Natale: un Bambino capace di cambiare la storia

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Nell’Angelus di domenica scorsa papa Francesco ha invitato a meditare sulla gioia natalizia: “La gioia che caratterizza l’attesa del Messia si basa sulla preghiera perseverante: questo è il secondo atteggiamento. San Paolo dice: ‘Pregate ininterrottamente’. Per mezzo della preghiera possiamo entrare in una relazione stabile con Dio, che è la fonte della vera gioia.

La gioia del cristiano non si compra, non si può comprare; viene dalla fede e dall’incontro con Gesù Cristo, ragione della nostra felicità. E quanto più siamo radicati in Cristo, quanto più siamo vicini a Gesù, tanto più ritroviamo la serenità interiore, pur in mezzo alle contraddizioni quotidiane.

Per questo il cristiano, avendo incontrato Gesù, non può essere un profeta di sventura, ma un testimone e un araldo di gioia. Una gioia da condividere con gli altri; una gioia contagiosa che rende meno faticoso il cammino della vita”.

E molti vescovi hanno scritto lettere di Natale ai fedeli: da Cremona mons. Napolioni invita la Chiesa ad essere missionaria: “Il Figlio di Dio viene in mezzo a noi, nasce, vive e si dona per una precisa missione: essere segno dell’amore di Dio per il mondo, per ogni uomo. E se questa fosse la nostra stessa missione?

Auguro a ciascuno di specchiarsi così nel presepe, nell’Eucaristia, nella multiforme presenza di Gesù, per approfondire il senso della propria esistenza, e dare buona direzione ai propri passi. Per accogliere l’Amore ed esserne segno umile e credibile. La ‘missione del Natale’ è quella di nascere, di far nascere, di rinascere.

Anche in un tempo di declino e indecifrabile mutamento come quello che ci mette alla prova. Scorgere il Nascente dentro di noi, negli altri, nei giovani, nella diversità, nel futuro. Il Bambino di Betlemme, infatti, non invecchia, se si ridesta la fiducia in chi lo guarda e lo accoglie nella propria vita”.

Dalla diocesi di Torino, mons. Cesare Nosiglia, invita a seguire la stella, sottolineando il termine della gioia della ‘nascita’: “Solo ciò che nasce dall’amore guarisce la solitudine e solo chi mette al centro della propria vita il valore delle persone, prima che le cose e i servizi, riesce a gustare la gioia dell’incontro.

L’amore lenisce le ferite dell’anima, quando è continuo e mostra che la persona e le sue esigenze contano più di tutto: dei soldi, del doppio lavoro, della casa bella e ricca di cose, delle feste. Solo l’amore penetra dentro ed è il balsamo che guarisce. E l’amore esige tempo, tanto tempo per stare vicino, per parlarsi ed ascoltarsi, per condividere, per guardare negli occhi e sentire il cuore di una persona.

Ma non è solo l’amore umano, pure forte e importante, che sta a fondamento di relazioni sincere e feconde di bene: occorre l’amore di Dio, che cementa la comunione di vita nelle case con la sua divina presenza. Fare posto nelle relazioni familiari al Signore ci fa comprendere quanto importante sia trovare il tempo, nella propria casa, per la preghiera, via privilegiata che permette di scoprire ed accogliere ogni giorno la volontà di Dio.

Natale può essere il momento propizio per iniziare. Attorno al presepe ci si può trovare insieme, genitori, figli, anziani, per ascoltare i racconti della nascita e dell’infanzia di Gesù, gustarne la semplicità e la ricchezza di fede e di annuncio”.

Mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo della diocesi di Novara, invita i fedeli ad avere lo sguardo di Giuseppe, partendo da un dipinto della chiesa di Fobello: “La figura di Giuseppe, solitamente in posizione secondaria, è qui ritratta in primo piano. Egli si rivolge con il suo sguardo a noi che guardiamo la scena.

