste libiche fino ad arrivare al Niger, comprendiamo come il prodotto di questa obbligata concertazione di azioni tra Italia e Francia sia un lento spostamento a sud dell’attenzione verso la radice dei problemi:

i paesi di transito, che dai traffici ricavano proventi economici, e i paesi di provenienza, con motivazioni economiche e sociali più profonde alla base delle partenze. Il rischio che la regia delle operazioni militari cada nelle mani dei francesi è compensato quindi dalla possibilità di essere presenti e avere voce in capitolo in un’area che è diventata strategica anche per l’Italia. Se tra Macron e Gentiloni esiste un intento politico forte di collaborare per un interesse comune, ovvero il contenimento dei flussi migratori, i vantaggi alla fine saranno per entrambi i paesi”.

Ma dalle pagine di Avvenire il coordinatore nazionale di Pax Christi, don Renato Sacco, aveva chiesto un ripensamento sulla strategia italiana in Niger a 100 anni dall’ ‘inutile strage’: “Non abbiamo imparato nulla! Penso all’invio dei militari in Niger, alle bombe contro i civili nello Yemen, alle bombe nucleari presenti a Ghedi e ad Aviano: tutto questo conferma come la guerra sia sempre più considerata un affare. Anche per questo le spese militari non vengono mai tagliate, anzi l’Italia spenderà circa € 27.000.000.000 in questo 2018: circa € 2.600.000 ogni ora.

E’ una follia! Quante bugie e quanta retorica sulle armi e sulla guerra, che non viene più considerata una tragedia, ripudiata anche dalla Costituzione, ma una scelta possibile, se non addirittura giusta. La stessa cosa vale per i caccia da guerra F-35, assemblati a Cameri, in provincia di Novara.

Il progetto militare più costoso della storia! Noi tutti, da Pax Christi a Rete Disarmo alle associazioni e movimenti ecclesiali, ricordiamo sempre che ogni aereo costa 130 milioni di euro. E poi mancano i soldi per la sanità, il lavoro, i giovani, le pensioni, la tutela del territorio. Ricordiamo anche le parole di papa Giovanni XXII nella ‘Pacem in Terris’: ‘Alienum est a ratione’, vale a dire è pura follia”.

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