Paolo De Benedetti: la luce del Natale

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Nelle scorse settimane è morto il teologo Paolo De Benedetti, che ha dedicato la sua vita in ascolto di Dio: il Dio degli ebrei, anzitutto, per De Benedetti il Dio della propria famiglia, cui dedicare la passione dello studioso; e poi il Dio dei cristiani, per lui il Dio della formazione all’Università Cattolica e del magistero presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e gli istituti di scienze religiose di Trento e di Urbino.

Nel 1987 scrisse per ‘Servizio della parola’ un articolo sul significato del Natale, ‘Che significato ha la scelta di Isaia per il Natale’, ricordando che la sua origine è ‘pagana’: “Rappresenta dunque, se non la prima, la più vistosa iniziativa non biblica della chiesa dei gentili, e può essere paragonata alla cristianizzazione delle basiliche e dei templi, o della filosofia.

Ma proprio l’antefatto pagano, la cui sostituzione o consacrazione potrebbe essere stata dettata da preoccupazioni pastorali o da propositi di opposizione, forniva un tema, quello della luce, che permetteva a sua volta un reinserimento della festa cristiana nella tradizione biblica.

Non si può dire se a ciò abbia contribuito qualche ricordo della chiesa giudeo-cristiana relativo alla festa giudaica di Hanukkà (dedicazione), detta anche ‘festa delle luci’, che cade pressappoco nello stesso periodo di natale, commemora la riconsacrazione del tempio a opera di Giuda Maccabeo e si celebra con una grande luminaria del tempio.

Il tema della luce, nella liturgia natalizia, è legato a tre fonti, in parte intrecciate: le letture di Isaia, i vangeli di Luca, e l’idea giovannea del Verbo, associata a quella di ‘gloria’ (ebraico kavod) o manifestazione di Dio, già giudaica, e da Giovanni inserita in una vera teologia della luce”.

Questa combinazione degli elementi permette di approfondire a De Benedetti il significato messianico: “Le letture di Isaia hanno dunque il significato di adempimento messianico culminato nell’apparizione di colui che illumina gli uomini. L’opposizione luce-ombra, che si legge per esempio nella prima lettera della prima messa, ha la caratteristica unica, in confronto alle religioni e alle filosofie dualistiche, di essere finita e superata proprio nel mistero del natale.

I cristiani partecipanti al culto natalizio sapevano che, come dice Giovanni ‘Dio è luce’, e Cristo era la luce vera del mondo: perciò i testi di Isaia suonavano loro come un esplicito e gioioso annuncio di Cristo… Gli altri due nuclei di Isaia sono la nascita di un pargolo (prima messa) a cui il profeta attribuisce i titoli divini di Consigliere, Dio forte, Padre sempiterno e Principe della pace; e, nella terza e specialmente nella seconda messa, la ‘venuta’ espressa con uno stile e uno spirito che è quello del Cantico dei Cantici e di alcuni salmi: cioè regio-nuziale.

Il regno o lo sposalizio sono due modi biblici di designare l’alleanza: alleanza che con la luminosa manifestazione del Messia è entrata nella sua maturità escatologica. Da queste considerazioni risulta evidente come, in armonia con l’uso liturgico orientale, natale ed epifania dovrebbero essere considerate unitariamente l’accoglienza festosa della luce e della gloria in cui termina l’attesa profetica”.

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