Stanco del viaggio, stupito del mistero che stava accadendo alla sua sposa, è seduto su un sasso, impugnando il bastone che lo aveva sostenuto nel faticoso cammino. Gesù è venuto alla luce e Giuseppe è davanti al mistero del Figlio. L’uomo giusto, cui è affidata la custodia della vita di Gesù, volge insolitamente il volto verso di noi e con uno sguardo penetrante ci interpella. Col gesto della sua mano, invita ad accostarsi, come e con i pastori, alla Parola fatta bambino. Di Giuseppe la Scrittura non riporta nemmeno una parola.

Egli parla con uno sguardo e un gesto che, nell’impostazione dell’opera, sono gli elementi più eloquenti. Tutti gli altri personaggi non hanno contatto con l’osservatore. Solo Giuseppe si preoccupa di renderci partecipi dell’opera di salvezza. Egli è il padre legale che deve custodire il segreto di Gesù.

Gli dà il nome e accoglie con sé Maria come sua sposa. Questo è il suo compito: dare il nome è riconoscere lo spazio per la missione di Gesù, prendere con sé la sua possa è accogliere il segreto del Figlio nel grembo di una famiglia”.

A Bologna mons. Matteo Zuppi ha affidato il suo messaggio agli universitari: “La speranza chiede uomini forti, non ingenui ottimisti. Difendiamo il diritto alla speranza iniziando da noi, per combattere contro la retorica della paura e dell’odio, che fa credere di trovare risposte senza sacrificio, senza perseveranza, con una scelta muscolare per poi addormentarsi. Il diritto alla speranza è Gesù che lo indica e ce lo affida.

Quanto è importante l’invito insistente di papa Francesco: non fatevi rubare la speranza. Perché avvenga, infatti, ci vuole poco: basta lasciare che qualcuno la spenga, con il cinismo, il calcolo, il tornaconto personale che è messo prima di tutto. La speranza ci chiede di scegliere perché non sia un miraggio da raggiungere. Il futuro dipende da me e il futuro inizia oggi.

Non lasciamoci rubare la speranza. La toglieremmo agli altri. Diceva don Milani che ‘chi sa volare non deve buttar via le ali per solidarietà coi pedoni, deve piuttosto insegnare a tutti il volo’. Il cristiano costruisce il futuro, non lo attende soltanto. Scriveva don Tonino Bello: ‘Il cristiano ha la grinta del lottatore, non la rassegnazione di chi disarma’. Ha la passione del veggente, non l’aria avvilita di chi si lascia andare. Cambia la storia, non la subisce”.

Da Ischia mons. Pietro Lagnese richiama l’attenzione sullo scorso terremoto: “A te, più che dire parole (quante ne sono state dette e quante ancora se ne diranno!) vorrei dare innanzitutto un abbraccio. Sì, un abbraccio; e chiederti di vedere, in quello del tuo povero vescovo, l’abbraccio stesso di Dio. A te che trascorrerai questi giorni tanto particolari come mai avresti immaginato: fuori di casa.

A te che da quella sera del 21 agosto sei senza casa, perché la tua è lesionata o, peggio, irrimediabilmente danneggiata e sei abitato da tanti ‘se’, ‘dove’ e ‘quando’. A te che ti ritroverai il giorno di Natale ospite in albergo o in una casa che non è tua, e andrai a Messa altrove perché anche la tua chiesa è inagibile”.

Nella lettera il vescovo sottolinea la novità della festa di Dio: “Natale è qui! Sì, ciò che vivi è Natale. Se ci rifletti, Natale è infatti la festa di un Dio che è senza Casa. E ti dico questo non soltanto perché anche Lui quando venne tra noi visse il dramma di non trovare casa, e non essendoci posto per Lui, nacque in un alloggio di fortuna; e neppure perché appena nato fu costretto con i suoi a fuggire in Egitto, profugo proprio allo stesso modo, come quelli di oggi.

Il motivo è prima di tutto un altro. Natale è la festa di Dio che lascia la sua Casa. Natale è la festa di un Dio sfollato che ha perso la sua abitazione per venire a stare con noi. E sai perché lascia la sua Casa? Per venirci a cercare… Egli è innamorato dell’uomo! Lo ama così tanto che, pur nel rispetto della sua libertà, non si rassegna a vederlo perso lontano da lui. E perciò esce di Casa e si mette a cercarlo”.

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