Un solo pane e un solo corpo

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Alla vigilia della sua morte, Gesù, in sua memoria, non ci ha lasciato né reliquie né messaggi, ma ha consegnato ai suoi discepoli, e tramite loro a tutta l’umanità, il suo Corpo dato e il suo Sangue versato nel sublime sacramento del Convito pasquale. L’antica pasqua ebraica era colma di ricordi. Essa celebrava e ravvivava l’evento della liberazione e il patto dell’alleanza, il cammino nel deserto e l’ingresso nella terra promessa. Questi eventi trovano la loro pienezza nella nuova Pasqua di Gesù: il sacrificio della croce e la gloria della risurrezione. Nell’ultima cena Gesù sostituisce se stesso come contenuto e ragione della Pasqua. Egli ormai è l’Agnello che si deve consumare e il suo sangue che sta per versare sancisce la nuova Alleanza. Il Servo sofferente in cui il Padre compie la redenzione è Lui.

Gesù disse di se stesso, come persona, di essere la manna venuta dal cielo da assumere mediante la fede (cf Gv  6, 26, 51). In particolare lo disse della sua carne, del suo corpo e del suo sangue (cf Gv  6, 26-51). Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare? (Gv 6, 52). Possiamo colpevolizzare i giudei di avere mormorato e di essersi litigati? Bisogna riconoscere che a una simile proposta si risvegliano anche nei credenti mormorii che solo la grazia di Dio può vincere.

Ascoltare Gesù è mangiare un pane venuto dall’alto e con esso saziare la fame che sale dal profondo del nostro cuore. La vita eterna non è, come insegna Platone, sopravvivenza dello spirito ma, come afferma Gesù, risurrezione della nostra interezza umana e ingresso definitivo nella vita stessa di Dio. Il “cibo di vita eterna” è disponibile soltanto a chi ha quella fede che, grazie allo Spirito che vivifica, è capace di superare lo scandalo della croce. Il paradosso delle opere di Dio non inizia dall’eucaristia, ma vi finisce e vi si ricapitola perché essa è l’estrema prova d’amore con cui Dio ha amato il mondo. 

Un Prefazio della messa così canta: “Sacerdote vero ed eterno, egli istituì il rito del sacrificio perenne; a te, o Padre, si offrì vittima di salvezza e comandò a noi di perpetuare l’offerta in sua memoria”. Un altro testo del prefazio proclama: “Nell’ultima cena con i suoi apostoli egli volle perpetuare nei secoli il memoriale della salvezza mediante la croce e si offrì a te, agnello e sacrificio a te gradito”. Cristo, quindi, si offrì, una volta per tutte, come oblazione che redime l’umanità intera. Sulla croce dà inizio alla nuova storia dell’amore che si perpetua nell’eucaristia celebrata dalla Chiesa. Nel rivivere la Passione, si accende in noi la speranza della risurrezione. Non è possibile risorgere se non passando per la via crucis di Cristo. Nel sacrificio della croce è creato l’uomo nuovo per la risurrezione. L’Eucaristia ci assimila a Cristo paziente per configurarci al Cristo glorioso e fonda quest’unità di vita in attesa della risurrezione nell’ultimo giorno.

L’eucaristia è il segno efficace dell’unità e dell’amore della Chiesa: la moltitudine dei credenti diventa un corpo solo. La Chiesa sarà sacramento della presenza di Cristo se questa moltitudine, vivendo la carità, formerà un corpo solo. “In questo grande mistero”, canta ancora un altro prefazio, “tu nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra”. Alla mensa pasquale della Chiesa, ricevendo il Corpo e il Sangue di Cristo, di conseguenza, in una pienezza compiuta, riceviamo anche lo Spirito.

C’è il pericolo di fare della celebrazione della Messa, una “cosa sacra”, un “gesto magico”, una “sceneggiata religiosa”: niente di più pericoloso! E’ l’Agnello di Dio in persona, è lo Spirito personale del Padre e del Figlio che ci sono dati. Come figli di Dio, nutrendoci dell’unico Pane di Vita, formiamo “un cuor solo e un’anima sola”: Chiesa di Dio, Chiesa di santi! Non quindi un’eucaristia su nostra misura, come elogio della nostra fraternità, ma come sacrificio di Cristo che redime, che ottiene “benefici nella vita presente” e ci conferma “nella speranza dei beni futuri”.

San Paolo annunzia la grande verità della Chiesa come comunione intima e profonda con Cristo e in Cristo tra i fedeli cristiani. Attraverso la partecipazione alla divina Eucaristia si stabilisce una comunità misteriosa di vita data dallo Spirito Santo che è il medesimo che ha trasfigurato il Capo e trasfigura le membra. Cristo è l’unico pane, cibandoci di lui tutti veniamo a formare un solo corpo (cf. 1Cor 10, 16-17). San Giovanni Damasceno afferma: “L’Eucaristia è vera comunione perché noi per essa siamo uniti a Cristo e partecipiamo alla sua carne e divinità. Ancora è comunione perché noi per essa siamo uniti tra noi…membra gli uni degli altri, concorporei di Cristo” (De fide orthodoxa, IV, 14).

Nella comunità cristiana le divisioni sono sempre indice di una sorta di prevalenza di sé stessi su Gesù Cristo. E’ Lui che fa la Chiesa! Quando questa certezza, che nessuno in teoria contesta, diventa modo pratico di agire, allora appare impellente il bisogno dell’unità, che non è sterile uniformità. Unità che vince le discordie e promuove i carismi in vista della sublime ricchezza della comunione. Con la partecipazione all’Eucaristia siamo costituiti in unità dallo Spirito del Padre e di Gesù Cristo, e pertanto siamo edificati come Chiesa della Trinità. La luce che la Chiesa fa scendere sul mondo viene dall’unità concorde che la dispone alla conversione e all’amore verso tutti. La Chiesa luminosa è punto di riferimento del mondo, e per questo deve meravigliare il mondo proprio per questa sua luce di verità nella carità. Il Dio che invia Colui che è il Pane di vita è lo stesso Dio che suscita la fame che rende capaci di desiderarlo e di accoglierlo.

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