Il viaggio del Papa in Armenia spiegato da Francesco Gagliano

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Dal 24 al 26 giugno papa Francesco si recherà in Armenia, definita la ‘prima Nazione cristiana nella storia’, poiché re Tiridate III, nel 301, proclamò il cristianesimo religione di stato. Poi dal 30 settembre al 2 ottobre il papa visiterà poi Georgia e Azerbaigian: i tre paesi hanno 17.000.000 di abitanti circa, di cui i cattolici sono solo 3,6%.

In Armenia la Chiesa ha avuto molti martiri, iniziando da san Gregorio l’Illuminatore, vescovo, fondatore e santo patrono della Chiesa apostolica armena, considerato il padre della rinascita della Chiesa armena, ha attraversato torture e persecuzioni; fino ad arrivare al genocidio del 1915. Per comprendere i motivi di questo viaggio papale in Armenia, Georgia e Azerbaigian, abbiamo rivolto alcune domande a Francesco Gagliano, collaboratore de ‘Il Sismografo’:

“Ha detto bene, si tratta di un unico viaggio diviso in due tappe: la prima a fine giugno in Armenia, la seconda, a settembre, in Georgia e Azerbaigian. Non due viaggi distinti dunque ma uno solo in una regione, il Caucaso, che ancora una volta è una di quelle periferie privilegiate dal Pontefice per ‘guardare meglio e con un’altra prospettiva al centro’.

Il Caucaso è una vera e propria cerniera geografica e culturale tra Europa e Asia, non è casuale che sia stata scelta come meta da un papa come Francesco che è molto sensibile a questioni ‘di confine’, cioè lontane – spesso in senso geografico ma non solo – dall’opinione pubblica occidentale e sulle quali sarebbe invece opportuna una conoscenza maggiore. Quell’area, tra XIX e XX secolo, è stata un vero e proprio terreno dove le potenze occidentali (Regno Unito, Francia, Germania) hanno duellato con quelle orientali (Impero Russo prima, Urss e Federazione Russa dopo, Impero Ottomano e, successivamente, Turchia).

E’ una regione che ha conosciuto drammi legati a questioni politiche, religiose, etniche: il pensiero va subito al genocidio del popolo armeno del 1915 ma penso anche alle tensioni scoppiate tra l’Ossezia del sud e la Georgia in seguito alla caduta dell’URSS e a quelle, spesso altrettanto violente e sanguinose, tra la Russia e i suoi ex stati satelliti.

Tutta la regione non è esente da situazioni simili, credo che il Papa abbia deciso quindi di recarsi qui, in questi ‘Balcani alle porte dell’Asia’, proprio per gli stessi motivi che l’hanno portato in Albania e Bosnia; per chiedere che cessino queste spirali di violenza politica ed etnica che appartengono ad un secolo, il novecento, ormai superato ma che ha lasciato una pesante e irrisolta eredità”.

Il logo della visita in Armenia è ‘Visita al primo paese cristiano’: oggi cosa resta?
“Moltissimo, l’Armenia è una paese estremamente orgoglioso della sua storia, inseparabile dalla sua fede cristiana, e questo ancor prima che questo sentimento venisse cementato dal Metz Yeghérn, il Grande Male, come gli armeni chiamano il genocidio che ha sconvolto il loro popolo nel 1915.

L’Armenia è stato il primo paese a diventare ufficialmente cristiano, ben 80 anni prima dell’Impero Romano e nel corso della storia ha difeso strenuamente la sua identità: basti pensare che – assieme a San Gregorio l’Illuminatore, che convertì il paese al cristianesimo – un’altra figura eroica e ancora onorata a distanza di secoli è Vardan Mamikonian, santo venerato da tutte e tre le chiese armene (apostolica, cattolica ed evangelica).

Questi era un generale che nel 451, pur sconfitto in battaglia dai persiani Sasanidi, permise che gli armeni potessero continuare ad esercitare liberamente il cristianesimo. Oggi ovviamente le cose sono diverse ma credo che questa memoria delle proprie origini, sia mantenuta viva e considerata indispensabile nell’individuare il ruolo degli armeni moderni nel mondo”.

