In aumento la spesa militare in Africa e in Asia

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Nell’omelia di giovedì 19 novembre durante la celebrazione eucaristica papa Francesco ha tuonato contro i mercanti di armi: “Ma anche oggi Gesù piange. Perché noi abbiamo preferito la strada delle guerre, la strada dell’odio, la strada delle inimicizie. Siamo vicini al Natale: ci saranno luci, ci saranno feste, alberi luminosi, anche presepi … tutto truccato:

il mondo continua a fare la guerra, a fare le guerre. Il mondo non ha compreso la strada della pace… Cosa rimane? Rovine, migliaia di bambini senza educazione, tanti morti innocenti: tanti! e tanti soldi nelle tasche dei trafficanti di armi. Una volta, Gesù ha detto: ‘Non si può servire due padroni: o Dio, o le ricchezze’. La guerra è proprio la scelta per le ricchezze: ‘Facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse’”.

Parole che purtroppo non arrestano l’invio di armi proprio in Paesi che con le triangolazioni armano i gruppi fondamentalisti. Infatti nello scorso anno la spesa militare mondiale ha raggiunto 1800 miliardi di dollari, in lieve flessione rispetto all’anno precedente dello 0,4%, secondo la stima del Sipri, l’Istituto sulla pace e il disarmo di Stoccolma, che nel rapporto ha sottolineato come la spesa sia calata nelle Americhe e in Europa occidentale e cresciuta in Asia, Medio oriente, Africa, Oceania ed Europa orientale.

I Paesi che più hanno speso sono Stati Uniti, da sempre al primo posto assoluto, seguiti da Cina, Russia, Arabia Saudita e Francia. Al contrario, Cina, Russia e Arabia Saudita continuano ad aumentare il loro budget militare, rispettivamente con 216, 84 e 81 miliardi. Al quinto posto la Francia con 62 miliardi.

Questi cinque Paesi valgono il 60% della spesa globale. Seguono poi, al sesto posto la Gran Bretagna, con 60 miliardi, l’India con 50, la Germania e il Giappone con 46 e la Corea del sud con 37. L’Italia è al dodicesimo posto con 31 miliardi e scende di una posizione rispetto al 2013, a causa di una spesa in diminuzione. L’anno scorso a livello regionale l’Asia insieme all’Oceania ha speso 439 miliardi di dollari, con un considerevole aumento, trainato dalla Cina.

Inoltre nello scorso anno i maggiori incrementi rispetto al 2013 sono stati registrati dall’Afghanistan, in vista del disimpegno occidentale. L’Europa ha speso 386 miliardi, di cui 292 dai Paesi occidentali e centrali e 94 miliardi da quelli dell’est. L’Ucraina a causa del conflitto in corso ha aumentato il budget 2014 del 23%, rispetto all’anno precedente. La Polonia ha incrementato la spesa del 13% e la Russia dell’8%, che è però precedente alla crisi ucraina.

Per quanto riguarda il Medio oriente, la spesa è in forte crescita, raggiungendo 196 miliardi: i Paesi che hanno maggiormente aumentato la spesa sono Iraq, Emirati Arabi, Arabia Saudita e Bahrein; il Qatar, che è diventato un importante attore economico globale, ha fatto ‘acquisti’ di armi per 24 miliardi di dollari. Infine la spesa militare africana ha raggiunto i 50 miliardi di dollari, in notevole aumento.

Per fermare i conflitti in corso le organizzazioni non governative hanno chiesto ai propri governi di sospendere l’invio di materiale bellico in queste zone, come Pax Christi International: “Il sanguinoso conflitto siriano continuerà fino a quando gli attori internazionali continueranno ad alimentarlo con la vendita delle armi. E ogni serio tentativo di porre un argine alla violenza cieca che sta devastando il Paese da più di tre anni non potrà non partire dalla promozione di seri negoziati politici e dalla interruzione del flusso di armamenti di varia provenienza che continuano a rifornire di strumenti di morte i fronti contrapposti…

Gli attori internazionali, compresi i Governi, stanno fomentando il conflitto armato fornendo e finanziando armamenti e munizioni, addestrando i combattenti e anche inviando contingenti militari in soccorso di uno o più contendenti. Alcuni centri di analisi hanno fatto sforzi per documentare i traffici di armi ma, in generale, si registra un serio deficit nell’attribuzione di responsabilità su questo terreno”.

Per cercare di porre fine al conflitto siriano, ha evidenziato Pax Cristi International nel suo appello, il primo passo da intraprendere al più presto è quello di imporre attraverso il Consiglio di sicurezza o l’Assemblea delle Nazioni Unite un embargo globale sul flusso di armi diretto in Siria.

Per quanto riguarda l’Europa si può leggere la ‘15^ Relazione annuale sul controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari’ dei Paesi dell’Unione Europea, relativa al 2012, in cui si sostiene che l’ammontare delle autorizzazioni all’esportazione di armamenti verso il Medio Oriente ha raggiunto la cifra record di € 9.700.000.000 con una crescita, sul 2011, del 22% (il valore totale delle esportazioni di armi e sistemi militari è stato di € 39.900.000.000, con un incremento del 6,2% rispetto all’anno precedente).

L’Arabia Saudita, che finanzia a suon di dollari le fazioni islamiste dell’opposizione armata ad Assad, quelle che non si riconoscono nell’Esercito libero siriano, è stata il principale Paese acquirente di sistemi militari europei ed ha ottenuto autorizzazioni per oltre € 3.500.000.000; la Francia è stata il maggiore fornitore della monarchia saudita rilasciando autorizzazioni per circa € 1.600.000.000; ciò avviene malgrado il fatto che gli Stati membri della UE si siano impegnati già dal 2008 a ‘impedire l’esportazione di tecnologia e attrezzature militari che possano essere utilizzate per la repressione interna o l’aggressione internazionale o contribuire all’instabilità regionale’.

Anche l’Italia, che si conferma tra i maggiori esportatori europei di armi con contratti per complessivi quasi € 4.200.000.000, tradisce questa direttiva. A primeggiare sono i paesi del Medio Oriente verso i quali sono state autorizzate esportazioni per oltre € 709.000.000 ed effettuate consegne per oltre € 888.000.000. Il principale acquirente è l’Arabia Saudita (€ 296.399.644) che oltre ai caccia Eurofighter e i relativi missili IRIS-T, ha acquistato anche un ampio arsenale di bombe, munizionamento, apparecchi per la direzione del tiro, veicoli e velivoli militari. Seguono poi le forniture di sistemi militari all’Algeria, agli Emirati Arabi Uniti, all’Oman, all’Egitto, alla Turchia e anche a Israele.

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