Eritrea: aiutiamoli a casa loro

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Gli eritrei, insieme ai siriani, sono il secondo gruppo più considerevole di rifugiati che rischiano la vita attraversando il Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa. E’ recente un rapporto delle Nazioni Unite che denuncia sistematiche violazioni ad ampio raggio dei diritti umani da parte dell’Eritrea.

Il Paese africano ha chiesto all’Onu di avviare una indagine sul traffico abietto di esseri umani, esodo attribuito generalmente alle violazioni dei diritti umani. Lo scorso anno, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), sono arrivati via mare in Europa oltre 150.000 migranti. In questi viaggi pericolosi sono morte già oltre 1900 persone.

In una relazione, in cui hanno raccolto testimonianze su esecuzioni extragiudiziarie, schiavitù sessuale e lavoro forzato, hanno scritto: “Il governo eritreo è responsabile della sistematica e grave violazione dei diritti umani. Alcune potrebbero essere definite crimini contro l’umanità”.

Hanno raccolto testimonianze su esecuzioni extragiudiziarie, schiavitù sessuale e lavoro forzato. Gli eritrei sbarcati in Italia nei primi sei mesi dell’anno sono stati 34.000, superando i siriani e diventando la prima nazionalità con 18.676 profughi. Infatti secondo i dati del ministero dell’Interno solo nel 2014 sono stati rispettivamente 42.323 e 34.329 su un totale di 170.000 arrivi.

Ma la stragrande maggioranza di loro non ha chiesto asilo nel nostro paese: i richiedenti siriani a fine 2014 erano appena 505 mentre gli eritrei 480: poco più di una persona su mille. Le due nazionalità non compaiono neanche tra i primi dieci paesi di provenienza dei richiedenti asilo in Italia.

La situazione non è cambiata neanche nel 2015: al 13 settembre su un totale di circa 122.000 arrivi la nazionalità più rappresentata è quella eritrea con 32.129 persone soccorse, seguita dai nigeriani 15.383, i somali 9.165, i sudanesi 7.450 e i siriani 6.826. Stando alle richieste di protezione internazionale (dato relativo ai primi 5 mesi del 2015) però quelle avanzate da siriani sono appena 132 mentre quelle presentate dai cittadini eritrei 149.

E così don Mussie Zerai, sacerdote eritreo candidato al Nobel per la Pace e presidente dell’Agenzia Habeshia, il giornalista Vittorio Longhi e l’avvocato Anton Giulio Lana dell’associazione ‘Legalità e Giustizia’ hanno lanciato una petizione all’Ue, attraverso la piattaforma Change.org., chiedendo di condizionare gli aiuti a reali passi verso la democrazia e in particolare su cinque punti:

libertà per tutti quelli che sono detenuti in modo arbitrario, tra cui dissidenti e giornalisti; libertà di espressione e di associazione; elezioni libere e democratiche con un sistema multipartitico; fine del servizio militare a tempo indeterminato; fine di ogni forma di lavoro forzato e di trattamenti abusivi, innanzitutto la tortura.

Vittorio Longhi, il cui padre era eritreo, ha spiegato questa petizione: “Con gli aiuti l’Ue spera di fermare i flussi di profughi. Ci sono due rischi: da un lato si induce l’idea che gli eritrei siano migranti economici, quando invece le Nazioni Unite dicono chiaramente che si tratta di rifugiati politici; dall’altro, si danno soldi direttamente al regime da cui queste persone scappano. Non ci sarà alcun controllo sul reale utilizzo, le organizzazioni internazionali (la stessa Commissione Onu) non possono entrare in Eritrea e le Ong sono state tutte allontanate dal paese nel 2006”.

Anche il sacerdote, di origini eritree che vive tra l’Italia e la Svizzera per aiutare i profughi, don Zerai ha ribadito che ‘per fermare l’esodo dall’Eritrea non servono altri soldi, ma democrazia e libertà’: “Fino a che lo stato di diritto non sarà ripristinato, rinnoviamo le raccomandazioni della Commissione di inchiesta ONU, affinché chi scappa dall’Eritrea abbia il diritto all’asilo o ad altre forme di protezione internazionale…

La miopia italiana ed europea e le soluzioni sin qui escogitate per fronteggiare quella che è definita ‘emergenza migranti’ ma che in realtà è un ‘esodo di massa’ (e la questione lessicale non è certamente secondaria, nel trovare poi una soluzione al problema) si chiude tutta in un popolare e quanto mai inesistente principio: ‘aiutarli a casa loro’”.

Nel petizione c’è scritto: “Noi Eritrei, discendenti di Eritrei e cittadini preoccupati per la situazione in Eritrea, rivolgiamo un appello alla Commissione Europea e ai governi dell’UE: non concedete il nuovo pacchetto di aiuti allo sviluppo, e ogni altra forma di sostegno economico, fino a che il governo eritreo si impegnerà in modo vincolante a garantire la tutela dei diritti umani fondamentali e ad attuare vere riforme democratiche, anche consentendo agli osservatori internazionali di entrare nel paese”.

E Siid Negash, giovane video-maker e componente del Coordinamento Eritrea Democratica, denuncia l’atteggiamento dell’Europa: “Il passato ha già dimostrato come tutti questi piani non funzionino: più l’Europa finanzia l’Eritrea, più il regime si rafforza e costringe le persone a scappare, e questo non si fermerà…

Quei soldi, che poi sono le nostre tasse, potrebbero invece servire per finanziare borse di studio, creare scuole nei campi profughi dei paesi confinanti, dove stanno crescendo nuove generazioni di cittadini senza patria, il cui unico futuro è la fuga”.

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