Papa Francesco incontrerà il Catholicos Karekin: sarà un ulteriore passo verso l’unità delle Chiese?
“Francesco ha già incontrato il Catholicos Karekin II in due occasioni: la prima l’8 maggio 2014, ricevendolo in Udienza, e la seconda il 12 aprile dell’anno scorso, in una celebrazione eucaristica per i fedeli di rito armeno in San Pietro. In pieno spirito ed eredità del Concilio Vaticano II Francesco sta rinsaldando i rapporti con tutte le altre Chiese cristiane, basti pensare all’incontro tenutosi a Cuba con il patriarca ortodosso Kirill a febbraio scorso, o alla visita compiuta a Lesbo con l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos e il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo.

Ora il Papa sarà ospite del Catholicos armeno e questo è senza dubbio un segno di grande fratellanza; credo che il messaggio che il Papa voglia mandare sia molto semplice: siamo tutti fedeli di una sola religione, siamo tutti fratelli in Cristo. Questo è quello che ci accomuna e i secoli di storia che hanno creato differenze liturgiche e di riti, gli anatemi e le scomuniche che ci siamo scagliati non possono più intaccare l’essenza della nostra parentela.

Aggiungerei una cosa: ho l’impressione che per il Papa, così come per gli altri leader cristiani, il superamento di queste differenze sia percepito come un imperativo categorico, specie di fronte ai drammi di questi nostri tempi che sono giustamente valutati come i veri nodi cruciali dell’umanità tutta, al contrario di altri di cui ormai se ne è persa l’origine nei meandri della storia”.

Infine ribadirà il riconoscimento del genocidio degli armeni?
“Quando, nell’aprile 2015, Francesco ha incontrato la seconda volta Karekin II ha pronunciato queste parole: ‘la nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come ‘il primo genocidio del XX secolo’ (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001); essa ha colpito il vostro popolo armeno (prima nazione cristiana), insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci.

Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi. Le altre due furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo’. In occasione del centenario Francesco è stato chiaro: il genocidio armeno è stato il primo del XX secolo. Al contrario però di altre tragedie simili, come la Shoah, lo Metz Yeghérn è quasi sconosciuto, poco studiato anche nei programmi scolastici, al punto da non essere riconosciuto a livello mondiale.

E’ di questi ultimi giorni la notizia che il parlamento tedesco, unendosi a altri undici che lo avevano preceduto, ha ammesso quasi all’unanimità che quello avvenuto dentro i confini dell’agonizzante impero ottomano non fu un massacro di armeni, effetto collaterale di una guerra civile, ma un vero e proprio genocidio. Sterminio sistematico e neutralizzazione di una componente etnica facente parte, all’epoca, di una realtà politica sovranazionale.

Ed è inquietante notare che questa cosa, non nelle stesse dimensioni di un secolo fa, si sta ripetendo da tempo nei confronti dei curdi. Naturalmente la reazione di Erdogan è stata dura: l’ambasciatore turco a Berlino è stato richiamato così come quello presso la Santa Sede l’anno scorso, in seguito alla dichiarazione riportata poche riga sopra le cui parole erano state bollate come ‘stupidaggini’ dal dodicesimo presidente della Repubblica Turca.

Alla luce di tutto questo – e senza dimenticare che il Pontefice romano è pur sempre un capo di Stato a tutti gli effetti e che quindi deve pesare le parole da pronunciare – credo proprio che Francesco non mancherà di ricordare ancora una volta che cent’anni fa, in quei luoghi che visiterà tra venti giorni, si consumò la prima persecuzione sistematica ai danni di una specifica etnia. Nel programma del viaggio è prevista, per il secondo giorno, una visita allo Dzidzernagapert, il Memoriale del Genocidio a Erevan. Già questo gesto vale più di mille parole”.

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